Italiani prendete Btp con i Cir, FQ: così fanno i giapponesi con un debito pubblico stratosferico ma che si regge “autarchicamente”

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Non staremo fermi, abbiamo più di un’idea” sul problema dello spread. “Io sono convinto che gli italiani siano pronti a darci una mano“, dice Matteo Salvini, a margine dell’incontro del G6 a Lione. E difatti tra i provvedimenti che il governo potrebbe mettere in campo nelle prossime settimane prende sempre più forma l’idea dei Cir, i nuovi Conti individuali di risparmio. Un’idea targata Lega, appunto, per incentivare i risparmiatori italiani tramite il sempre seducente appeal fiscale a mettere parte dei loro risparmi in titoli di Stato.

Le ultime indiscrezioni parlano di un tetto di 3mila euro per risparmiatore all’anno per un investimento cumulativo non superiore a 90mila euro. Nella prima fase sperimentale il sottostante dei Cir dovrebbero essere i Btp, a partire da quelli con scadenza a 5 anni e per usufruire dei vantaggi bisognerà mantenerli per un certo periodo di tempo o fino alla scadenza.

I vantaggi offerti? Rendimenti non tassati (invece del 12,5% previsto) e deducibilità al 23% ovvero un abbattimento del reddito imponibile per il calcolo dell’Irpef, oltre che zero imposte su donazioni e successioni come già accade per i titoli di Stato.

Il ragionamento è semplice e ha qualche fondamento sul piano teorico: se buona parte degli italiani comprassero più titoli “Made in Italy” anziché lasciare oltre 1.000 miliardi di euro sui conti correnti, il Paese sarebbe meno esposto agli umori degli investitori internazionali e alla speculazione. Insomma una soluzione alla giapponese per tenere a bada lo spread. Il Paese del Sol Levante alcuni anni fa ha fatto da apripista a questo tipo di marketing sovranista finanziario e con l’Italia ha in comune il fatto di essere fra i Paesi al mondo con il più alto tasso debito pubblico/Pil. Il Giappone vanta un debito pubblico in percentuale sul Pil del 240% contro il 132% tricolore, ma con investitori esteri nel loro caso pari solo al 5% mentre in Italia siamo (dopo i deflussi degli ultimi mesi) a circa il 30% dei Btp detenuto fuori confine.

Non che i soldi degli stranieri non siano buoni ma la storia finanziaria (e non solo quella recente) insegna che uno stato sovrano quando ha il suo debito collocato fuori dai confini nazionali può essere più vulnerabile e soggetto a pressioni e speculazioni. Se teoricamente l’idea ha quindi qualche fondamento, il successo dei Cir non è assicurato perché il mercato del risparmio in Italia è guidato soprattutto dall’offerta e i Cir, secondo alcuni osservatori, difficilmente sfonderanno se le banche e le reti di vendita non troveranno il modo di guadagnarci qualcosa di comparabile a quanto ricavano dalla vendita di altri strumenti.

Si parla da qualche settimana di un tetto a 15 miliardi di euro all’anno per questa offerta Btp discount con lo zuccherino fiscale ed evidentemente il confronto con le banche e assicurazioni italiane ha suggerito agli estensori della proposta (fra cui Armando Siri, sottosegretario alle Infrastrutture ed esperto economico della Lega con i colleghi al Mef Massimo Garavaglia e Massimo Bitonci) di cercare di trovare un compromesso con il sistema.

Nella proposta dei Cir oltre che di sostegno e salvaguardia del debito pubblico tricolore si parla di finanziamento mirato di infrastrutture e sarà curioso sapere come avverrà questa “tracciabilità” per verificare che effettivamente i risparmi della signora Maria sono andati a finanziare, per esempio, il viadotto in Calabria e non il pagamento dei vitalizi degli ex senatori della Prima Repubblica. Occorrerà poi vedere se questa proposta non alzerà il livello dello scontro con Bruxelles perché legittimamente qualcuno si domanda se all’interno della Ue uno Stato può decidere di favorire la sottoscrizione del suo debito rispetto a quello di altri Paesi.

Lato risparmiatore, poi, la convenienza sui Cir, una volta chiariti tutti i punti, è da valutare caso per caso. Se si passa dal punto di vista macroeconomico a quello micro un investitore dovrebbe valutare quanto ha già scommesso sull’Italia con tutti i suoi investimenti (finanziari, ma anche immobiliari). E da questo punto di vista la fotografia che ci offre il risparmiatore medio italiano è quella di un investitore che sull’Italia ci ha scommesso spesso pure la camicia. Detiene una liquidità elevatissima su banche italiane, ha per anni sofferto di “mattonite” e spesso non solo ha una ma più case di proprietà; detiene anche obbligazioni (soprattutto titoli di Stato o di banche che gli hanno rifilato i propri titoli) e azioni italiane in buona percentuale. Un risparmiatore insomma quello italiano poco diversificato e molto dipendente dall’andamento della “nave” Italia.

Il limite massimo proposto di 3.000 euro annuali sui Cir può certo scongiurare questo rischio di concentrazione. Si diversifica perché come dice il buon senso non si mettono tutte le uova nello stesso paniere e questo resta l’Abc dell’educazione finanziaria.

Quindici miliardi di euro infine di raccolta e tetto per il primo anno dei Cir sono certo un obiettivo significativo ma con un debito pubblico dello Stato italiano a 2.330 miliardi di euro rappresentano lo 0,64%. Quasi noccioline. La Bce in questi anni con il Quantitative Easing (i rubinetti si stanno chiudendo) ha acquistato, infatti, Btp e affini per 350 miliardi di euro (il 15% del debito pubblico tricolore). Le banche e le assicurazioni italiane già detengono circa il 40% del debito domestico e sono a “tappo”. Convincere la signora Maria ad acquistare più Btp ci può stare. Ma con questi numeri in gioco non è certo questa la soluzione taumaturgica.

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