La didattica dall’aula al web, il conflitto tra competenze: quella “intellettuale cognitiva” e l’altra “umana intersoggettiva”

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Didattica a distanza e in presenza
Didattica a distanza e in presenza

Probabilmente all’inizio molti docenti hanno accettato positivamente la sfida di lanciarsi in una nuova impresa esistenziale e lavorativa, anche perché, mossi dalla specifica vocazione pedagogica che li contraddistingue, non hanno voluto lasciare che la depressione della solitudine generata dall’isolamento del Coronavirus vincesse sui ragazzi e così tantissimi di loro si sono lanciati nell’avventura rappresentata dalla didattica a distanza.

E lo hanno fatto in tutti i modi possibili, investendo tempo ed energie per comprendere come riuscire ad agganciare i ragazzi e le ragazze pur mantenendo le dovute distanze fisiche. Poi dopo un po’ di tempo una buona parte di quei docenti si è accorta che, nonostante quello che potesse apparire, la mole di lavoro si era moltiplicata, soprattutto perché si trattava di riorganizzare tutto il lavoro svolto per una vita scolastica in presenza secondo modalità diverse e allora è subentrato lo sconforto e le prime avvisaglie di un nuovo atteggiamento di sfiducia generale, c’è stato anche chi ha cominciato a gettare la spugna e a frenare la corsa, se non proprio quella che era una rincorsa ai ragazzi, che, da parte loro, non si lasciavano facilmente catturare nella rete, nel web.

È importante, tuttavia, sottolineare un aspetto fondamentale prima di cominciare a valutare la funzione e l’efficacia di questa nuova modalità di fare didattica in una situazione che deve prevedere un distanziamento sociale e, di conseguenza, essere attivato, letteralmente, in assenza, che sarebbe poi il contrario e l’alternativa alla didattica in presenza.

Occorre tenere presente, per progettare qualsiasi azione educativa efficace, che nella scuola, cioè in quel contenitore dove mandiamo i nostri figli e le nostre figlie non per parcheggiarli e concederci dei momenti di svago, ma per permettergli di diventare autonomi, liberi, competenti a livello sociale, morale, civico, ecco nella scuola è possibile stimolare e attivare due diversi livelli di competenze: una competenza che definiremo intellettuale cognitiva, vale a dire relativa alla trasmissione di un complesso di informazioni, di conoscenze e una competenza che possiamo definire umana intersoggettiva, legata ad un approccio emotivo, caratterizzato dalle relazioni affettive, fatto di atteggiamenti ricchi di attenzioni e prossimità, pensato per attivare una profonda empatia, cioè un sentimento nobile di immedesimazione nell’altro, un tentativo di provare a sentire con l’altro e per mezzo dell’altro.

Dopo l’avvio perlopiù spontaneo e immediato della didattica a distanza da parte dei docenti, mentre il Ministero della Pubblica Istruzione, il garante della privacy, il tavolo tecnico e la task force si chiudevano in camera caritatis per decidere come procedere, ma in realtà le risposte sarebbero arrivate solo dopo mesi, gli insegnanti si sono subito accorti che la didattica a distanza poteva funzionare, ed in effetti ha funzionato, ma evidenziando il divario tra le due tipologie di competenza che la scuola dovrebbe stimolare.

In qualche modo si può a buon diritto affermare che nelle scuole medie inferiori e, soprattutto, alle superiori, la didattica a distanza ha funzionato discretamente, mentre non ha funzionato del tutto nelle scuole primarie e non ha funzionato affatto nelle scuole dell’infanzia e con le ragazze e i ragazzi con disabilità, mostrando chiaramente quello che è il discrimine a livello pedagogico tra i diversi ordini di scuola.

Ci si è accorti che esiste una frattura didattica e pedagogica insormontabile tra una scuola in cui si sta “in presenza”, perché il suo obiettivo è quello di educare, cioè di stimolare le competenze umane intersoggettive, ed una scuola, che viene dopo che la prima abbia fatto il suo corso, in cui l’obiettivo è quello di istruire, vale a dire di fornire conoscenze, informazioni, e per questa modalità l’azione a distanza potrebbe anche andare bene, giacché sulla base di questo principio si fonda quella che da qualche anno è diventata la pletora di università e scuole online che offrono diplomi e lauree senza esser mai venuti in contatto con persone fisiche, se non nella sessione finale….proprio come faremo noi in tempi di Coronavirus.

È chiaro, ormai l’hanno detto in molti e non è il caso di ripetersi, che la didattica a distanza non è scuola e questa solitudine prossemica generata dall’isolamento e dal distanziamento sociale, questa socialità virtuale che si riduce ad emarginazione, non può costituire la regolarità, soprattutto per quella tipologia di scuola che deve educare. Lo stare in prossimità, la vicinanza fisica, soprattutto per i più piccoli e le persone con disabilità che sono nelle nostre scuole, è fondamentale per dare calore e imprimere una direzione precisa a quelle azioni educative che necessitano di sostenere la motivazione e l’impegno, anche perché il controllo educativo a distanza, ce lo dicono tutti i maestri e le maestre, oltre agli insegnanti di sostegno, non funziona affatto con la didattica a distanza.

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