L’Italia si sta sgretolando, in tutti i sensi

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I ponti crollano, le acque invadono la terra (acqua alta ed esondazioni ogni volta che si è in presenza di perturbazioni di qualche consistenza) … sono sempre di più i lavoratori che muoiono per infortunio (dal 2008 sono circa 15.000) o a causa di malattie professionali (si stimano in qualche migliaio all’anno) … le fabbriche inquinano e non vengono risanate, i rifiuti vengono gettati qua e là in discariche abusive o nei fiumi … la corruzione dilaga, gli evasori fiscali vivono felici e contenti e impuniti, gli imprenditori pretendono di guadagnare sempre di più e di sfruttare lo sfruttabile, la finanza comanda su tutti e tutto … la devastazione della natura e lo sfruttamento delle persone continua a crescere senza freni.

L’Italia si sta sgretolando fisicamente, politicamente, moralmente.

Sembra la descrizione di qualche “maledizione biblica”, magari per qualcuno sono solo false notizie, invece è la tragica realtà. Sta succedendo. Di fronte a tutto questo nessuno ha colpe o responsabilità. Nessuno di quelli che hanno governato in questi ultimi anni, almeno un decennio di governi diversamente e nebbiosamente colorati ma tutti in perfetta sintonia con il modello di sviluppo capitalista.

Fermiamoci un attimo. E se provassimo a pensare che, forse, la colpa di quello che sta succedendo intorno a noi sia proprio causa di questo modello di sviluppo? Se dipendesse anche o soprattutto dalla resa dello Stato che ha ceduto e regalato le ricchezze di tutti a qualche privato? Se fosse proprio il capitalismo la causa e il motore di quanto sta succedendo? Proviamo, almeno, a rispondere a qualche domanda, farci venire qualche dubbio. Il capitalismo è proprio l’unico sistema possibile, immutabile? Il profitto è proprio l’unico scopo della vita? Consumare e sfruttare ambiente e persone è l’unica maniera di vivere? Infine, è questo che vogliamo?

Qualcuno ha affermato (in maniera, se vogliamo, sarcastica) che è più facile pensare alla fine del mondo piuttosto che alla fine del capitalismo. È un modo di pensare che ci viene imposto da chi ha soldi e potere. E noi, tutti noi, consciamente o no, siamo convinti che questa sia la realtà.

Forse, è vero: la realtà di oggi è proprio questa. Ma può essere anche logico pensarla diversamente e arrivare alla conclusione che sia proprio il capitalismo a portarci verso la fine del mondo e di come lo conosciamo.

Ma, allora, non sarebbe meglio pensare a modelli di sviluppo alternativi? Non si potrebbe credere che, per scongiurare “la fine del mondo”, sarebbe utile, se non necessario, trasformare il sistema di sviluppo dalle radici?

Pensiamo … ci hanno fatto credere che privatizzare tutto fosse la soluzione di ogni problema. Hanno trasformato il significato della parola nazionalizzazione in qualcosa che più che “brutto” è “proibito”. I risultati sono catastrofici (si pensi all’Alitalia o all’ILVA o alle varie banche un tempo dell’IRI). Non si potrebbe, invece, fare in maniera che lo Stato riassumesse il suo ruolo costituzionale di “proprietario”, pianificatore e controllore almeno dei settori strategici del paese?

I risultati della ricerca e dell’innovazione tecnologica, per esempio, sono fondamentali e devono essere di tutti, non solo di alcuni. Si cominci a fare in maniera che tecnologia, robotica, informatizzazione; cioè tutto quanto è il prodotto della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” venga indirizzato per migliorare il benessere sociale e collettivo (inteso anche come lavorare meglio, meno e in sicurezza, salvaguardando la natura) e non per aumentare il profitto individuale.

Cominciamo a immaginare che questo possa essere possibile e che, anche se ci spiegano il contrario e anche se sarà estremamente difficile, è ormai necessario tentare di realizzarlo.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.