Articolo sulla cultura della pace di Padre Gino Alberto, Frate Servo di Maria, dottore in Teologia Spirituale e licenziato in Teologia mariana, direttore della rivista La Madonna di Monte Berico e anima e motore del progetto “Monte Berico 2026” pubblicato su VicenzaPiù Viva n. 10, sul web per gli abbonati.
Solo Ucraina e Israele? Altre 57 “situazioni di guerra “hanno “riposato sotto la cenere del cuore”.
Oggi, gli eclatanti avvenimenti come la guerra in Ucraina, e i fatti accaduti il 7 ottobre in Israele, hanno contribuito a riprendere la riflessione in modo più costruttivo sul tema della pace. Tuttavia, fa riflettere che solamente questi due tragici eventi abbiano risvegliato una “cultura di pace”, mentre le altre 57 “situazioni di guerra” abbiano “riposato sotto la cenere del cuore”.
Ma gli accadimenti in risposta ai fatti ucraini e in modo particolare a quelli del 7 ottobre mettono in evidenza come nella nostra umanità non sia presente una vera cultura di pace (non si può manifestare per la pace usando la violenza), la quale, è giusto ricordarlo, non ha nessuna colorazione politica.
La pace non ha nessuna colorazione politica, perché come ci ricorda il Nuovo Testamento, essa è dono del Cristo Risorto, un dono che la comunità dei credenti è chiamato a conservare, ma soprattutto a far crescere (cf. Gv 20, 19-21). Essa ha la sua origine nella croce, come ci ricorda Paolo (cf. Col 1,19-20).
Tuttavia, pur essendo la pace un dono importante, tolte due eccezioni quali il libro XIX della Città di Dio di sant’Agostino (fine IV secolo) e il libro Teologia della pace di J. Combin (1961), la trattazione sistematica è pressoché latitante nella ricerca teologica, se si eccettuano due contesti, la legittimità della guerra e la pace come tema escatologico. Solamente dopo le immani tragedie scaturite dalla Seconda Guerra Mondiale la teologia comincia ad interrogarsi, ricevendo un’ulteriore spinta dopo una presa di coscienza circa la tragedia della fame nel mondo (ne sono testimonianza i “corpi per la pace” creati da J.F. Kennedy).
Per quanto riguarda il Magistero della Chiesa ci sono due preziosi documenti degli anni 60 che vanno a innovare totalmente la ricerca teologica rispetto al passato: la Pacem in terris di san Giovanni XXIII del 1963 e la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Gaudium et Spes del 1965. Questi due documenti hanno una caratteristica comune, quella di non considerare la pace come un traguardo escatologico di cui tutti i singoli chiamati godranno in eterno. La pace escatologica è vista come traguardo per la famiglia umana: Dio ha un progetto sulla storia, il quale è rivelato in Cristo e dalla sua croce (Il Signore è il fine della storia umana – GS 45), questo incombe come dovere di annuncio e di realizzazione, la quale non è mai definitiva ma sempre in tensione verso la meta finale. Le due storie, quella della salvezza e quella dell’umanità non sono tra loro indipendenti, la seconda è parte integrante della prima. La vicenda storica della famiglia umana è intrinsecamente unita al tema della pace e per questo la teologia nella sua riflessione deve muovere da questo argomento.
Ciò lo avevano ben compreso i padri conciliari, nella stesura della Gaudium et Spes, con la consapevolezza che la rivoluzione che stavano portando avrebbe richiesto molti anni per vederne i frutti, sia dal punto di vista della sistematica e ancor di più per il tema morale. Oggi più che ma è opportuno sviluppare una cultura della pace, per poter creare una vera coscienza di pace non fondata né su armi né sulla violenza. Noi, come VicenzaPiù Viva, vogliamo provare a mettere qualche piccolo mattoncino. A partire da questo numero speciale sulla pace e dalla rubrica che curerò qui mensilmente sul tema dal numero di novembre che uscirà domenica 10 in edicola e sarà sfogliabile qui per gli abbonalti online.