Affronto la vicenda della cessione della Fiera di Vicenza (che mi piace ricordare anche come Ente Fiera di Vicenza) sulla base non dei dati “ufficiali” trasmessi dai diretti interessati, ovverossia da coloro che avevano titolo per trattare questa faccenda, ma sull’onda della memoria e delle sensazioni provate ai vari annunci. Lo faccio volutamente perché tento di afferrare non una verità ufficiale che spesso risulta di incerta comprensione da parte degli sprovveduti, ovverossia della stragrande maggioranza delle persone “normali” compreso lo scrivente, ma per tentare di comprendere la “verità” del sentire della gente.
La nostra Fiera per decenni è stata un fiore all’occhiello di ogni vicentino. Prima quando era sistemata nel complesso dei Giardini Salvi. Poi quando è stata costruita quella nuova, e via via quando questa si ingrandiva. Il padiglione in legno dei Giardino Salvi, una volta svuotato della primitiva funzione, è servito ad ospitare una delle più belle mostre degli artisti di un gruppo, nato poco dopo la fine della guerra, che si chiamava la Bilancia, con esposte molte opere di Romano Lotto, Nereo Quagliato, Luci Sonda Perin, Laura Stocco, Anna Saugo, Giorgio Peretti, Miraldo Beghini, Erasmo Zancan, Gabri Chemello, Adriana Marchetto, Anna Maria Ricci Lucchi e Piero De Pellegrini sperando di non aver dimenticato qualcuno.
Fu una rassegna molto importante, visitatissima e rappresentò, in pratica, un insieme di mostre personali che raccontavano, complessivamente con più di duecento opere, la storia e l’evoluzione del gruppo. Non vi era, allora, un assessore alla crescita ma un autentico assessore alla cultura, una persona straordinaria e particolarmente attenta ai valori autentici che venivano espressi e difesi, Franco Volpato.
Poi vengono i tempi difficili ma, pur con fatica, la Fiera riesce a difendersi e a difendere la nostra economia, i nostri operatori e anche il nostro orgoglio. La perla è data dalle rassegne dedicate all’oro. Infatti per tutti noi, gli sprovveduti, essa era la “Fiera dell’Oro“.
Poi qualcuno, in anni più recenti, qualche valutazione errata deve pur averla fatta se un semplice calcolo della possibilità di operare, come poi è stato fatto, avrebbe dovuto dettare prudenza. Un utile annuo di pressappoco un milione di euro, cosa dignitosa, non poteva dare avvio a un debito sostenibile, di decine di milioni di euro. Non vi era spazio né per pagare gli interessi, seppur modesti, né tanto meno per restituire il capitale. Ma un ragionamento così banale lo fa qualsiasi persona di buon senso. Quindi è naturale che le cose si complichino.
La banca creditrice, la Banca Popolare di Vicenza, si volatizza. Chi subentra, pensano ai piani alti, di certo busserà presto alla porta dei debitori. In questo caso il Comune di Vicenza con il sindaco Achille Variati, la provincia di Vicenza con il presidente Variati, la Camera di Commercio con il presidente Paolo Mariani, poco altro in termini di quote.
Ma i quattrini necessari a sanare una situazione molto difficile non ci sono proprio. Salta il tentativo di altre fusioni. La crisi non demorde. Vi è uno spiraglio di possibile soluzione: Rimini e la sua fiera. Una grande fiera, con un grande progetto di espansione e allora non rimane che dialogare con il Presidente della Fiera di Rimini Lorenzo Cagnoni. Un personaggio inossidabile, d’acciaio. E l’accordo si fa, e a Vicenza giunge la buona, si fa per dire, novella, che viene raccontata come un ottimo affare.
Era stato raggiunta una soddisfacente ed equilibrata soluzione. Del debito esistente (40 milioni di euro all’incirca più un derivato milionatio, ndr) si parla poco, quasi niente. Si sa che entra nella partita e che se ne accollerà il peso la nuova realtà, la Italian Exhibition Group SpA (IEG).
I vicentini si chiedono dove finirà la tanto amata Fiera dell’Oro? Tranquilli, sarà potenziata, arriveranno molti soldi, si ingrandirà il tutto. Andremo tutti assieme, i vicentini con i riminesi alla conquista del mondo fieristico.
Ma, parlano sempre i vicentini dubbiosi, la nostra storia, il nostro nome, la nostra economia chi la tutelerà? Tranquilli. Abbiamo ottenuto che Vicenza esprima il vice presidente con deleghe importanti, un altro posto in CdA e il direttore generale. Cioè quello che in realtà controlla tutto. Applausi. Ci manca poco che si facciano suonare tutte le campane di Vicenza.
Ma i nomi e i cognomi? Tranquilli. Matteo Marzotto, Corrado Facco, l’ex sindaco di Schio Luigi Dalla Via. Tutte persone che danno grandi garanzie di tutela degli interessi vicentini. Dice il sindaco Variati (Il Giornale di Vicenza) “…e’ stata un operazione strategica che a breve porterà a Vicenza finanziamenti per decine di milioni con l’obbiettivo di sviluppare il quartiere fieristico. Senza la fusione non sarebbe stato possibile uno sviluppo che consentisse alla Fiera di competere sulla scena internazionale“.
Squilli di tromba, rulli di tamburi che non fanno sentire lo stridore delle quote assegnate: Fiera di Rimini 81%, Fiera di Vicenza 19% che per la città diventa pressappoco un 6,30%. Ma teniamolo pure tutto assieme questo 19% e dopo un po’, poco più di un anno, ti arriva la verità riminese: Facco esce di scena, come pure Dalla Via sia pur sostituito da Michela Cavalieri. Matteo Marzotto rimane vice presidente ma senza delega e senza vicariato. Arriva, assieme al presidente Cagnoni che non perde un colpo, un suo storico collaboratore, l’ex DG della Fiera di Rimini, Ugo Ravanelli che ora svolge la funzione di Amministratore Delegato. In pratica l’asso nella manica di Cagnoni.
Il tutto, dopo un anno e mezzo di una fiera raccontata come una grande operazione frutto della capacità imprenditoriale dei nostri eroi, Variati e con lui Marzotto e Facco, che si risolve in un paio di posti in CdA, per dovere di rappresentanza di una realtà, la nostra, che forse non è proprio più nostra. C’è un passaggio (Il Giornale di Vicenza) di una dichiarazione rilasciata da Facco, dopo aver rifiutato una offerta da parte del nuovo AD Ravanelli che recita “Ho dovuto, mio malgrado salvaguardare la mia reputazione manageriale e la mia dignità personale“.
Qui gli applausi ci stanno bene. Ma non si comprende come mai Matteo Marzotto non abbia sentito la stessa necessità.