Due notizie, una di interesse nazionale l’altra locale, offrono spunti di riflessione in materia di beni culturali e ancor di più di quel gioco al massacro (ai danni del patrimonio storico-artistico e paesaggistico nazionale) rappresentata dalla loro ‘valorizzazione’. Due giorni fa Il Fatto Quotidiano pubblicava un articolo di Tomaso Montanari dal titolo Colosseo, l’affare milionario: l’arena apre a eventi pubblici attraverso il quale lo storico dell’arte stigmatizzava la decisione presa dal Ministero del Beni Culturali (Franceschini) di aprire un bando da 18,5 milioni di euro per rifare l’arena al Colosseo e consentire così che il più grande anfiteatro del mondo, uno dei siti storici, artistici e culturali più visitati su scala mondiale possa presto diventare quinta scenica per eventi “pop” di ogni genere e di grande attrattività. Come ve ne fosse bisogno.
E se a Roma i fautori di politiche culturali e turistiche usa-e-getta (ma non eravamo entrati in una nuova era?) sembrano attendere con impazienza la fine della pandemia per tuffarsi con la faccia nel piatto del nostro bene più pregiato, il patrimonio culturale, a Vicenza si fa i conti con l’agonia del progetto delle serre di Parco Querini, accompagnato, come spiega l’articolo del Giornale di Vicenza di due giorni fa, da una indomabile malasorte.
In effetti, da quando ha ripreso vigore (inizio dell’estate del 2016) grazie al cosiddetto “Bando del bilancio partecipativo” il progetto sembrava correre su una strada tutta in discesa, spianata dal quel formidabile macinasassi che è stato il “Bando Periferie” di cui Vicenza, come altre città, ha potuto beneficiare e del quale la giunta Variati si è incensata per mesi. Un bando dal nome tautologico, chiamato così perché i fondi erogati – almeno sulla carta – sarebbero dovuti andare alle periferie, ma dalla natura anfibia dal momento che, si è poi capito, l’obiettivo di riqualificare le periferie non era così stringente anzi: quelle, anno più o anno in meno, potevano aspettare.
L’articolo del Giornale di Vicenza fa sapere che, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, date le premesse e soprattutto le promesse, il progetto serre si è rivelato un vero calvario segnato da “ostacoli”, “critiche al progetto”, “contrarietà di alcune associazioni”, “bonifiche”, “ritrovamenti” e da ultimo, sciabolata finale, dalla “pandemia”. Un inciampo continuo e progressivo che ricorda, traslato in tutt’altro contesto, quella scena memorabile dei The Blues Brothers, quando Jake (John Belushi) per spiegare il motivo della fuga dall’altare alla sua ex fidanzata, pronta ad ucciderlo per questo affronto, le dice: “Ero ….rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto. Una tremenda inondazione. Le cavallette!”.
Non è facile sorridere, o far sorridere, di questi tempi (soprattutto visti i tempi!) e quando accade è un regalo. Sotto questo punto di vista la ricostruzione giornalistica degli stati di avanzamento del progetto serre suona così goffa e aggrovigliata da risultare tragicomica. Caso o calcolo?
Di come si sono svolti davvero i fatti, a partire dal 2013 ad oggi, se ne è parlato in più occasioni, anche su questa testata. Ci limitiamo per brevità a leggere solo gli ultimi capitoli della saga locale offrendo a chi è poco informato sull’argomento qualche utile precisazione.
L’articolo del Giornale di Vicenza riferisce che l’ultima richiesta avanzata dal Comune alla Soprintendenza (si tratta di atti amministrativi vecchi di qualche settimana) riguarda l’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione del nuovo ingresso a Parco Querini da Viale Rodolfi. La ricostruzione giornalistica sembra attribuire all’operato, legittimo e sacrosanto, della Soprintendenza i ritardi lamentati. Una vero paradosso!
La Soprintendenza, si pensi il livello dell’affronto, pretende di fare il proprio dovere: chiede di visionare il progetto (completo in tutte le sue parti e non abbozzato come evidentemente i progettisti hanno fatto), di valutarne l’impatto, di indicare eventuali correzioni e imporre – laddove necessarie – prescrizioni al fine di contenere l’alterazione del bene. Se questi passaggi essenziali non avessero luogo, la tutela del bene culturale, azione dovuta non solo per legge ma come obbligo etico verso le generazioni future, non esisterebbe e il patrimonio culturale sarebbe in balia di sindaci e assessori di turno.
Mi domando chi di noi, a casa propria, sapendo di dover pagare il progettista e l’impresa, a fronte di un progetto esoso e mediocre non chiederebbe migliorie per vedere soddisfatte le basilari necessità funzionali ed estetiche così da evitare scelte irreversibili delle quali poi pentirsi. Nel contesto pubblico questa regola di buon senso evidentemente non si applica. Al contrario si afferma il principio che sia giusto pagare tanto, per avere – se va bene – giusto il minimo sindacale.
Contrariamente a quanto si legge nella cronaca locale, possiamo dire che le varianti che pesano sul groppone del progetto serre di Parco Querini, in termini di tempi di esecuzione e soprattutto di soldi pubblici spesi, non sono quelle che chiede ora la Soprintendenza. Sono piuttosto quelle che, nel corso degli anni, con momenti di accelerazione sempre più marcati, hanno trasformato un intervento misurato e formalmente corretto (si veda le linee guida definite dal progetto preliminare del 2013 qui anche nella nota del Comune, ndr), basato sui principi del restauro e sul rispetto delle preesistenze storiche e archeologiche, in una mega struttura, esageratamente costosa, che usa il bene culturale per trarne parassitariamente vantaggio. Il progetto in corso di realizzazione, frutto di scelte fortemente opinabili altera l’integrità del parco storico e costruisce nuovi volumi in un’area dove il Piano del Centro Storico lo impedisce (a meno di una variante), inducendo, con le nuove funzioni, a un uso improprio del bene culturale.
Il progetto voluto a tutti i costi dalla giunta Variati è passato poi nelle mani di quella Rucco senza alcuna riflessione critica, né ripensamento. Nessuna presentazione alla città della genesi e dell’evoluzione del progetto, del rapporto costi-benefici (è pur sempre un’opera pubblica!). Ignorato il punto di vista delle associazioni che opponevano (e oppongono ancor oggi) motivate critiche all’intervento, così come quello di due rappresentanti di spicco della amministrazione in carica: sappiamo che la consigliera Soprana e la presidente della biblioteca Bertoliana, Visentin, nel giugno del 2018 hanno sottoscritto la petizione lanciata dalle stesse associazioni – 2500 firme, del tutto ignorate – affinché il progetto venisse sospeso e rivisto. Un’ulteriore difficoltà sfuggita al cajer de doléance del Giornale di Vicenza che va dunque aggiornato.
In effetti, più passa il tempo e più sembra che il sindaco Rucco abbia deciso di far felice l’ex assessore Dalla Pozza coronando il suo sogno incompiuto: quello di portare a termine, così come l’aveva concepito, il progetto di restauro e riconfigurazione delle serre. Un restauro di un bene culturale promosso e sostenuto da Civiltà del Verde che credeva fermamente nel loro recupero filologico, materiale e funzionale, per dare completezza ad un intervento di restauro secondo i principi della Carta di Firenze da estendere quanto prima all’intero parco storico avvalendosi della lezione di interventi simili, straordinariamente belli sparsi in giro per l’Italia e non solo.
Ma lo sguardo dell’ex assessore, s’è capito, puntava a ben altri orizzonti. Si doveva realizzare – costi quel che costi (è proprio il caso di dirlo) – un “bar ristorante aperto anche di sera” avvantaggiandosi della bellezza del parco e della funzionalità delle serre, replicando lo stile predatorio del bene comune di cui si parlava all’inizio. Una funzione commerciale da offrire “chiavi in mano” a privati, pensata per “valorizzare” il parco (come ve ne fosse bisogno!) collocata in un manufatto di nuova costruzione il cui costo, stando alle dichiarazioni di Dalla Pozza, superava quello del restauro delle serre. Un nuovo corpo di fabbrica, oggi modificato e ben più invasivo dell’originario, orientato a nord-est e raggiungibile grazie all’apertura di un varco sull’antico muro medievale che consentiva (e consente tutt’ora) di raggiungere uno spazio capace di ospitare “banchetti di nozze o buffet aziendali”. Testuali parole (https://www.comune.vicenza.it/albo/notizie.php/80533). Rimane solo da capire se Rucco, convinto com’è della bontà del progetto, farà sue anche queste.
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