Non a caso ieri ci eravamo soffermati sulla manifestazione del 31 maggio organizzata dai complottisti dei Gilet arancioni, svoltasi senza distanziamento sociale in una gremita Piazza del Duomo a Milano con personaggi alquanto discutibili. Infatti, a distanza di due giorni, le
stesse forze eversive, anche se magari all’italiana, che avevano raccolto l’invito del generale Antonio Pappalardo, si sono presentate all’appello pomeridiano in piazza del Popolo a Roma dopo che altri amici di destra, Salvini, Meloni e un, per la verità, imbarazzato Tajani, con slogan e bandiere similari, avevano sfilato la mattina tra piazza Venezia e via del Corso.
A dire il vero Giorgia Meloni era stata chiara il giorno prima della manifestazione, almeno così aveva affermato pubblicamente, e aveva assicurato che quella del 2 giugno sarebbe stata una parata ordinata di amministratori con tutte le dovute precauzioni e che le folle sarebbero state poi chiamate a raccolta solo il 4 luglio in tempi meno critici con il Coronavirus in agguato.
E, invece, è successo un bel pasticcio con i compari di destra che siedono in Parlamento per sparigliare un po’ le carte della politica nostrana che dopo diversi mesi di astinenza questo manipolo non poteva scegliere sede migliore di quella romana per rammemorare i tempi in cui avrebbero avuto la meglio e udienza presso il Re.
Ma, purtroppo per loro, hanno scelto la data del 2 giugno e, sebbene per loro possa sembrare anche una pesante provocazione, in realtà la circostanza di aver scelto la data della Festa della Repubblica per marciare su Roma, anche se hanno stigmatizzato il mandare a fare in culo il Presidente della Repubblica da parte delle truppe del generale Pappalardo, conserva la stessa infelice ironia di mandare a quel paese la propria fidanzata nel giorno di San Valentino.
Certo, Salvini lo conosciamo, lui con queste situazioni ci va a nozze: dice, non dice, fa dire agli altri, s’immischia, si sfila, dichiara in tempi di secessione «di non avere un cazzo da festeggiare il 2 giugno», ma poi si veste del tricolore, portandolo da mesi sulla mascherina, seppur rigorosamente abbassata per “selfare” più liberamente, perché anche in quello lui obbedisce ad una logica ormai molto chiara, che è il frutto di un’ambiguità tesa solo a strappare consensi elettorali cogliendo frutti nel pantano del risentimento sociale.
Ma Meloni e Salvini me li immagino falsamente basiti con sottese espressioni di sollucchero mentre rilasciano nel pomeriggio dichiarazioni ufficiali distanzianti (al suono di «parole offensive che Fdi condanna senza se e senza ma, che non condividiamo in nessun modo e dalle quali prendiamo fermamente le distanze» e «chi ha offeso il presidente Mattarella, e con lui tutte le vittime di mafia, si deve solo vergognare, non rappresenta l’Italia e gli italiani»).
E nulla hanno fatto, loro che sempre si richiamano al rispetto delle leggi (da parte solo dei migranti o clandestini come li chiamano loro?), con alcune centinaia di loro fan che di mattina scalpitavano, marciavano e inveivano, è un loro diritto per carità ma rispettando le norme tra cui quelle del distanziamento sociale, contro le istituzioni, che, tra l’altro, erano presenti lì con loro, soprattutto nella figura di Antonio Tajani, esponente di spicco della politica italiana ed europea.
In effetti, e ancora una volta tocca affermare che di questi tempi davvero ci fanno rimpiangere l’era Berlusconi, quando almeno venivamo distratti, tra un bunga bunga e l’altro, da questioni che solleticavano segretamente la fantasia di ogni maschietto, i più imbarazzati e meno inclini ad essere confusi con il popolo di estrema destra di Forza Nuova e a poca distanza di tempo, idee e luogo, dei Gilet arancioni sono proprio gli esponenti di Forza Italia, con Annamaria Bernini e Licia Ronzulli che, addirittura, si defilano e osservano in disparte la ressa ormai incontrollata.
Ora, potremmo parlare ancora dello svolgimento di una manifestazione in barba alle regole anti-contagio, ma quello l’hanno già fatto in molti e poi non ci si addice la figura della guardia civica che punta il dito, e non solo, contro chi non rispetta le regole, fossero anche regole discutibili. Siamo del parere che in questi casi la responsabilità sia il metro di giudizio per imputare qualsiasi azione al soggetto, che assume liberamente le proprie decisioni e debba farsi carico anche delle conseguenze.
Ciò che, invece, ci sembra davvero ridicolo e paradossale è la sorpresa di Vito Crimi, il rancore di Anna Macina dei 5 stelle, ormai incardinati nelle strutture del potere, che lamentano la sediziosità, la pericolosità della platea destrorsa e dimenticano impunemente che anche il Movimento 5 stelle, quando era Beppe Grillo a muovere le fila anche se ora pare ravvedersi di certe scelte, aveva trovato vantaggiosi accordi con Casa Pound, portandola addirittura in Parlamento.
Forse, parafrasando un famoso detto che sottende una profonda strategia politica, in questi casi il Parlamento val bene una ressa.