Karl Marx 5 maggio 1818 – 2018: non solo un bicentenario

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A Treviri, la città dove era nato nel 339 o 340 d.C. Sant’Ambrogio, che era entrata a far parte del Regno di Prussia dal 1815, esattamente il 5 maggio di duecento anni fa nasceva Karl Marx, il fondatore, insieme a Friedrich Engels, di una delle forme più note di comunismo, quella che ha segnato e segna ancora in parte i destini di molti uomini e con il quale poco si sono fatti i conti anche da parte degli storici. Come in occasione di quasi tutti centenari, è epoca di bilancio.
e nel caso di K. Marx tracciarne uno, è impresa ardua, quasi impossibile, perché la storia delle interpretazioni del pensiero marxiano, che si intreccia, soprattutto con l’elaborazione della socialdemocrazia tedesca (Eduard Bernstein e Karl Kautsky), di V.U. Lenin e di J. Stalin è anche storia politica, tanto che sembra pressoché impossibile scindere la teoria dalla prassi. Proprio la possibilità di questa unità ha dato luogo però alle differenziazioni innumerevoli, ufficiali e non, frutto di singoli esponenti, o di grandi e piccole formazioni partitiche, di cui è ben difficile farne persino una recensione. A partire dal 1968 ad oggi ho potuto contare almeno, non considerando i partiti ufficiale, 334 movimenti che fanno capo alla visione di origine marxiana.

La diatriba su quale sia il Marx vero o il vero Marx, che ha occupato generazioni di studiosi, continua anche in scritti recenti di esponenti culturali che valutano il suo pensiero, spesso alla luce del proprio, quasi tralasciando le sue parole: un vizio ermeneutico di cui sarebbe necessario fare pulizia. Gli strumenti per un diretto approccio al pensiero marxiano ci sono pressoché tutti. Le opere sono, tranne forse qualche raro manoscritto, tutte pubblicate nella Marx-Engels Gesammelte Aufgabe (MEGA), che consta di oltre 100 volumi, editi dalli Istituto Marx-Engels di Mosca, oggi “ex” e Patrimonio dell’Umanità, che conserva i testi originali – a Vicenza presso la Biblioteca civica Bertoliana sono depositati dei microfilm provenienti dall’Istituto relativi ad un’opera di Marx del 1857: Einleitung, manoscritto M del 23 agosto 1857, tr. I.F. Baldo. U. Curi, pubblicata a Padova nel 1975 dalle edizioni C.U.R.C. (Cooperativa Universitaria Rinnovamento Culturale).

Le riflessioni di Marx, ma mai va dimenticato l’originale apporto di.F. Engels, hanno dato luogo alle mille e mille interpretazioni che si combattono tra loro sulla base degli stessi scritti o manoscritti, come ne è esempio la considerazione di cui M. Cacciari fu esponente, del “paragone”, a tutto favore dei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (editi da La Nuova Italia, Firenze, 1968, 2 voll.) rispetto a Il capitale (Roma, Editori riuniti, 1968,3 voll.) del quale il secondo e terzo volume furono predisposti per la pubblicazione da F. Engels.

Si possono rintracciare ben altre questioni, quella del “metodo dell’economia politica” che fa capo al già citato manoscritto Einleitung, ed ha avuto in U. Curi dell’Università di Padova un preciso interesse interpretativo, seppur stroncato dal giornale del Partito Comunista Italiano (cfr. L’Unità del 10 aprile 1975, p.8), o l’altra sul Marx filosofo o no o ancora sul tema dell’ateismo che interessò moltissimo il filosofo Cornelio Fabro e Pietro Giacomo Nonis, docente di Filosofia della religione all’Università di Padova. Per non parlare di tutte le questioni che hanno messo capo a movimenti e partiti, tutte si richiamano a uno o l’latro degli scritti. Ad esempio La critica del Programma di Gotha del 1875, l’unico testo dove Marx usa l’espressione “la dittatura del proletariato” come primo periodo della rivoluzione, dittatorio per la necessità di difendere quest’ultima, conquista, come affermava ne Il manifesto del partito comunista, redatto con F. Engels, che può avvenire “I comunisti sprezzano l’idea di nascondere le proprie opinioni e intenzioni. Essi dichiarano apertamente di poter

raggiungere i loro obiettivi solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale finora esistente. Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo.”

Soprattutto interpretazioni politiche si potrà affermare, ma in realtà la riflessione di Marx è stata oggetto soprattutto di considerazione come “filosofia”, ossia visione universale del mondo, risposta agli interrogativi fondamentali dell’uomo e definita con l’espressione materialismo storico nel 1859 da F. Engels, che si richiamava in particolare al grande saggio, scritto con l’amico, rimasto, però, inedito fino al 1932, L’ideologia tedesca (cfr. ed. italiana, Roma, Editori Riuniti, 1969, p. 8 ss. e p. 28 ss.). Una filosofia della storia, non una visione filosofica come tale.

Questa filosofia della storia, quasi vichianamente fu considerata tout court “filosofia”, in particolare in Italia, con Ettore Ciccotti (1863-1939) fu tra i prima fautori degli studi marxistici con la traduzione degli scritti di Marx (cfr. R. Michels, Storia del marxismo in Italia, con Bibliografia,Roma, Libreria Editrice L. Mongini, 1910) e con A. Labriola (Del materialismo storico del 1899, ma anche con B. Croce (Materialismo storico ed economia marxistica del 1900) che con lo scritto lasciò da banda l’ozioso lavoro d’interpretazione del Marx, del quale nel 1938 tracciò la storia: Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Di Croce, però, andrebbe ricordato soprattutto lo scritto critico alla legge marxiana della caduta del saggio di profitto, pubblicato nel 1899 Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, in Materialismo storico ed economia marxistica,). Croce si propose di dimostrare fallacia della teoria marxiana del valore e ciò alla luce del terzo volume de Il Capitale, affrontando il tema più dibattuto dalla letteratura marxista: la teoria delle crisi. Basandosi sul terzo volume di Das Kapital, Croce sostenne che Marx aveva formulato la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto “osservando gli «effetti economici dei progressi tecnici» in un’economia fondata sulla premessa del valore-lavoro, la distinzione tra capitale costante e capitale variabile, la considerazione del profitto come nascente dal sopravalore, e del saggio medio di profitto come nascente dall’agguagliamento dei vari saggi di sopravalore per opera della concorrenza (Fonte: Enciclopedia Treccani: Il Marx di Croce e quello di Gentile di Giuseppe Vacca – Croce e Gentile (2016):

G. Gentile partecipò a fine secolo XIX al dibattito con La filosofia di Marx del 1899. Il filosofo siciliano intese, a mio modo di considerare correttamente, la riflessione di Marx, almeno fino al 1857, come una filosofia della storia e una prassi della rivoluzione comunista. Non solo una interpretazione del mondo e della vita degli uomini fondata sul materialismo storico e il socialismo, che sono inseparabili – richiamo alla dottrina di Lenin – ma essenzialmente una coscienza storica, una Weltanschauung, come ben sostiene ancora oggi M. Cacciari. Come tale quindi sostitutiva di ogni altra ed in particolare di quella cristiana e di quella di cui sarà fautore lo stesso pensatore con la famosa voce “Fascismo” dell’Enciclopedia Treccani.

Gentile individuò bene il nesso tra impianto teorico e prassi, che maturava all’inizio del secolo XX con le elaborazioni in Russia di Lenin e in Italia di Gramsci, ovvero l’impossibilità di scindere l’ipotesi che la storia sia fondata solo ed esclusivamente sui rapporti di produzione, il materialismo storico, e l’altra della necessità di rivoluzionare i rapporti di produzione.

Una direzione che non ha mai lasciato la prassi politica del maggior partito Comunista italiano, fondato a Livorno nel 1922 e che è rintracciabile in quasi tutti i movimenti/partiti della sinistra italiana, pur con le sfumature dovute spesso più ai protagonisti che non a linee teoriche ben strutturate. Uno studio dell’individualismo interpretativo consentirebbe di dare ragione anche delle sconfitte dei partiti di sinistra italiani anche durante l’epoca del fascismo.

Il pensiero di Marx in Italia è divenuto “una filosofia” e in questa direzione è stato ed è oggi prevalentemente considerato, in ombra, molto in ombra il Marx critico dell’economia politica, un interesse che egli coltivò fin dagli scritti giovanili e dalla relazione con il pensiero di F. Engels, di cui piace ricordare l’Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie del 1844, che fu decisivo per l’amico.

Per l’ambito filosofico gli studiosi italiani anche critici, sono moltissimi, basti ricordare F N. Badaloni, A. Banfi, M. G. Bedeschi, N. Bobbio, R. Bodei, G.M. Bravo, M. Cacciari, D. Cantimori, C. Cases, L. Colletti, U. Curi, M. Dal Pra, G. Dalla Volpe, B. de Giovanni, A. Del Noce, C. Fabro, L. Gymonat, C. Luporini, A. Negri, F. Olgiati, R. Panzieri, A. Plebe, G. Preti, A. Saitta, P. Salvucci, A. Santucci, B. Spirito, M. Tronti, G. Vacca, S. Veca, F. Vighi, , S. Timpanaro, e tantissimi altri più o meno importanti; merita una citazione gli scritti di M. Musto, Ripensare Marx e i marxismi, Roma,. Carocci, 2011 e di D. Fusaro, Bentornato Marx!:rinascita di un pensiero rivoluzionario, Milano, Bompiani, 2014.

In Italia per la critica dell’economia politica il riferimento è a Piero Sraffa (Torino, 5 agosto 1898 – Cambridge, 3 settembre 1983) che si propose, riprendendo Marx, una reimpostazione della critica dell’economia politica anche alla luce dell’economia classi di David Ricardo e alla la Scuola di Modena (cfr. M. Finoia, (a cura) Il pensiero economico italiano : 1850-1950,Bologna : Cappelli, [1980] e La formazione degli economisti in Italia nel periodo 1950-1975, a cura di G. Garofalo e A. Graziani, Bologna, Il Mulino, 2004). Da ricordare gli ultimi studi F. Farina, Franco, Karl Marx e il processo produttivo oggi: dalla classe operaia alla persona nel lavoro, Roma, Ediesse, 2017

Maggior successo ebbe l’analisi critico dell’economia politica di Marx negli ambienti anglosassoni e in particolare nelle Università degli Stati Uniti, dove dalla fine degli anni trenta continuò anche l’elaborazione della Scuola di Francoforte, nata nel 1923 (T. Adorno, M. Horkeimer, J. Habermas e altri) che ha avuto in H. Marcuse il suo più noto esponente più noto che agganciò il pensiero di Marx all’impostazione sociologica della scuola come direzione verso un “nuovo mondo”, che doveva abbattere quello del capitalismo, che riduceva l’uomo ad una sola dimensione, quella dell’economica e del poterei, anche attraverso quella che verrà detta “la rivoluzione sessuale” proposta a partire dai campus americani nel 1968.

Più ci inoltriamo nella semplice visione del pensiero marxiano e di quello marxista, più si evidenziano le diverse interpretazioni, un oceano, molte con un grande spessore intellettuale, e di cui bisogna dar piena ragione e molte altre che si sono esaurite in qualche saggio addirittura con finalità di carriera accademica o partitica ed infine quelle frutto di riduzioni ideologiche se non di semplice slogan più facile a ripetere per dire di identificarsi in una prospettiva che non a saperne le ragioni. Sovra tutto nel marxismo ha però dominato quel compito, che ben indicava Stalin: E il compito educativo marxista-leninista dei quadri consiste nell’aiutare i nostri quadri, in tutti i rami del lavoro, ad assimilare la scienza marxista-leninista delle leggi dello sviluppo della società. (Rapporto al XVIII Congresso del partito, in G. Stalin, Questioni di leninismo, Mosca, Ed. in Lingue estere, 1948, p.719)

In questo oceano, è prevalsa la visione e soprattutto la prassi ideologica, quella di studio è stata spesso relegata nelle università e nei dibattiti e spesso con poca relazione con i movimenti cui voleva dare la direzione scientifica, come ben attestato dal Convegno dell’Unesco nei giorni 8-10 maggio del 1968 a Parigi, dove convennero i massimi studiosi del marxismo in occasione del 150 anniversario della nascita di Marx. Dum Unesco consulitur, Lutetia expugnatur…da Daniel Cohn-Bendit e Alain Geismar. (cfr. Marx vivo: La presenza di Marx nel pensiero contemporaneo / a cura di M. Spinella, Milano, Mondadori, 1969, 2 voll, unici italiani intervenuti C. Luporini, filosofo con il saggio Problemi filosofici ed epistemologici e il sociologo F. Ferrarotti con Note su Marx e lo studio del cambiamento tecnico.

Dopo la ventata di saggi e dibattiti a partire dal 1968 della riflessione di Marx è continuato a prevalere, come già accennato la visione di unità teoria prassi ben delineata dagli scritti di Lenin, pur con articolazioni qua e là diversificate, ma poco di filologico è apparso: Le opere del rivoluzionario di Treviri che continuarono ad essere pubblicate anche nell’edizione complessiva edita a Mosca non diedero sostanzialmente adito a nuove prospettive, e l’interesse scemò gradualmente anche in relazione alla fine del totalitarismo comunista in Europa e la sua morte in Unione Sovietica. Non è certo morta la visione politica che perdura in alcuni Stati, ma con dubbi, ma in diverse teste, tanto da esser divenuto una psico-ideologia più che una prospettiva politica, la quale è perseguita con poco studio del pensiero di Marx, ma con molti slogan e prospettive dove la critica dell’economia politica è diventata solo e quasi esclusivamente critica della politica economica.

 

Possiamo chiederci, nel ricordare il duecentesimo dalla nascita di K. Marx, se Può ritornare? superando la tradizionale visione che lo riconosce come “filosofo” / “ideologo” di una prospettiva politica? Che subisce però l’immediata considerazione critica che elevare la struttura – rapporti materiali di produzione – a motore immobile o di ogni altra realtà, detta sovrastruttura, è semplicemente un riduzionismo relativistico, che non è stato e non può essere risposta ai quesiti fondamentali dell’uomo.

Una ripresa di Marx è forse possibile, ripartendo dalla lettura delle sue opere, sgombrando la mente, se possibile, dalla storia cui le sue riflessioni hanno dato origine ed esiti non certo felici per l’umanità.

Da questa indicazione credo sia possibile almeno leggere Marx, senza il marxismo ideologico.

Nel Convegno del 1847 della Lega dei comunisti a Londra K, Marx e F. Engels ricevettero l’incarico di “redigere un programma pratico e teorico circostanziato del partito, destinato alla pubblicità. Così nacque Il manifesto del partito comunista, non uno critto teorico, ma di propaganda che doveva servire ad aiutare i vari movimenti nei singoli stati europei a promuovere la rivoluzione contro il potere assoluto quale si era nuovamente rinvigorito dopo la parentesi napoleonica e anche per mutare quei nuovi rapporti di lavoro che il capitalismo industriale aveva impostato nelle società. Un aggancio con i movimenti nazionali, in particolare Italiano, polacco e tedesco, era possibile, purché l’indipendenza fosse non un problema di dinastie e di cancellerie, ma del proletariato che insieme alla libertà nazionale conquistava il diritto ad autodeterminarsi e soprattutto a sconfiggere e promuovere un’unità internazionale dei proletari.

I vari movimenti furono però sconfitti e Marx iniziò un nuovo periodo della sua riflessione, che possiamo ricondurre a questa linea generale: dapprima egli criticò con la filosofia la religione,(cfr. e Critica della dialettica e in generale della filosofia di Hegel), poi criticò in termini politici sia la filosofia sia la religione (cfr. XI Tesi su Feuerbach, L’ideologia tedesca e Manifesto del Partito Comunista), infine criticò sia la politica, sia la filosofia sia la religione in termini di critica dell’economia politica (cfr. Einleitung, già citata e soprattutto l’ Prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859, che prelude a Il capitale, il cui primo volume fu pubblicato nel 1867)

Nelle pagine della Prefazione Marx traccia l’oggetto della sua ricerca e la sua bio/bibliografia intellettuale e politica, partendo dai primi articoli del 1842/43, quando iniziò ad interessarsi ai “cosiddetti interessi materiali”. Fin dal 1844 Marx comprese, lo dichiara, che “l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” e che questa era il filo conduttore negli studi che questo era così formulato: “nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forse determinate della coscienza sociale” E’ la formulazione di quello che “filosoficamente viene chiamato il materialismo storico e che si esprime anche nell’espressione sempre marxiano: “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.” Così “il modo di produzione della vita materiali condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita.” Con chiarezza Marx prosegue: “A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione.”

Questa citazione, credo, possa essere sufficiente, per comprendere in quale modo si possa leggere la matura riflessione di Marx, quella che più delle precedenti, fa di lui un antagonista del capitalismo e della necessità della rivoluzione. È l’uscita dalla critica “letteraria” dell’economia e l’approdo a quella scientifica, come ben attesteranno le analisi con preciso utilizzo della matematica di cui era ben a conoscenza, come attestano alcuni suoi manoscritti. (cfr. Dai manoscritti matematici, Presentazione di L. Lombardo Radice, “Critica marxista” Quaderni n.6, 1972, pp.273-286). Una certa influenza fu anche determinata dal clima “positivista” francese e inglese nell’epoca in cui C. Darwin proponeva la sua ipotesi evoluzionistica la scienza nel suo complesso non era più quella della Fenomenologia dello spirito o delle Enciclopedia di Hegel.

Tentare di considerare Marx un filosofo, certo piace ai filosofi, ma non è la strada del pensatore di Treviri, anche se ne Il Capitale”, come lui stesso dichiara, che è “la continuazione dello scritto Per la critica dell’economia politica”. qua e là fa capolino Hegel.

La critica dell’economia politica è in Marx l’unico modo per uscire dall’astrattezza delle critiche filosofico/moralistiche del capitalismo e da quelle ideologiche, ovvero politiche. Una prospettiva che invece, tranne qualche caso, è stata lasciata alla critica roditrice dei topi, forse perché troppo difficile il lavoro. Marx lavorò per più di dieci anni alla stesura dei materiali de Il Capitale.

Oggi si richiede per una nuova critica dell’economia politica che essa tenga presente sì quanto analizzato da Marx e quanto di attuale vi sia, come una certa anticipazione del tema della globalizzazione (cfr. Il capitale, Libro III), ma soprattutto di come è cambiata prima di tutto la società, la sua dinamica che non è riconducibile solo al riduttivo schema: capitalisti, proletari e sottoproletari con caratteristiche socio-culturali ben diverse da quelle dell’ottocento. Pure mutate sono la nozione stessa di merce, che spesso non è nemmeno “materiale”, il denaro, che oggi è pure “virtuale” (Bitcoin, Ethereum, Ripple, Dash e Litecoin), la definizione stessa di lavoro e forza lavoro, che non è solo quella “fisica”, ma intellettuale e perfino robotica. La scienza e la tecnica, l’organizzazione informatica che ai tempi di Marx iniziava ad essere partecipe dei processi lavorativi, è oggi il fondamento anche in agricoltura e definisce e la giornata lavorativa, La stessa formula con la quale Marx determinava la produzione del plusvalore relativo e assoluto deve essere rivista. Di conseguenza un ruolo rilevante ha oggi lo stipendio, il pagamento delle consulenze, rispetto al salario e l’accumulazione del capitale e pure il saggio di profitto non è nemmeno simile a quello ottocentesco.

Il mondo del denaro in relazione a se stesso, capitale finanziario, e ai processi lavorativi è ben diverso. Se la prima preoccupazione capitalista era l’accumulazione semplice e complessa del capitale, ora è il capitale di una fabbrica è nello stesso processo lavorativo (brevetti, organizzazione del lavoro, manager, dipendenti, sviluppo delle capacità di mercato e feedback delle produzioni e velocità di ridefinizione della produzione stesse. Un po’ più complicato rispetto alle fabbriche del 1850/60. Il profitto, un tempo considerato solo dal punto di vista monetario e della sua possibilità di produrre espansione commerciale e interesse è ben diverso, come il ruolo, ad esempio dell’oro nei commerci e nelle riserve auree. Oggi il valore della moneta non dipende certo dalle riserve aurea di uno stato, ma piuttosto dal prodotto interno lordo e nel caso dell’Europa, dalla somma di tutti i PIL degli Stati aderenti alla Comunità Europea.

Il mondo economico, la struttura, si è fatta molto, ma molto più complessa e leggerla solo con gli strumenti dell’epoca di Marx, appare riduttivo se non addirittura semplicistico, senza, chiaramente togliere con ciò nulla alla sua fatica analitica.

Non a caso, infatti, la critica dell’economia politica nei movimenti/partiti che hanno origine nel pensiero di Marx è solo critica della politica economica dei governi e il ruolo del partito non è più quello rivoluzionario, ma della gestione economica degli Stati, in particolare nell’aspetto della redistribuzione del reddito.

In Italia poi il ruolo del Partito è diventato sempre più quello dell’espansione/consolidamento e difesa delle organizzazioni economiche (Cooperative in primis) che fanno capo direttamente o indirettamente alle sue capacità politiche di gestione dello Stato.

Il Sindacato stesso, un tempo cinghia di collegamento tra mondo del lavoro e Partito rivoluzionario, è quasi solo un’organizzazione gestionale del lavoro, condotta con obsolete visioni del mondo del lavoro, incapace, ad esempio, di tutelare i lavori stagionali e ancora il caporalato ben presente nei lavori agricoli delle Puglie.

Questo solo un breve schizzo dei temi che andrebbero rianalizzati con una visione d’insieme dell’economia politica e non solo con studi settoriali.

Difficile il passo e soprattutto lo studio, complesso già all’epoca di Marx, oggi ancora di più. Così la riflessione marxiana fu, fin dall’Ottocento, bene e facilmente letta come filosofia, da filosofi che privilegiarono più il Marx giovane, quello, per intenderci fino al 1848, lasciando in ombra la critica dell’economia politica e propendendo sempre più per una delineazione ideologica, quando non a slogan, per una visione e prassi della gestione politica. Tra Marx e Lenin e il suo continuatore Stalin, (cfr. V.U. Lenin, Stato e rivoluzione, Nuova situazione e J. Stalin, Nuovi compiti dell’edificazione economica) hanno certo vinto i russi che edificarono uno Stato dove la politica divenne la struttura che tutto do minava, ossia si edificò il totalitarismo come nuova forma di governo., che decideva perfino la coscienza, oltre che la logica e perfino la fisica, negando valore alla logica formale e alla teoria dei quanta che non potevano essere insegnate. Il potere statale unico riferimento.

Infatti, la storia ci ha insegnato che di Marx è rimasto più quello “politico”, ben presto ideologizzato che non quello della critica dell’economia politica. Oggi forse è opportuno riconsiderare l’importanza della critica dell’economia politica in Marx, pur con quella necessaria considerazione che forse la struttura non è l’unica realtà determinante dell’uomo e che ad essa non può essere ricondotta tutta la coscienza dell’uomo stesso. L’economia è una parte dell’Etica, che si occupa del bene, del bene comune, della giustizia e del benessere della società umana, ma è doveroso ricordare che senza la ricerca del vero, non vi può essere nemmeno quella del bene e la riduzione della complessità umana ad un solo suo aspetto la relativizza e la impoverisce, finendo nel solipsismo dove ogni singolo si erge a assoluto e ciò non è solo prodotto dall’ideologia nata da Marx, ma anche dal suo contrapposto il capitalismo. In fondo ambedue altro non sono che facce dello stesso denaro con il quale hanno definito il mondo e la società umana.

I tempi vedranno quando, dopo le circostanze auliche dell’anniversario, si considererà anche operativamente dell’uomo che propose teoricamente e praticamente il sogno del comunismo, che finì anch’esso nell’utopismo dove con facilità molti e molti giovani inesperti hanno anche sacrificato la loro vita. Ora dall’oggi che ha ben conosciuto quanto i sogni possano danneggiare l’umanità, come fin dal 1848 aveva avvertito A. Rosmini (cfr. Ragionamento sul comunismo e il socialismo), è bene imparare a percorrere altre strade, senza per questo negare insipientemente una riflessione che nella storia ha inciso e qua e là incide ancora profondamente sulle coscienze di molti.

 

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Italo Francesco Baldo
Italo Francesco Baldo nato a Rovereto, residente a Vicenza è stato ordinario di Storia e Filosofia nel Liceo Classico "A.Pigafetta" di Vicenza.Si è laureato con una tesi su Kant all’Università di Padova, ha collaborato con l'Istituto di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, interessandosi all’umanesimo, alla filosofia kantiana, alla storiografia filosofica del Settecento e alla letteratura vicentina in particolare Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro Nel 1981 i suoi lavoro sono stati oggetto " di particolare menzione" nel Concorso al Premio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali per il 1981 cfr. Rendiconto delle Adunanze solenni Accademia dei Lincei vol. VIII, fasc.5. ha collaborato con Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Il Tempo, La Domenica di Vicenza e Vicenzapiù Tra le diverse pubblicazioni ricordiamo La manualistica dopo Brucker, in Il secondo illuminismo e l'età kantiana, vol. III, Tomo II della Storia delle storie generali della filosofia, Antenore, Padova 1988, pp. 625-670. I. KANT, Primi principi metafisici della scienza della natura, Piovan Ed., Abano T. (Pd) 1989. Modelli di ragionamento, Roma, Aracne Erasmo Da Rotterdam, Pace e guerra, Salerno Editrice, Roma 2004 Lettere di un’amicizia, Vicenza, Editrice Veneta, 2011 "Dal fragor del Chiampo al cheto Astichello", Editrice Veneta, 2017 Introduzione a A. Fogazzaro, Saggio di protesta del veneto contro la pace di Villafranca, Vicenza, Editrice Veneta, 2011. Niccolò Cusano, De Pulchritudine, Vicenza, Editrice Veneta 2012. Testimoniare la croce. Introduzione a S. Edith Stein, Vicenza, Il Sileno, 2013.