
Letto, lui come tanti altri (e il “tanti” è diminutivo), il nostro articolo di stimolo sul tema degli anziani non autosufficienti (tra poco arriverò anche io…) “Ipab di Vicenza: 3.300 euro al mese per una novantenne gravemente non autosufficiente e l’ombra di nuovi ritardi per la struttura al Laghetto“, con la sua precisazione puntuale e successiva al telefono che la retta ora pagata è di 3.330 euro ci arriva soprattutto, e ovviamente la pubblichiamo per esteso, la seguente lettera di Ciro Asproso che, come desideravamo, apre un dibattito serio, ci auguriamo pubblico, sulle carenze dell’assistenza pubblica in età matura e sulle sue ricadute locali, sull’Ipab di Vicenza, il cardine pubblico di questo settore della sanità.
Alla lettera di Ciro Asproso, già più volte consigliere comunale ed esponente di spicco di Coalizione Civica per Vicenza e del credo ambientalista e sociale, facciamo seguire in fondo una nostra breve nota con qualche precisazione e, soprattutto, delle domande a cui lui, che ringraziamo fin d’ora per il suo intervento, darà di sicuro risposte, si spera non solitarie oppure chiuse nelle stanze delle decisioni “alte”.
Il direttore
Caro direttore, ho letto con molto interesse il tuo editoriale dal titolo: “IPAB di Vicenza: 3.300 euro al mese per una novantenne gravemente non autosufficiente e l’ombra di nuovi ritardi per la struttura al Laghetto”; che sembra mettere in correlazione diretta la mancanza di posti letto convenzionati nelle RSA con la carenza di strutture pubbliche, e in particolare, con l’incerto futuro della nuova Casa di Riposo a Laghetto.
Pur comprendendone le motivazioni – dettate dalla tua bene nota e apprezzata passione civile (grazie, ndd) – ritengo che tali considerazioni possano generare degli spiacevoli equivoci e non contribuiscano alla piena comprensione del problema. Provo a spiegarmi meglio: molti anziani non riescono ad accedere alle RSA non per la mancanza di posti “fisici”, ma a causa delle rette a costo intero.
Una ricerca realizzata da Spi, Fnp e Uilp del Veneto, ha monitorato i costi delle rette di 216 centri servizi, pubblici e privati, sui 286 presenti in Regione.
Fermi restando gli ulteriori aumenti derivanti dai rincari di prodotti alimentari e igienici, l’analisi conferma costi proibitivi: con l’impegnativa di residenzialità (leggi qui, ndd), la retta giornaliera più bassa è di 44 euro, mentre la più alta è di 146, con un costo medio di € 62,17. Senza impegnativa, si va dai 42 ai 168 euro, con una media di € 85,54.
Questa situazione è in gran parte dovuta al fatto che le impegnative di residenzialità deliberate dalla Regione non bastano per tutti i posti letto attualmente accessibili e quindi, anche quando se ne riscontri la disponibilità, molte famiglie sono costrette a rinunciarvi a causa dei costi proibitivi.
Dal 2022 a oggi la Regione Veneto ha rivisto con tre diversi DGR le impegnative di residenzialità e gli standard strutturali dei centri servizi anziani.
Più precisamente, sulle impegnative di residenzialità, la Regione ha introdotto nel 2022 quella unica da 52 euro e nel 2024 una quota aggiuntiva per i cosiddetti disturbi comportamentali con la “sperimentazione per il finanziamento a budget”. Il numero di contributi, però, non copriva l’intero fabbisogno tanto che nel 2022 un quarto dei potenziali beneficiari non ne ha usufruito.
Nonostante la Regione sia corsa ai ripari introducendo 3.000 nuove impegnative, distribuite nel triennio 2022-2024, circa 4.000 anziani hanno dovuto pagare la retta per intero, senza contributo regionale.
Secondo una recente ricerca dell’IRES Veneto, per soddisfare le effettive richieste di assistenza le Case di Riposo dovrebbero offrire 51.232 posti letto per tutte le tipologie di ospiti (autosufficienti e non), contro i 34.218 autorizzati.
Riguardo alla revisione degli standard funzionali minimi, necessari ai centri servizi per avere l’accreditamento, si rileva che l’assistenza all’anziano non autosufficiente da parte di tutto il personale è diminuita di 23 minuti a settimana. Se rapportato a un centro servizi di 120 posti letto, ciò significa una riduzione complessiva di 46 ore settimanali. Vien da chiedersi come tale diminuzione sia conciliabile con le esigenze di una popolazione che invecchia e con un sempre più impattante fabbisogno sanitario.
E che dire dell’importo della quota sanitaria assolutamente insufficiente a coprire i costi sostenuti dalle Case di Riposo, circostanza che costringe queste ultime ad aumentare la quota alberghiera, ovvero il valore della retta a carico delle famiglie, o dei Comuni, quando l’assistito non ha le risorse economiche per sostenere il costo?
A tutto questo, si aggiunga il fatto che la nostra Regione è l’unica in tutta Italia a non avere ancora attuato la riforma delle IPAB, riforma che consentirebbe, oltre ad un contenimento delle rette per gli assistititi e le loro famiglie, anche un riconoscimento stipendiale ai lavoratori in base alla loro professionalità ed anzianità di lavoro.
In definitiva, la nostra prima preoccupazione dovrebbe essere quella di adeguare il numero di impegnative di residenzialità rispetto alla totalità dei posti letto disponibili. Precisando, tuttavia, che, anche se titolare di impegnativa di residenzialità, l’anziano deve comunque compartecipare alla spesa attraverso la parte alberghiera della retta.
Con ogni probabilità, nel caso in esame, l’anziana signora è stata esclusa non per la mancanza di un posto “fisico”, ma proprio a causa di una programmazione regionale non adeguata alle esigenze del territorio, e per questo non ha raggiunto il punteggio minimo per accedere ad un posto convenzionato.
Quanto alla nuova RSA di Laghetto e alle presunte pressioni dovute all’effetto Nimby, credo sia giusto precisare un paio di cose: innanzitutto mancano all’appello 10 milioni di euro che, stando alle dichiarazioni del presidente Variati, dovrebbero essere reperiti grazie ad un project financing con un partner privato. Ciò significa che esso dovrà prima fornire ampie garanzie sulle disponibilità finanziarie e sulla qualità del servizio.

In secondo luogo, coerentemente con i principi della rigenerazione urbanistica e della salvaguardia ambientale, credo sia giusto ribadire che prima di pensare a nuove costruzioni andando ad aggravare il consumo di suolo, dovremmo farci carico di restaurare l’esistente e di recuperare l’ampio patrimonio pubblico inutilizzato, a partire dall’ex Istituto psichiatrico di Laghetto, di proprietà dell’ULSS 8, che da oltre 50 anni versa in una condizione di scandaloso abbandono, quando avrebbe tutte le carte in regola per diventare un polo d’eccellenza per l’assistenza agli anziani.
Ciro Asproso
Caro Ciro, ho letto e apprezzo anche io il tuo intervento che ho pubblicato intatto salvo il mio ringraziamento per il tuo riconoscimento della mia passione civile.
Solo un paio di riflessioni: mi dispiace che non sia chiaro dal mio articolo, e quindi ben venuto il tuo, che la critica di fondo sia alla disponibilità insufficiente di impegnative ma penso, dimmi se sbaglio, che un aumento fisico di posti potrebbe portare ad almeno un conseguente aumento del numero di rette a costo zero.
Per il Laghetto se il tuo punto di vista è coerente con la tua visione, in gran parte anche mia, l’importo mancante non obbliga a fare un altro famigerato project financing essendo nello spirito iniziale del progetto, mi sembra, trovare i fondi da alienazioni di patrimoni immobiliari della Ipab di Vicenza oggi non utilizzati e componenti del degrado della città che diminuirebbe se tali immobili fossero restituiti “vivi” alla comunità cittadina per usi privati. Ma se, è una mia pura ipotesi, si volesse riutilizzare qualche vecchio immobile magari dell’Ipab di Vicenza (o della ULSS 8 come l’ex Istituto Psichiatrico dì Laghetto su cui già hai fatto nel 2020 proposte logiche ma inascoltate) non monetizzandolo ma per destinarlo a una nuova RSA al posto di quella prevista al Laghetto, ecco che, a parte il presidente Variati magari in buona fede, un certo “altro” mondo sarebbe forse felice di attivare un altro, disastroso per la comunità intera?, project financing.
Mi puoi far capire, quindi, se le mie considerazioni sono peregrine?
Opporsi a una occupazione di suolo per un’opera di indubbia necessità per gli anziani non autosufficienti non è il compromesso meno peggiore di una nuova speculazione come quella della linea Tav che a Vicenza è solo Tac, perché non si fermeranno qui i veri treni veloci a lunga percorrenza, e che squarcerà la città e i suoi spazi a vantaggio della rivalutazione delle aree intorno alla fiera? E tutto questo per non intaccare quelli esterni non edificati, come le campagne? Pubblicherò a seguire le tue risposte che mi sono già arrivate avendoti anticipato le mie considerazioni. Ancora grazie e a fra poco.
Giovanni Coviello