La caduta del muro di Berlino: a 30 anni è più facile pensare alla fine del mondo che alla fine del capitalismo

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La caduta del muro di Berlino: chi lo volle?
La caduta del muro di Berlino: chi lo volle?

È un po’ complicato commentare la “caduta del muro” in breve. Ci vorrebbero studi e analisi approfondite, molto di più di quelle che sono in grado di fare. Lascerei ad altri la “voglia” di adeguarsi all’entusiasmo universale e all’agiografia che sta riempiendo i palinsesti di tutte (o quasi) le trasmissioni televisive e non solo. Generalmente sono frasi fatte, di circostanza che non aggiungono niente a quello che si diceva allora sulla “fine della storia” o sul fatto che sarebbe arrivata un’epoca di benessere generalizzato e di pace planetaria.

Era sparito il “mostro” o meglio era “fallito” il sistema contrario al capitalismo che usciva trionfante e portatore di ogni ben di dio a tutti. I residui dell’esperienza del “socialismo reale” (così veniva chiamata “l’oltre cortina”) sarebbero spariti, travolti dalla marea di libertà che stava bonariamente travolgendo ogni paese. Basta conflitti, basta guerre, queste, ci facevano capire, erano dovute alla Cattiveria del nemico ormai sconfitto.

Sono passati trent’anni e qualcosa è successo. In molta sintesi, non è passato un giorno senza una guerra. Dalla Somalia al Medio Oriente, dall’Europa all’America (intesa come continente e non come sede dell’impero portatore del nuovo ordine mondiale), dalle azioni di terrorismo alla repressione di chi stava alzando la testa, dalle guerre finanziarie a quelle economiche … il capitalismo si è scatenato.

Domandiamoci allora qualcosa. Cosa è successo dopo la caduta del muro, qua da noi, nell’occidente prospero e vincente? La classe lavoratrice sta meglio? Sono aumentati i diritti dei cittadini (mi riferisco a quelli collettivi più che a quelli privati)? Si lavora, forse, meglio, meno e in maggiore sicurezza? I servizi, la salute, l’istruzione sono garantite a tutti in egual misura?

In parole povere, chi sta meglio? E aggiungo, qui da noi. E poi, la cultura è aumentata o, forse, è l’ignoranza a farla da padrona? E la solidarietà esiste ancora o tutto è ridotto a una miope ricerca del benessere individuale, senza prospettive? Si sono abbattute divisioni o sono stati costruiti altri muri ben peggiori di quello di Berlino? E il razzismo, il fascismo, la xenofobia sono state debellate o stanno aumentando in maniera esponenziale?

Parlo di noi, del nostro occidente, dell’Unione Europea che è sempre più una specie di multinazionale privata che bada solo alla finanza e alla ricchezza dei privilegiati. Infine, i nostri figli vivranno meglio di noi? A questa ultima, riassuntiva, domanda io rispondo con un NO secco. E’ colpa della caduta del muro? Probabilmente no, o non del tutto. Ma una cosa ci dovrebbe far riflettere …

Lo sfacelo nel quale stiamo vivendo e che si è manifestato in maniera esagerata in questi ultimi decenni non può essere figlio del “trionfo del capitalismo”? Non può essere che l’esistenza di un mondo diverso al di là del muro, un mondo che qualche risultato lo aveva raggiunto (industrializzazione, servizi distribuiti, diffusione della cultura) anche se errori ce n’erano e tanti (citandone alcuni direi in primo luogo burocratizzazione e mancanza di rinnovamento), ci mostrava che qualcosa di diverso dal capitalismo poteva esistere.

Questo, forse, non ha impedito ai padroni nostrani e no di fare quello che stanno facendo adesso (mi riferisco allo sfruttamento intensivo di ambiente e persone, alla cancellazione dei diritti, all’accumulo di ricchezze impensabili …).
Prima di glorificare la caduta del muro, proviamo a riflettere. Forse capiremo che stiamo vivendo in un sistema che tanto democratico e libero poi non è. Forse la smetteremo di credere che sia più facile pensare alla fine del mondo piuttosto che alla fine del capitalismo.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.