E sicché la bambina rom non è l’unica vittima. A Cassola un altro esempio di morale nostrana è spuntato dalla testa di un soggetto probabilmente disturbato come testimoniano le interviste ad alcuni compaesani dello sparatore. Ma non sono le sue condizioni psichiche ad essere incriminate, purtroppo il nostro comprovinciale ha una discreta compagnia con altri italiani che in queste giornate estive hanno avuto la stessa sua idea. Vorrei che si facesse caso ad alcune azioni semplici e quotidiane che compiamo senza renderci conto, e a come queste siano influenzate dalle nostre convinzioni profonde.
Ad esempio, chi scegliamo per domandare un’informazione per strada? Mentre il nostro cervello razionale è impegnato a selezionare una persona che sia in grado di soddisfare la nostra domanda, un’altra parte di noi sceglie dei soggetti miti, del tutto inoffensivi, giacché nel profondo concepiamo qualsiasi rapporto umano non esente da pericoli. Allo stesso modo una persona dichiaratamente non razzista, mentre crede di osservare una morale totalmente liberale, segue come chiunque altro un diverso ordine di valori, come ad esempio quello per assegnare il pronome personale nelle forme allocutive di cortesia. E parlando con una persona di colore troppo spesso anche a quella scappa un “tu” in luogo del solito “lei”. E’ inutile cercare di mitigare la scoperta con il desiderio dabbene di mettere l’interlocutore a proprio agio, il fatto dimostra con chiarezza quanto valore attribuiamo al “negretto” con cui ci confrontiamo. Facciamo la stessa differenza tra uno straccione e una persona ben vestita, tra una povera e una innegabilmente ricca, tra un cittadino comune e un’autorità, e tra un poveraccio e uno che dimostra prestigio e considerazione sociale. Fatte queste poche precisazioni, adesso siamo più disposti ad ammettere che le forme di rispetto per gli altri, che noi crediamo derivare dalle nostre idee di umanità e di cittadinanza, si rafforzano e si affievoliscono a seconda di chi abbiamo di fronte. I cerchi concentrici che disegnano il valore della prossimità e il disvalore della lontananza nei rapporti umani, ci fanno attribuire un massimo di diritti per i nostri consanguinei e un minimo per i forestieri. Anch’io da ragazzo sparavo agli uccelli col flobert, e sbagliavo, ma assegnare lo stesso valore civile a un piccione e a un lavoratore di colore è segno di una malattia sociale profonda che non è possibile estinguere con richiami generici alla civiltà. La colpa di questi atti è da ricercare nella struttura della società che devia dai modelli della religione e della democrazia, al punto da concepire come veniale un’ingiustizia ai danni di un forestiero e mortale una fatta a un conterraneo. La colpa è da ricercare nell’opinione pubblica e nella pratica giudiziaria che avallano i sentimenti di onnipotenza in chi si trova con un’arma dall’alto di una finestra e sceglie un bersaglio nei fatti indifeso. Una tradizione italiana che dall’omicidio di Marta Russo tra i viali interni alla cittadella universitaria arriva fino al piombino di Cassola, e dimostra che il disprezzo pregiudiziale verso una persona non serve solo a svilire il prezzo del suo lavoro e la sua capacità di concorrenza, ma a sottrarle definitivamente i suoi diritti e la sua qualità di essere umano.