Iva di fallimenti non chiusi da oltre dieci anni: la UE bacchetta l’Italia ma lo Stato non la restituisce ai fornitori. Lo denuncia Apindustria

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Iva di fallimenti non chiusi non più in tasca allo Stato
Iva di fallimenti non chiusi non più in tasca allo Stato

In una fase in cui si parla di crescita, sempre e ovviamente condizionata a risorse economiche disponibili per gli investimenti, sono tanti e per cifre imponenti i fornitori che, nel caso di fallimenti dichiarati ma non chiusi dei clienti, non possono recuperare l’IVA già versata all’erario italiano salvo forzare la situazione e poi andare in contenzioso tributario facendo appello alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 23 novembre 2017 (causa C246-16)  che ha condannato l’Italia ritenendo irragionevole protrarre il recupero dell’IVA sui fallimenti oltre i 10 anni.

Il problema è ben noto alle associazioni datoriali che da tempo premono per la sua soluzione come ci conferma per Apindustria Confimi Vicenza il dr. Francesco Zuech responsabile del Coordinamento fiscale Confimi Industria.

La norma fiscale di riferimento è quella sull’Iva di cui al D.P.R. 633/72. In questo caso l’art. 26 c. 2 che recita:

  1. Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, R.D. 267/1942, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera d), R.D. 267/1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25.

L’Agenzia delle Entrate con Risoluzione 89/E del 18/03/2002 ha precisato che il momento da cui far decorrere il termine per emettere la nota di variazione Iva corrisponde, nel caso di mancanza o assenza di ripartizione dell’attivo, alla data di chiusura della procedura fallimentare.

La normativa è stata oggetto di variazione per effetto della L. 208/2015 che prevedeva l’emissione della nota di credito già all’apertura della procedura concorsuale. La novità doveva entrare in vigore dal 01/01/2017 ma è stata cancellata per presumibili mancanza di risorse finanziarie dello Stato con la successiva L. 232/2016 e quindi tutto è rimasto come prima.

Qui riportiamo il link ad un sito in cui è riassunta in maniera sintetica la situazione mentre a breve torneremo sull’argomento con dati su quanto pesi nei conti delle aziende e degli imprenditori in genere del trattenimento dell’Iva nelle casse dello stato a causa di fallimenti non chiusi così come ci occuperemo di una sentenza della Cassazione che mantiene in vita, questa volta a vantaggio delle banche e delle finanziarie di recupero crediti, le garanzie fideiussorie senza necessità di rinnovi se, appunto, il fallimento non è chiuso.