Cominciata nove mesi fa, nel luglio 2017, la bonifica dell’area ex Zambon è entrata nel vivo. Se ne sono accorti gli abitanti di via Monte Zovetto e dintorni, che ieri per la prima volta hanno varcato l’alto muro che ancora divide i 35mila metri quadrati di ex fabbrica chimica dal quartiere, e hanno dialogato con l’assessore comunale all’Ambiente Antonio Dalla Pozza, con l’ingegner Vittorio Piccinelli della Zambon, responsabile unico dei lavori, il geologo Roberto Pedron, direttore dei lavori, e i tecnici delle ditte appaltatrici.Dentro, gran parte degli edifici sono abbattuti, e sono in corso diversi trattamenti per disinquinare i terreni. «È una precisa volontà della società procedere alla bonifica finanziando l’operazione» precisa Piccinelli.
Sono 26 i milioni investiti dal gruppo farmaceutico vicentino – che in cambio potrà costruire tre palazzine alte fino a otto piani nell’area, accanto a un parco da sedicimila metri quadri – che si sommano ai fondi comunali del Bando Periferie. «Da novembre si utilizzerà per la prima volta in Italia su larga scala – spiega Dalla Pozza – una nuova tecnologia che prevede di scaldare il terreno con elettrodi portandolo fino a quasi 100 gradi, facendo emergere gli inquinanti che vengono poi aspirati e depurati, evitando il passaggio di centinaia di camion». Pedron aggiunge: «La filosofia è: trasportare meno terra possibile in discarica, e trattarla in loco». La tecnica si chiama Istt, In Situ Thermal Treatment, è stata usata in Olanda, Norvegia, Usa e Canada e testata su piccola scala a Porto Marghera. All’ex Zambon sarà applicata a due aree di circa 2500 e 2000 metri quadri.
Ieri il primo sopralluogo. Sono curiosi e esigenti gli occhi degli abitanti della zona. «Vi vedo lavorare dall’alto, dalle mie finestre, i “beep” dei camion che fanno retromarcia fanno un gran rumore, potete abbassarli?» dice una signora. «C’è una sabbia verde sul mio balcone, c’entra con i lavori?» chiede un’altra. «Non c’entra» replica Pedron. «Io abitavo in una casa appena fuori dal cancello da bambina, fino al 1956 – racconta Daniela Piccoli -. Sentivo la sirena la mattina, ma non si sapeva che la fabbrica inquinava». Annuisce Sandra Stivanin: «Solo molti anni dopo la chiusura si è capito».
Lo stabilimento fu costruito nel 1928 da una storica famiglia di farmacisti vicentini in quella che all’epoca era piena periferia, fuori dalle mura, non lontano da altre grandi fabbriche. Solo dagli anni Cinquanta la produzione fu sviluppata nel settore della chimica, arrivando a dar lavoro a 300 persone negli anni Settanta. Nel 1980 la fabbrica fu chiusa e trasferita in viale della Chimica, nella nuova zona industriale. Tramite una permuta, il Comune divenne proprietario di buona parte di quell’area di via Monte Zovetto. E nel 1996 scoprì il forte inquinamento del terreno: le sostanze più pericolose sono monocloro benzene, cloroformio e benzene. Saranno asportate del tutto, si prevede, nel 2020, quando avranno inizio i lavori per il parco.
di Giulio Todescan, da Il Corriere del Veneto