La guerra dei sessi e la fattoria degli animali: VicenzaPiù risponde al blog di Nadia Somma su Il Fatto Quotidiano. Misoginia o misandria?

590

Alla fine degli anni ’90, quando D’alema prese il posto di Prodi, in un paese distratto dalle riforme della Bicamerale, in parlamento si cominciarono a fare “leggi sulle mutande”. La mia piccola intuizione, che maturava sulla sintonia di radio radicale, fu riconosciuta più tardi come la tendenza della sinistra, non solo italiana, a sostituire l’interesse per le questioni sociali con quello delle contese civili. 


Si consolidava una lunga stagione di riforme dove la materia politica passava dalla densità dei rapporti economici alla incertezza dei rapporti umani, dalla contrapposizione delle idee all’ammissibilità delle opinioni. 

Alla mia generazione, (ebbene sì, lo ammetto) abituata a bollare le femministe di sostegno ai radicali di Pannella come stravaganti soggetti dei salotti della borghesia, non sfuggì il cambio di indirizzo. Il nuovo interesse politico non era altro che una generale distrazione di massa, il tentativo di ingraziarsi un vasto elettorato con malferme questioni di genere, del tutto equiparabili agli attuali 400 euro di Salvini per i padri separati in difficoltà.

Allo stesso modo, una maggioranza parlamentare costretta per sua natura a tentennare su vari argomenti economici, a fine ottobre finalmente trova un terreno comune d’intesa. I due ministri siciliani Bonafede e Bongiorno danno lezione di civiltà e di sensibilità civile al mondo, e approntano il “codice rosso”, il disegno di legge che cerca di aprire un varco nell’affocato sistema giuridico italiano, stabilendo una sacrosanta priorità per i reati di violenza sulle donne. Applausi! Si badi bene: nessuna critica alla giustezza del provvedimento, ma il dubbio, che l’interesse della politica per la missione principale di ripartizione della ricchezza possa essere stato sostituito da obiettivi ausiliari, non è sciolto. Un peccato originale italico, come denuncia De Sivo, storico del regno di Napoli, che racconta di quando in data 23 febbraio 1861 una delle prime leggi del parlamento unito diceva che era cominciata una nuova era per l’umanità: “…si commina la multa e la carcere a chi maltrattasse un animale!… E intanto, sterminio d’uomini…”, riferendosi alla taciuta repressione della rivolta contadina che al sud intanto procurava un’ecatombe di esseri umani.

La materia della lotta di genere è materia radioattiva. Toccarla anche solo di striscio espone a un interminabile e spesso sgradito battibeccare; un attimo restarci invischiati. L’aver detto qualche tempo fa che “alla base del decreto Pillon sta l’equipollenza tra le figure genitoriali” ha fomentato la furia di avvocate del pensiero femmina; aver proseguito con “il femminicidio è un falso problema” ha scatenato una guerra senza quartiere. L’ultima pulzella guerriera è Nadia Somma, attivista presso il Centro antiviolenza Demetra di Lugo di Ravenna, che qualche giorno fa, invece di condividere un mio articolo prendendo il link dalla pagina di VicenzaPiu.com, lo prende dal mio profilo social per farmi partecipe, senza possibilità di commentare in replica, delle sue esternazioni e del linciaggio della sua piccola corte di seguaci. Sullo spazio blog de Il Fatto Quotidiano, una delle poche sentinelle della libertà di pensiero in Italia, che ospita anche quello di Somma, appare un suo articolo (che poi è anche l’unico argomento di cui lei tratta) in “risposta”, dice, alle mie idee da patriarca italico.

Ma Nadia Somma non capisce, perché non vuol capire – troppo occupata a spargere pollina nel suo recinto di protette dalla collera maschile. A lei non interessano la parità sociale, la giusta redistribuzione della ricchezza, la pari opportunità di accesso per ogni cittadino alla cultura, al lavoro, alla sanità, alla giustizia. A lei interessa la “specificità” del genere femminile, la quantità di terreno economico e sociale eroso al potere del maschio. A lei interessa fomentare la guerra, esacerbare i toni, estremizzare le posizioni, affinché la provocazione e lo scontro, con lo squilibrato giudizio sociale e giudiziario, possano generare per le donne un guadagno. Invece noi maschi crediamo ancora fermamente ai diritti esposti nell’art. 3 della nostra Costituzione (lo rilegga, signora Somma); e crediamo in una Repubblica che garantisca e rimuova gli ostacoli economici e sociali; non sopportiamo gare di 100 mt piani in cui alcuni cittadini partono con 90 metri di vantaggio. Noi crediamo nei patti, non tolleriamo che si contravvengano. Crediamo in un vincolo che si decida liberamente tra due volontà e che tuteli anche colui/ei che nel tempo non abbia cambiato idea. Troppo comodo avere egemonia in un rapporto edificato sulla minaccia di far ricorso all’autorità giudiziaria o di polizia. Noi vogliamo aver a che fare con esseri umani che non declinino per tutto il tempo i loro bisogni e le loro frustrazioni, giacché i diritti che non sono “pretese”, e che Nadia Somma schernisce, devono essere estensibili a chiunque. Ecco perché il codice rosso, dovrebbe includere tutte le violenze in famiglia, quelle sul lavoro, i delitti contro la Pubblica Amministrazione, quelli ambientali e di mafia, con buona pace di Buonafede e Bongiorno e buonanotte al secchio.

Ma oggi, richiedere regole nei rapporti di genere, prescindendo dalla violenza di quello maschile su quello femminile, è un peccato mortale. Nessuno, oggi, può tacciare di malafede una donna che, parlando della chimica del tungsteno, c’infila una questione di genere. L’ambizione di alcune “guerriere” è quella di creare per tutte le donne uno status e un potere equiparati a quelli di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie mansioni, di poter parlare a propria discrezione di aggressione al femminino e alla libertà della donna per qualsivoglia espressione maschile. Poiché sì: è vero che tutti gli animali sono uguali, ma ce ne sono alcuni più uguali degli altri, come diceva Orwell. E invece bisogna che le donna sciolga l’arcano: essere giudice o concorrente delle azioni di un uomo, non entrambe le cose. Siccome può anche darsi che non sia il solo disagio maschile a creare lo stress nei rapporti di genere, ma anche una donna in via d’emancipazione che non conosce ancora l’orizzonte dell’Eva futura.

E mi permetta, Nadia Somma: l’estremo riferimento astioso agli aspetti del carattere, che io avevo predetto, e che lei con l’accusa di misoginia conferma, adesso può fare il pari con la sua misandria, in piena libertà di pensiero, di parola, e a ciascuno i pistolotti suoi.