La deresponsabilizzazione penale (del pene): “Agorà. La Filosofia in Piazza”: sul video del Marchese (del) Grillo in difesa del figlio

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Il Marchese (del) Grillo
Il Marchese (del) Grillo

Mettiamo da parte la questione dell’opportunità politica da parte di un soggetto, che tra l’altro ha fatto dell’uso unidirezionale dei mass media la ragione principale del successo del suo movimento, di intervenire in video grondante livore per difendere suo figlio, quando poi ci sarebbero delle indagini in corso.

Su questo già nel 1977 il sociologo Peter Berger avvertiva che, in contrasto con chi descrive la forza irresistibile e omogeneizzante dei mezzi di comunicazione, ci sono prove concrete che il messaggio dei media non viene ricevuto in modo acritico dal pubblico, ma viene reinterpretato attraverso una miriade di visioni del mondo, le quali rimescolano quelle che sono le intenzioni dei cosiddetti manipolatori delle masse e finiscono poi, per ironia della sorte, a ritorcersi contro chi ne ha fatto un uso piuttosto spregiudicato[1].

È per questo che l’esito che si aspettava Beppe Grillo, cioè di prendere le difese del figlio accusato di stupro, si è tramutato nel suo esatto contrario: il popolo del web tra i commenti al video su Youtube si è rivelato piuttosto duro nel giudicare l’uscita infelice; l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è defilato e, da persona per bene che ha costruito la sua immagine di vicinanza al paese in maniera meticolosa nel periodo peggiore degli ultimi 70 anni, tra l’altro giurista di professione, ha scaricato il comico cha fa sempre meno ridere.

Ma veniamo all’argomento principale con il quale il capocomico della compagnia dei pentastellati pretende di difendere il figlio, il presunto stupratore, la cui colpevolezza o innocenza la lasciamo comunque alla giustizia ordinaria.

Diciamo subito che in circostanze come queste l’affermazione della consensualità della ragazza, che accederebbe volontariamente a rapporti sessuali con uno o più uomini per ricavarne piacere, dopo aver bevuto a dismisura, è un argomento classico che viene esibito da quelli che poi vengono sistematicamente trascinati in tribunale come stupratori e non è che funzioni poi così bene come argomento.

C’è da dire che tale consensualità, ostentata dalla parte accusata e negata da quella lesa, sarebbe anche difficile da dimostrare, soprattutto se di mezzo c’è uno stato di alterazione della coscienza causato da sostanze alcoliche o psicotrope, sulle quali a loro volta si potrebbe esercitare una pressione per l’assunzione da parte di chi è in maggioranza e/o fisicamente più forte. Anche solo per questo motivo, la difesa della persona più debole è un presupposto fondamentale della tutela giuridica in assenza di un consenso firmato, che di solito non c’è per i rapporti sessuali occasionali che avvengono dopo una serata in discoteca in Costa Smeralda nella residenza estiva di papà, e basterebbe questo per ritenere dei “coglioni”, come dice giustamente il comico, dei ragazzi che si vanno a impelagare con una ragazza ubriaca, che, invece, dovrebbe essere messa a letto con un secchio accanto al capezzale nel caso in cui dovesse vomitare anche l’anima.

Pare, tuttavia, che ci siano dei filmati come prove sulla presunta consensualità, chissà se si tratti di una formula fatta biascicare in stato di ebbrezza, ma sicuramente i giudici sapranno come muoversi a partire dall’accusa dei Pubblici Ministeri, i quali ritengono che i ragazzi abbiano «approfittato della condizione di inferiorità psicologica e fisica della ragazza».

Più imbarazzante, invece, è la difesa articolata intorno alla presunta impunità e deresponsabilizzazione dell’esibizione virile del pisello davanti ad una ragazza ubriaca, circostanza ilare e goliardica, che dovrebbe far derubricare il gesto da volgare e palese segno di molestia sessuale a bravata di «quattro coglioni che si divertono in mutande e saltellano».

Sia detto veramente al di là della vicenda giudiziaria in corso, al di là della sofferenza delle persone coinvolte, dalla ragazza che avrebbe subito uno stupro e poi deve anche subire l’accusa di essere una millantatrice, con tutto il coraggio che ci vuole per denunciare qualcosa che ti lacera il corpo e ti lascia per sempre il segno nell’identità pubblica, ma anche nella sofferenza che adesso – perché prima pare che si siano divertiti – devono affrontare quei ragazzi, la cui pena potrebbe essere davvero pesante per il loro futuro e, infine, anche per un padre politicamente ingombrante, visibilmente alterato, che nella migliore delle ipotesi ha un figlio coglione, ma nella peggiore un figlio stupratore.

Eppure, è tutta in quell’operazione linguistica, che consiste nel pensare che deresponsabilizzare gli atti sessuali, esibire il pisello nella gara a chi ce l’ha più grande davanti ad una ragazza e poi magari sbatterglielo in faccia, come si vede nei migliori video porno prêt-à-porter, sia figo e segno di virilità, traendone anche un sano divertimento, che vi è la peggiore caduta culturale e morale di chi si espone pubblicamente affermando qualcosa del genere.

Chissà, forse si educano così i figli maschi, cioè pensando e dicendo che, al di là del reato imputato, vero o presunto, portarsi in branco a casa una ragazza ubriaca e divertirsi con il pisello in mano in sua presenza, si possa, al massimo, incappare nell’essere apostrofati “coglioni”, ma evidentemente i figli coglioni da qualcuno quei modi e quei ragionamenti li avranno anche ereditatie forse non bisogna andare molto lontano: talis pater, talis filius.

Certo, da padre di figlie femmine non è proprio esaltante come argomentazione e, alla fine, non è che si sta proprio tranquilli se ci sono in giro personaggi politici, a capo di movimenti che raccattano milioni di voti, che si esprimono in questi termini, deresponsabilizzando i maschietti per l’uso improprio del pene, ma si sa, il Marchese del Grillo era un uomo esuberante, ricco, ma di scarsa cultura, che usava prendersi gioco sia dei nobili sia del popolani, sprezzante delle regole, che pretendeva valessero solo per gli altri, al grido di «Honestà, honestà», e così, invece di starsene in silenzio, non perde occasione per affermare ancora una volta: «Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo!»

[1] P. Berger, R. Neuhaus, To Empower People, American Enterprise Institute, Washington D.C. 1977.


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a cura di Michele Lucivero

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