La crisi di governo vista dal Veneto: Draghi piace a Forza Italia e Lega. Zaia: “chiediamogli l’autonomia”

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Luca Zaia
Luca Zaia

Maggioranza Ursula, sì o no? Visto dal Veneto il primo giro di valzer delle consultazioni di Mario Draghi, presidente incaricato, non lascia indifferenti. C’è il presidente della Regione, Luca Zaia, che rispolvera l’autonomia, sai mai che dove hanno fallito le improbabili alleanze dei governi Conte possa riuscire Super Mario. Nello stagno, però, il sasso più grosso lo lancia Giuseppe Conte reduce dal vis-à-vis con Draghi: un’apertura che cerca di non scontentare nessuno ma che getta comunque nel panico i parlamentari pentastellati più duri e puri, non ultimi quelli veneti. A metà pomeriggio, oltre a Conte, ci si mette pure Luigi Di Maio che pesa, sì, le parole ma di fatto sembra fare il traghettatore in accordo con gli ex alleati dem.

Capita di tutto e uno dei nodi da sciogliere, dando per assodato il no monolitico di FdI (che potrebbe poi tradursi in una «monolitica astensione») è la posizione della Lega. Se il segretario federale Matteo Salvini tentenna, il suo vice, Giancarlo Giorgetti va giù piatto: «Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo. Uno come lui non può stare in panchina». E Zaia che ne pensa? «Con Salvini ci sentiamo tutti i giorni, – spiega – l’incontro del presidente incaricato con le forze politiche non è “spritz e oliva”, ci si confronta nel merito». Del «professor Draghi» il governatore dice ogni bene «un’istituzione, uno che gode di uno standing e di una stima internazionale indubbi». Ciò detto, aggiunge «se fossi io al tavolo chiederei per prima cosa dell’autonomia, un dossier che qualunque sarà il prossimo presidente del consiglio avrà sul tavolo». Ne parlerà anche Salvini? «La Lega non andrà certo a chiedere posti. Immagino il segretario chiederà lumi soprattutto sugli aspetti economici, la tassazione, le riforme» chiude laconico. Differenze da marcare? Forse, ma il governatore, rispetto al suo profilo più simile a quello di Giorgetti che a quello di Salvini sbotta: «Mi fa specie quando sulla carta si creano correnti basate sulle caratteristiche caratteriali. Non condivido il fatto di dividere moderati e fondamentalisti, c’è un ombrello comune». Non spera troppo nella bacchetta magica del premier incaricato neppure Roberto Marcato, assessore regionale alle Attività produttive: «Non credo che un governo tecnico possa risolvere il tema dell’autonomia perché è una scelta squisitamente politica. Poi, se Draghi dovesse farcela, ben venga, lo voterò tutta la vita – sorride Marcato – perché su questa che è la madre di tutte le battaglie, non ho preclusioni. Non mi pare probabile ma bisogna anche pensare fuori dagli schemi».

Ben altri tormenti agitano il drappello particolarmente pugnace dei 5s veneti in Parlamento. Fino alle prime ore del pomeriggio, seppur con svariate nuances, la parola d’ordine è stata: «no al governo tecnico». Punto. Con bizantina eleganza l’avvocato Conte chiarisce che non si metterà di traverso al governo Draghi ma anche che le sfide dell’Italia non possono essere affidate a squadre di tecnici. I grandi tessitori del nuovo esecutivo tirano un sospiro di sollievo, i pentastellati si aggrappano all’ultima parte della dichiarazione. A microfoni spenti spiegano autenticamente sconfortati: «Non è che con tre ministeri politici a fare da foglia di fico si risolve il problema». Nelle ore più delicate, il ministro per i Rapporti con il parlamento, il bellunese Federico D’Incà, sceglie il silenzio istituzionale ma nel Movimento ci sono pochi dubbi che il suo sia un sì chiaro e forte al governissimo. Non si esprime l’ultraortodosso Alvise Maniero già in rotta di collisione con i vertici in mutazione, la senatrice Orietta Vanin, senatrice non meno barricadera, scolpisce: «Le dichiarazioni di Confindustria determinano ancora di più la mia preoccupazione per lo stato sociale. Solo Conte avrebbe garantito al governo le misure di protezione sociale delle famiglie e dei più fragili. Ed è per questo che mi auguro che la crisi, voluta da Renzi e non solo, rientri in parlamento». Non ci sta neppure il deputato Raphael Raduzzi: «Nell’ultimo incontro la maggioranza ha espresso la sua contrarietà a un governo tecnico, la memoria va al governo Monti, un altro Mario arrivato coi favori dell’establishment. Serve un governo politico e, in ogni caso, il voto non mi spaventa». Il padovano Giovanni Endrizzi spiega che «è il governo tecnico a cui puntava Renzi e nella misura in cui è tecnico non può essere recepito. Conte ha detto no a squadre di tecnici». La situazione è «fluida». Ma i mal di pancia sono reali. Sembra un karma crudele quello che ha messo sul cammino dei 5s prima la Lega, poi l’odiato Pd e ora l’odiatissimo Draghi emblema dei «poteri forti» per il popolo pentastellato. Francesca Businarolo, deputata veronese distingue, invece: «Il problema non è in sé la persona, la priorità è restare uniti altrimenti si fa il gioco di Renzi che vuole spaccarci. Un governo tecnico spaventa, pensiamo al reddito di cittadinanza, un tecnico non l’avrebbe mai approvato. Ma forse un governo mix fra tecnici e politici potrebbe essere la strada». Si può riassumere in un corale «osanna» la reazione, invece, di Forza Italia anche in Veneto con il deputato di FI, Roberto Caon, che esulta: «Con Draghi finalmente qualcuno che capisce l’economia e conosce il Nordest».

M.Za. sul Corriere del Veneto