“La Scuola è finita, anDaD in pace” recitava uno dei messaggi di fine anno scolastico scambiato tra colleghi attraverso i vari Social Network in cui ci troviamo ancora più immersi in tempi di Didattica a Distanza. La pratica di esorcizzare le situazioni critiche attraverso facezie e giochi di parole – anche discutibili, è vero – ha praticamente invaso i nostri smartphone e con essi le nostre “menti ben fatte”.
Così, con lo scambio di auguri reciproci per la fine del percorso scolastico a dir poco inconsueto che abbiamo vissuto negli ultimi tre mesi (“Una pandemia globale! Ci avresti mai creduto?”), festeggiamo la perdita della realtà virtuale conferitaci dalla didattica a distanza (DaD) come uno scampato pericolo: “Sono di nuovo un insegnante di sola carne e ossa: corro a scriverlo sul web!”
Non si esce dal circolo vizioso di meccanismi oleati da anni di vite iperconnesse: il lock-down ci ha trovati pronti, inutile dirlo, ed alcuni, tra studenti e docenti, inizialmente non potevano credere ai loro occhi:
– Studente: “ma davvero? Cioè, il professore mi farà lezione mentre io starò tranquillamente seduto sul divano di casa mia?”
– Prof.: “e quindi mi state dicendo che potrò fare lezione seduto sul divano di casa mia e quando finirò la lezione continuerò ad essere seduto sul divano di casa mia?”
Vittime, ognuno a suo modo, dell’ironia esorcizzante. Ma questo solo inizialmente, perché poi, tutti (?), ci siamo resi conto che la scuola non è possibile ricostruirla virtualmente, come fosse parte della cittadina di The Sims, e la Didattica a Distanza (concentrandoci solo su un aspetto critico della questione) è una didattica dimezzata, troppo asettica, a distanza, invero, dal cuore degli studenti, semplicemente, per nulla in grado di ispirarli.
Il suono dell’ultima campanella non c’è stato, ma completando l’ultima ora di lezione dalla propria postazione internet – ricavata magari nel marasma totale di appartamenti trasformatisi in improvvisati uffici di coworking – credo che ogni partecipante della comunità scolastica abbia cercato di richiamare alla mente l’evento “ultimo giorno di scuola”, come un riflesso incondizionato; solo che il gesto successivo è venuto fuori in modo innaturale.
Forse perché ci siamo guardati attorno e non c’era nessun collega da salutare, nessuno studente da ammirare lanciato nella corsa scomposta e felice – più folle rispetto agli altri giorni – verso la libertà dell’estate.
O forse perché no, come ogni giorno ci viene ricordato, il pericolo non è scampato; lo testimoniano, del resto, anche le molte riunioni di esperti che si susseguono senza sosta in questi giorni, tempeste di cervelli per definire la Nuova Epopea della Scuola del Primo Settembre: Mascherina sì/no, guanti sì/no; ingressi degli studenti scaglionati sì/no; gabbie di plexiglas(s) sì/no; didattica mista sì/no; unità oraria da 40 minuti sì/no, ed altre idee brillanti.
Noi docenti, che insieme a studenti, dirigenti e personale scolastico, queste scelte dovremo subire, accettare, provare ad adattare ai contesti, ci auguriamo davvero che il lavoro dei tecnici possa inaugurare un nuovo modello per la scuola italiana, ma al momento assistiamo quotidianamente al valzer delle dichiarazioni e successive smentite – il tutto nel breve tempo di un aggiornamento di pagina dei siti specializzati in informazione scolastica – e ci prepariamo al peggio facendo incetta di pellicola per alimenti con la quale, eventualmente, essere pronti a ricoprirci per il prossimo ingresso a scuola, in sicurezza.