Intesa Sanpaolo versus soci ex BPVi e Veneto Banca: una falsa contesa (per ora). Danni a carico delle Lca e quindi dello Stato che già ha dato fin… troppo, “cara” Severino

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In previsione della prossima udienza del processo penale relativo alla vicenda Veneto Banca del 27 marzo 2018, che dovrà tra l’altro anche decidere se confermare la chiamata in causa di Intesa Sanpaolo come responsabile civile, proviamo a valuatare alcuni punti. Alcuni recenti provvedimenti giudiziari [Trib. Civ. Vicenza sent. nr. 733/2018 – Trib. Penale Roma, GUP, decreto 26 gennaio 2018], sembrerebbero porre a carico di Banca Intesasan Paolo (ISP) i costi per i risarcimenti spettanti ai clienti/investitori delle ex banche popolari venete danneggiati dai palesi inadempimenti contrattuali e/o illeciti dalle medesime commessi o ad esse imputabili.

Peraltro, va ben precisato che ISP si è del tutto blindata da ogni e possibile rischio economico inerente le suddette chiamate in causa, come chiaramente ribadito lo scorso 17 gennaio 2018 nel secondo atto ricognitivo del contratto di cessione del 26 giugno 2017: “ogni passività onere e/o interesse negativo (anche per le sole spese legali) che dovesse essere sopportato da ISP o dalle Banche partecipate in relazione a un contenzioso escluso costituirà una passività esclusa e come tale sarà trattata secondo quanto previsto dal DL e dal contratto di cessione“.

Sicchè qualunque importo ISP sia chiamata a corrispondere agli investitori ingannati le sarà rimborsato dalle Liquidazioni coatte amministrative e, qualora le relative risorse non fossero sufficienti (il che è probabile posto che lo sbilancio di cessione ha già raggiunto l’importo di 6.4 miliardi di euro), sarà lo Stato, che ne è garante, a dovervi provvedere.
Tale pattuizione è coerente con i driver contrattuali che hanno fissato il prezzo corrisposto da ISP per l’acquisto delle ex popolari nell’importo del tutto simbolico di un euro poiché oggetto di cessione sono state attività e passività finanziarie di ammontare esattamente equivalente che, quindi, si compensano in assenza di un valore d’avviamento attribuibile a depositi e impieghi. Criterio anche adottato nell’assegnazione delle quattro banche in risoluzione (Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti) a UBIBANCA e BPER.
L’evidente anomalia nella cessione delle ex popolari venete è, invece, rappresentata dalla dote esentasse di ben 3 miliardi e mezzo di euro netti da qualsiasi costo presente e futuro pagata a ISP a tutto carico dei contribuenti italiani. I quali, alle recenti elezioni, hanno già punito il ministro Pier Carlo Padoan e il relativo partito di appartenenza anche per tale contratto i cui disastrosi esiti per le pubbliche finanze potranno essere leniti solo da eventuali provvedimenti assunti dal nuovo Governo o dalla dichiarazione di incostituzionalità del D.L. 99/2017 da molti auspicati e da taluni paventata.
L’apparente giustificazione di tale conferimento risiedeva nel dichiarato intendimento di ISP di non dover procedere a un aumento di capitale per fare fronte ai maggiori requisiti in tema di patrimonio di vigilanza conseguenti all’acquisizione degli attivi delle ex popolari venete. Motivazione alquanto inconferente posto che detto risultato era agevolmente conseguibile con l’emissione di strumenti finanziari rotativi privi di diritto di voto e di remunerazione sottoscritti dal Tesoro. Senza pertanto trasferimento alcuno di risorse finanziarie, atto oggi ancor più ingiustificato laddove si consideri che, a seguito del completamento della due diligence lo scorso gennaio, l’importo degli attivi acquisiti da ISP è inferiore di almeno due miliardi di euro rispetto a quanto inizialmente ipotizzato sicché anche tenendo per validi i suddetti criteri, ISP risulta avere incassato quasi trecento milioni di euro in eccesso rispetto all’ammontare a base degli accordi con l’ex ministro Padoan.
In tale contesto, assume pertanto valore enigmatico l’uscita attribuita all’ex ministro Paola Severino che difende ISP nel processo penale in corso al Tribunale di Roma. «O Intesa resta fuori dal processo, o salta il contratto di cessione».

Perché ove davvero detto contratto saltasse e le pubbliche finanze rientrassero in possesso degli oltre quattro miliardi di euro regalati a ISP (importo ottenuto sommando alla già sostanziosa dote di cui sopra alcune centinaia di milioni di euro ricevuti in soprannumero rispetto a quanto necessario per fare fronte a prepensionamenti ed esuberi), la partita delle banche popolari venete potrebbe chiudersi con piena soddisfazione di tutte le vittime di inganni e comportamenti truffaldini, che vantano collettivamente non oltre un miliardo di euro in risarcimenti. Cifra che, al netto delle richieste pacificamente prive di fondamento giuridico, risulta dall’esame analitico delle domande di costituzione di parte civile nei procedimenti penali in corso a Vicenza e Roma, che si può ipotizzare riuniscano gran parte di chi rivendica crediti di natura risarcitoria.
Quale, pertanto, il motivo delle resistenze di ISP? Unica plausibile motivazione è il timore che la BCE abbia a ridire poiché i 3,5 miliardi di euro di fondi pubblici rappresentavano l’importo massimo dell’aiuto di Stato consentito e, quindi, anche comprensivo del sacrificio dei risparmiatori, mentre ISP, in base al vigente contratto può tranquillamente ribaltare l’onere risarcitorio sullo Stato che verrebbe così a pagare due volte. Con il non irrilevante distinguo che l’assunzione da parte pubblica degli oneri risarcitori a favore degli investitori ingannati è legittimato sotto il triplice profilo giuridico, economico e morale dai già accertati – in sede di Commissione bicamerale – gravissimi comportamenti e/o omissioni di Banca d’Italia, Consob e Procura di Vicenza. Laddove l’enormità del trasferimento a ISP è davvero privo di giustificazione alcuna. Come, peraltro, confermato dai recenti aumenti di capitale di Banca Carige e Creval che hanno sì visto l’azzeramento dei precedenti azionisti, ma pure trovato investitori disposti a farsi interamente carico delle risorse necessarie al rilancio dei suddetti istituti.
Quid iuris quindi? Solo l’auspicio che ISP dimostri un qualche buonsenso e destini uno dei tre miliardi e mezzo di euro ricevuti dallo Stato per chiudere la partita con gli investitori ingannati e, al contempo, rinunci a ribaltarne il costo sulle pubbliche finanze per evitare le rimostranze della BCE. Il profitto dell’operazione resterebbe enorme, sulla vicenda calerebbe il necessario silenzio, e la nostra magistratura già abbastanza oberata, potrebbe dedicarsi a chiudere altri processi che languono da tempo.
Comportamento ragionevole per un istituto che da sempre ambisce a recitare un ruolo di sistema – obiettivo per il quale in passato ha bruciato risorse importanti in Alitalia e Telecom – e che oggi ha l’opportunità di dimostrare una raggiunta maturità e magari anche un cambio di passo.