La democrazia è ammalata… curiamola

272

Finalmente un cittadino italiano, Beppe Grillo, ha avuto il coraggio di porre sul terreno del dibattito politico, tanto disatteso perfino da coloro che dovrebbero occuparsene, i filosofi, uno dei temi più importanti nei nostri tempi, quello della forma di governo, attualmente la democrazia. Essa non può, come invece accade oggi, essere data per scontata, quasi fosse la forma eterna della società organizzata, ossia lo Stato. La riflessione intorno alla miglior forma di governo, precede la costituzione di uno Stato e se essa manca, manca anche la spinta alla finalità stessa dello Stato.
Esso si costituisce, lo afferma già Aristotele nel suo trattato “Politica“, in vista di un bene, non per il vantaggio materiale, ma per un bene, ossia ha una finalità morale e questa è detta bene comune. Diversi possono essere i modi con cui si può realizzare questo bene comune. Le forme positive dello Stato, individuate da secoli sono: la monarchia, l’aristocrazia, e la politica, che oggi chiamiamo democrazia. A ciascuna di queste corrisponde una forma negativa: la dittatura, l’oligarchia e la democrazia che oggi la diciamo come demagogia o, meglio, oclocrazia (guida dello Stato alla mercé delle volizioni delle masse, quello che oggi è erroneamente detto “populismo”). Accanto a queste ne esistono altre, ma nella tradizione occidentale la prevalenza delle forme di gestione dello Stato è quella sopra indicata. Certo Platone raccomanda uno Stato fondato sulla intellezione del bene da parte dei filosofi, ma questa prospettiva pur avendo dato luogo al cosiddetto “utopismo” non ha mai trovato possibile attuazione, se non con la forza del dominio come hanno ben dimostrato i totalitarismi del novecento.
La riflessione politica deve tornare in auge, non quella di parte, propugnata dagli intellettuali, che, come ben noto, sono al servizio di una parte politica e pertanto non sono degni di essere considerati come opportunamente avvertiva I. Kant in “Per la pace perpetua”: “Non bisogna aspettarsi che i re filosofeggino o che i filosofi divengano re, e non c’è neppure da desiderarlo, perché l’esercizio del potere corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione. Ma che re o popoli sovrani (popoli che si reggono secondo leggi di eguaglianza) non facciano scomparire o tacere la classe dei filosofi, e li lascino pubblicamente parlare, è indispensabile ad entrambi per essere illuminati sui loro affari: perché questa classe, che per sua natura è immune da spirito fazioso e incapace di cospirare non può venir sospettata di fare della propaganda.
Si tratta di compiere un salto qualitativo, in modo che ripensare la politica ossia il bene comune possa portare all’individuazione di quale possa essere la forma dello Stato, ossia quale bene civile una comunità stabilisce per se stessa, individuando quali strutture siano da realizzarsi.
Con coraggio bisogna affermare che non esiste una forma eterna e immutabile di Stato, ciò è tipico delle teocrazie. Prova del mutare delle forme di governo degli Stati sono, per citarne solo alcune, le Costituzioni di Licurgo, la Costituzione degli Ateniesi, le XII tavole, la Constitutio de Feudis, la Magna Charta libertatum, La Costituzione degli Stati Uniti d’America, le numerose costituzioni in Francia e quelle Italiane in epoca napoleonica, lo Statuto Albertino e la Costituzione di Weimar che all’art.1 affermava che “Il Reich tedesco è una repubblica“, la Costituzione della Repubblica Italiana ecc. Ognuna ha proprie caratteristiche ed è servita a bene organizzare lo Stato. Certo nel corso del tempo ciascuna ha anche rivelato le proprie insufficienze e per questo esse o sono state cambiate o rivedute o vi sono state fatte delle aggiunte, tipici gli emendamenti della costituzione americana.
Lo Stato però, prima di darsi una modalità di organizzazione stabilisce, in genere, la natura dello Stato che può essere “repubblicana” o “proprietà del sovrano”, Unione di Stati o Federale nelle diversissime forme che sono rintracciabili o “di Dio”; da questa decisione dipende la modalità di gestione dello Stato. Così, ad esempio, in Italia la sovranità appartiene al popolo, ma questo non la può esercitare ad arbitrio ma “nelle forme e nei limiti della Costituzione.” Mentre in quella della Repubblica Austriaca, dal popolo emana il diritto della repubblica democratica, ecc. Espressioni diverse che rispondono agli intenti delle situazioni storiche e che sono modificabili attraverso una seria e precisa riflessione politica sul bene comune e sul bene civile.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana non ricorre mai il termine “democrazia”, ma solo quattro volte l’aggettivo “democratico”; non si spreca il termine ad ogni piè sospinto come fanno i politicanti che invocano la democrazia in ogni momento ed in ogni situazione, soprattutto attribuendo a se stessi l’essere “democratici” mentre gli avversari sono “fascisti” o, dato il logoramento del termine, “populisti”. Nella Repubblica Italiana tutti sono “democratici” nella prassi della partecipazione allo Stato, mediante libere elezioni e si spera con buona legge elettorale. Perfino i sindacati sono richiamati a ciò dalla Costituzione stessa (art. 39). Se poi nelle segrete vie dell’intelletto di ogni cittadino italiano per il fondamentale diritto alla libertà di pensiero e di espressione si è fautori o sostenitori di altra visione, ciò è legittimo, non lo è talora l’espressione pubblica delle proprie idee: Legge Scelba, Legge Mancino, e legge Fiano, che però riguardano solo alcune visioni politiche giudicate negative, mentre altre, come quella del comunismo totalitario che ancora vive in diverse teste italiane e che ha fatto milioni di morti, possono essere palesate e per le quali ci si può organizzare senza che sia posto almeno il problema della “decenza storica” di simile propaganda.
Le affermazioni del cittadino italiano Beppe Grillo sul fatto che la democrazia è superata parlando soprattutto della funzione del Parlamento più che del sistema generale italiano, suscita reazioni negative, indignate, quasi quasi lo si deve condannare e con lui soprattutto il movimento che ha ispirato e che ha di fatto messo all’angolo il partito che si definisce come l’unico “democratico” e vero interprete delle esigenze della comunità statale degli italiani.
Da un lato chi ha lanciato il sasso, ma che non ha una vera proposta organizzata di cambiamento di tutta la Costituzione della Repubblica Italiana, dopo il maldestro tentativo “Renzi”. Dall’altra coloro che considerato il cittadino italiano Beppe Grillo, un tempo molto apprezzato a sinistra, come un populista, un incapace e non sanno che aggrapparsi alla Costituzione, che è pochissimo letta non dico nelle scuole, ma anche da illustri e meno illustri provinciali e comunali politici, che, oltre a non conoscere l’Inno nazionale, dubito conoscano bene la Costituzione.
Il problema è posto, la malattia della democrazia non solo italiana, ma anche europea, è nota e non si tratta solo di burocratismo, di mancanza di partecipazione, di affarismo, di interessi di parte, soprattutto economici, ecc. ma non vi è chi abbia il coraggio, almeno teorico, di proporre qualcosa che non siano, come fatto dalla riforma della Costituzione del 2001 e da quella proposta sotto la regia di Matteo Renzi, aggiustamenti di amministrazione dello Stato. Bisogna avere il coraggio, cosa che non poté realizzarsi con le tre Bicamerali per la riforma della Costituzione, di mettere in discussione anche la prima parte della Costituzione stessa, che non è, ripeto, eterna ed immutabile, non è lex divina che si traduce nell’umano, come intendeva San Tommaso d’Aquino, che certo non trova seguaci nemmeno tra i cattolici superstiti del Partito Democratico.
Il diritto in Italia è positivo (jus in civitate positum), è il diritto vigente in un determinato ambito politico-territoriale, in un determinato spazio di tempo, posto dal potere sovrano dello Stato mediante norme, secondo la definizione più facile e pertanto nessuna legge, nemmeno la Costituzione, è immutabile; in Italia solo, art. 139, “La forma repubblicana non può` essere oggetto di revisione costituzionale.“, ma con altra Costituzione?
Ne segue che ogni articolo della Costituzione, ogni legge può essere modificata a secondo del determinato tempo che la richiede, per questo non possono esistere diritti pregressi, i diritti esistono fino a quando esiste la legge che li prevede, se la legge non li prevede più, essi cadono, come quando lo Stato decise di togliere la pensione di guerra ai legionari feriti combattenti durante la guerra civile spagnola del 1936-39.
Ciò premesso è giunto il momento di ben analizzare la malattia della democrazia che è uno dei possibili modi di partecipazione al bene civile di uno Stato e può assumere modalità diverse, come attestato, ad esempio, dalle diverse leggi elettorali. Inoltre se riteniamo, ricordando Simon Leys, “Studio di inutilità“, Paris, Flammarion 2012, che “La democrazia è l’unico sistema politico accettabile e che ha solo un’applicazione in politica, al di fuori del proprio dominio, non può invadere nulla, perché la verità non è democratica, né l’intelligenza, né la bellezza, né l’amore, né la grazia di Dio”.
Solo una visione riduttiva della vita umana, alla sola “politica”, secondo la nota affermazione leniniana più che marxiana “tutto è politica”, porta a assolutizzare un determinato sistema di gestione dello Stato, anche a discapito della comunità che lo esprime, la quale ha il dovere di considerare non, citiamo Marsilio da Padova, la maggior parte o la volontà generale alla J.J. Rousseau, o, meglio, la linea del partito secondo la modalità del centralismo democratico, ma ciò che è bene per la comunità e in cui il singolo cittadino, consapevole del bene civile, si fa parte diligente dell’accettarlo, perché il bene è a vantaggio di tutte le persone che compongono la società, altrimenti non sarebbe una società, ammoniva Antonio Rosmini. (cfr. il mio “È morta la democrazia, viva la democrazia,” in Homo politicus, Padova,1995, pp.283.302).
Purtroppo ha fatto scuola un brutto machiavellismo, che è in realtà affermazione della propria parte contro tutti e la sua instaurazione come assoluta, il totalitarismo, e pertanto se la democrazia diviene nelle prassi legali un assoluto, incapace di intendere i necessari cambiamenti per il bene civile, allora anch’essa non sfugge ad una visione totalitaria, come è attestato dalla presa del potere di Lenin e di Hitler. Il primo ritenendo che la democrazia non foss’altro che un passaggio per il comunismo, il vero ed unico fine, il secondo abilmente sfruttando il Cancellierato per piegare al nazionalsocialismo tutta la Germania che non si pose, nella maggior parte, il problema se ciò che nacque fosse un bene.
Non vorremmo vedere altri scritti come quello dell’Anonimo Ateniese, “La democrazia come violenza“, Palermo, Sellerio, 1982 o la “Democrazia futurista” di F.T. Marinetti (Milano, Facchi, 1919), ma nemmeno le difese di ciò che con saggezza, come suggerisce il vero grillo parlante, può e deve essere cambiato per rendere proprio la democrazia un servizio al bene civile e quindi una serena e pacata rivisitazione della Costituzione della Repubblica Italiana in tutte le sue parti, magari per riproporle, ma avendole di nuovo ripensate.

Articolo precedenteCrac BPVi e Veneto Banca, i “discriminati” di don Torta “discriminano” VicenzaPiù che propone: don Enrico “benedica” un incontro per una linea comune tra tutte le associazioni
Articolo successivoSezione di Prima il Veneto – Grande Nord a Vicenza città: eletta segreteria con Franca Equizi coordinatrice
Italo Francesco Baldo
Italo Francesco Baldo nato a Rovereto, residente a Vicenza è stato ordinario di Storia e Filosofia nel Liceo Classico "A.Pigafetta" di Vicenza.Si è laureato con una tesi su Kant all’Università di Padova, ha collaborato con l'Istituto di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, interessandosi all’umanesimo, alla filosofia kantiana, alla storiografia filosofica del Settecento e alla letteratura vicentina in particolare Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro Nel 1981 i suoi lavoro sono stati oggetto " di particolare menzione" nel Concorso al Premio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali per il 1981 cfr. Rendiconto delle Adunanze solenni Accademia dei Lincei vol. VIII, fasc.5. ha collaborato con Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Il Tempo, La Domenica di Vicenza e Vicenzapiù Tra le diverse pubblicazioni ricordiamo La manualistica dopo Brucker, in Il secondo illuminismo e l'età kantiana, vol. III, Tomo II della Storia delle storie generali della filosofia, Antenore, Padova 1988, pp. 625-670. I. KANT, Primi principi metafisici della scienza della natura, Piovan Ed., Abano T. (Pd) 1989. Modelli di ragionamento, Roma, Aracne Erasmo Da Rotterdam, Pace e guerra, Salerno Editrice, Roma 2004 Lettere di un’amicizia, Vicenza, Editrice Veneta, 2011 "Dal fragor del Chiampo al cheto Astichello", Editrice Veneta, 2017 Introduzione a A. Fogazzaro, Saggio di protesta del veneto contro la pace di Villafranca, Vicenza, Editrice Veneta, 2011. Niccolò Cusano, De Pulchritudine, Vicenza, Editrice Veneta 2012. Testimoniare la croce. Introduzione a S. Edith Stein, Vicenza, Il Sileno, 2013.