Come molti prevedevano, con il 2020 il risiko bancario italiano riparte ad altissimo livello. Ma lo fa in un modo che nessuno si aspettava: Intesa Sanpaolo, primo istituto di credito del Paese, nella notte di lunedì ha lanciato un’offerta pubblica di scambio totalitaria su Ubi Banca, terzo operatore nazionale. L’istituto guidato dall’ad Victor Massiah, caro al presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, sino a poche ore prima si proponeva come banca aggregante aprendo a possibili integrazioni: invece è finito preda. Lo schiaffo è tanto inatteso da risultare bruciante perché proprio lunedì scorso Massiah aveva presentato anche a Londra un piano industriale “stand alone”, basato cioè sull’ipotesi che la sua banca restasse indipendente. Nessuno, almeno ufficialmente, aveva avvisato né lui né Bazoli della mossa.
Entrambi sono sotto processo per le vicende della governance di Ubi che hanno portato alla rottura tra le grandi famiglie dei soci bergamaschi e di quelli bresciani, con la sconfitta di questi ultimi radunati intorno a Bazoli e la realizzazione di un nuovo patto di sindacato a maggioranza bergamasca e cuneese. L’87enne banchiere bresciano si è limitato a dichiarare “non intendo commentare se non per precisare che io ho conosciuto la decisione di Intesa Sanpaolo ieri sera, al momento della comunicazione ai mercati, perché i responsabili della banca hanno ritenuto, credo correttamente, data la mia posizione e la mia storia, di non coinvolgermi in alcun modo nella decisione”.
La mossa di Carlo Messina, ceo di Intesa, pare quindi la pietra tombale sull’era bazoliana. Ma non mancano anche altre chiavi di lettura, a partire da quelle sullo stato di salute reale di Ubi e sulla natura difensiva dell’integrazione.
BAZOLI INDISPETTITO
Finisce l’era della banca in mano a bresciani e bergamaschi, con i vertici imputati per aver pilotato le assemblee dei soci
La proposta di Intesa – studiata con l’advisor Mediobanca, uniti in un’inedita alleanza che ridisegna il capitalismo finanziario italiano – è carta contro carta: la banca milanese offrirà 17 azioni del nuovo gruppo ogni 10 azioni di Ubi. Ai valori di Borsa di lunedì, l’istituto di Massiah viene così valutato 4,9 miliardi, con un premio del 28% sui corsi del 14 febbraio. Ma Intesa non si è mossa da sola, per evitare alcune delle criticità più rilevanti relative alle soglie antitrust sul fronte del credito retail e della bancassicurazione. Ha così coinvolto il gruppo Unipol-Bper: l’ex Popolare dell’Emilia Romagna acquisirà, in caso di esito positivo dell’operazione, 400/500 filiali di Ubi nel Nord Italia pagandole circa un miliardo di euro, esborso che finanzierà con un aumento di capitale di pari importo. Sempre in caso di successo dell’operazione il gruppo assicurativo Unipol acquisirà la quota Ubi nelle compagnie Bancassurance Popolari, Lombarda Vita e Aviva Vita.
Intesa punta almeno al 50% più una azione Ubi per delistarla dalla Borsa e fonderla. Il marchio sparirà perché, secondo la banca guidata da Messina, la revoca dalla quotazione favorirà “gli obiettivi di integrazione, di creazione di sinergie e di crescita del gruppo”. Le sinergie a regime sono stimate in circa 730 milioni lordi l’anno, i costi di integrazione una tantum in 1,27 miliardi. In caso di successo dell’operazione nascerebbe il settimo gruppo bancario europeo per attivi, con l’obiettivo di realizzare utili consolidati per oltre 6 miliardi nel 2022. L’ad di Intesa, Carlo Messina, ha definito “equo” il valore proposto agli azionisti di Ubi e ha ribadito che non ha alcuna intenzione di cambiarlo.
Messina ha definito la proposta “non amichevole in un senso tecnico, del resto non avremmo potuto fare diversamente” e ha dispensato elogi a Massiah e al presidente di Ubi Letizia Brichetto Moratti, dicendo che se il piano andrà a termine ci saranno “per tutti opportunità significative di essere leader nel nostro gruppo” e invitando gli azionisti Ubi a contribuire “a creare un campione italiano che rimarrà per sempre con una forte base italiana”. Quanto agli azionisti di Intesa, per Messina “la loro diluizione sarà minima, pari al 10%”.
Di certo l’operazione dovrà tenere conto anche di altri costi. Secondo i dati di bilancio al 31 dicembre scorso Ubi, a fronte di crediti deteriorati verso clientela pari a 6,8 miliardi lordi su 87,7 miliardi totali, ha un tasso di copertura esclusi i write off del 39%: il dato è sensibilmente inferiore alla media nazionale. Per portarsi al livello degli altri istituti, servirebbero ulteriori accantonamenti per 600-800 milioni. A conti fatti, è Intesa a mettere al sicuro Ubi con un’operazione di sistema, il cui senso industriale non a caso sfugge agli addetti ai lavori. Intesa si concentra ulteriormente in un Paese che non cresce e che potrebbe presto affrontare la terza recessione in 12 anni, con eccesso di offerta bancaria (overbanking) specie sul fronte retail. Le sinergie attese potrebbero scattare solo attraverso un deciso intervento sugli organici, prevedendo forti uscite grazie a scivoli previdenziali e a “quota 100”, ma si tratta di strumenti costosi con un ambito di applicazione limitato visto che sia Intesa che Ubi vi hanno già fatto forte ricorso.
Ma l’offerta, dalla Bce (con Bankitalia quasi spettatrice) e che nelle prossime ore sarà valutata dal cda di Ubi, ha anche una lettura in chiave difensiva nell’ambito della complicata partita del Tesoro per uscire dal Montepaschi: nei mesi scorsi alcuni analisti vedevano una sua integrazione con Ubi, che però ora non è più sul tavolo. Anche Intesa così si chiama fuori, mentre Unicredit guarda all’estero e Bper dovrà digerire l’aumento di capitale. Resta Banco Bpm, che qualcuno voleva “promesso sposo” della stessa Ubi. Le malconce banche italiane ora sono ancora più sole.
L’operazione dovrà passare al vaglio dell’Antitrust. Per evitare criticità Ubi dovrà cedere sia parte delle filiali che le attività di bancassurance. Proprio la cessione a Bper di 400-500 sportelli a prezzi vicini ai 2 milioni l’uno sembra fuori mercato, in una fase in cui le banche le filiali le chiudono. E infatti ieri i titoli Ubi sono decollati del 23,55%, mentre quelli di Bper sono invece tracollati del 10,83%. Intesa ha chiuso in rialzo del 2,36% e Unipol dell’1,4%.
di Nicola Borzi da Il Fatto Quotidiano