A uno sguardo disincantato della realtà, lo scenario è desolante, tra guerre, crisi energetica, rincari, atrofia sociale e sopravvento del mondo virtuale. È facile individuare i problemi, che sono tanti, piccoli e grandi.
Eppure questo resta il tempo del benessere.
E, in tempo di benessere, perché sacrificare parte del proprio spazio e delle proprie energie per dedicarsi alla costruzione di un tipo di felicità diverso da quella individuale? Perché privarsi di un pezzo della propria serenità quotidiana per restituire al contesto colori più decisi? Perché cercare la soddisfazione di là dal possesso di beni materiali?
L’individualismo sfrenato crea una frattura insanabile tra Società e Stato.
Lo Stato non è entità a sé. È organizzazione che dipende dalla partecipazione dei cittadini, dalle sollecitazioni che provengono dal basso, dalla possibilità concessa al Popolo di scegliere con consapevolezza. Solo uno Stato partecipato può davvero assumere decisioni che incidono sulla vita di tutti, per il miglioramento.
Questo non può non far riflettere sull’idea del benessere come fine, come nuovo paradigma.
Ne ‘Lo spirito dell’Illuminismo’, Tzvetan Torodov racconta che «nei tre quarti di secolo che precedono il 1789 è avvenuto quel cambiamento radicale che più di ogni altro è responsabile della nostra attuale identità. Per la prima volta nella storia gli uomini decidono di prendere in mano le sorti del proprio destino e porre il benessere dell’umanità come fine ultimo delle proprie azioni. È un movimento che emana dall’Europa intera e non da un solo Paese, e si esprime attraverso la filosofia e la politica, la scienza e le arti, il romanzo e l’autobiografia».
Comprendere a fondo quel che accadde all’epoca può aiutare a intervenire per il cambiamento di oggi.
Grazie all’Illuminismo, affermava anche D’Alembert con eccessiva euforia, in tutti i Paesi in cui «domina l’Inquisizione prevarrà la vera filosofia, la quale, con la diffusione generale e subitanea della propria luce, sarà più potente di tutte le forze della superstizione, poiché tali forze, per quanto grandi, sono vanificate non appena la Nazione è illuminata».
Questo entusiasmo illuminista e la voglia di darsi agli altri sono oggi pressoché nulli.
Ci si disinteressa dei problemi attuali, nella convinzione che riguardino sempre altri, o, meglio, ci si rifugia nel conforto della lamentela, per quello che non va e che potrebbe andare meglio. Poi accade che non si trovi personale per far funzionare adeguatamente i Pronto soccorso di tutta Italia. Si cercano medici, persone con competenza, e con passione.
Si resta avvinti dal vortice del quotidiano e ci si convince che i propri impegni siano sempre la priorità. Ci si concentra sul proprio lavoro e non ci si accorge che le attività lavorative sono soltanto una parte piccola delle responsabilità che spettano a ciascuno. È tra i doveri di tutti anche quello di contribuire alla realizzazione di un’opera comune. È tra i doveri di tutti il confronto, la relazione. È tra i doveri di tutti mettere in condivisione le idee, per gettare le fondamenta di una Civiltà nuova.
È difficile comprenderlo nel tempo del benessere.
Più semplice quando non si ha nulla. Perché dal nulla, la necessità si fa virtù.
Invece è proprio nell’epoca del finto benessere che maggiormente serve ritrovare la rotta e scoprire che la Felicità vera è altro.
Ma non tutto è perduto. Fino a quando ci saranno persone coraggiose, disposte a investire in progetti comuni, la Rivoluzione culturale sarà sempre promessa che si può mantenere.
L’obiettivo si raggiunge a piccoli passi, con il contributo di tutti. Goccia a goccia, è possibile scavare la roccia. Senza arrendersi. Senza cedere. Includendo chi ha voglia di fare la sua parte.
Il benessere divide. E invece l’unione degli intenti e delle forze è l’unica strategia possibile. Soltanto con un lavoro di coesione è possibile creare quella civiltà che fa dello Stato uno strumento per la realizzazione di un mondo migliore.