La Lombardia non riesce a uscire dal tunnel della pandemia, Lettera43: quei numeri che Regione e Protezione civile non ci danno

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Attilio Fontana in difficoltà col Covid, anche nel mettere la mascherina
Attilio Fontana in difficoltà col Covid, anche nel mettere la mascherina

I contagi aumentano. E l’unica risposta è incolpare i cittadini che non rispetterebbero la quarantena. Il fatto è nessuno spiega chi e come si ammala. O cosa si intenda per guariti. L’unica certezza è il numero dei morti. Che sono persone, non scarafaggi

di Elisabetta Grandi da Lettera43

La curva dei contagi nella città metropolitana si impenna, mentre le sirene delle ambulanze spezzano il silenzio spettrale che da settimane ci avvolge, come in brutto incantesimo.

La famosa eccellenza sanitaria lombarda si è schiantata sotto il peso degli oltre 10 mila morti per Covid-19, metà di quelli di tutta Italia, mentre i vertici della Regione annaspano tra numeri, picchi mancati e miglioramenti che non si vedono, continuando a incolpare del contagio i cittadini che non rispetterebbero il divieto di uscire di casa. Soprattutto, le autorità – Protezione Civile in testa – continuano a snocciolarci cifre e bilanci quotidiani che suonano ormai quasi offensivi nella loro opacità e grossolanità.

IL DATO QUANTITATIVO NON AIUTA, SERVE QUELLO QUALITATIVO
Prendiamo solo l’ultima giornata. A Milano si sono contati 81 decessi. Un numero così, preso in sé, non dice niente, andrebbe bene per contare gli scarafaggi morti durante una disinfestazione, non per esseri umani che vivevano in un contesto sociale. Ora, si vorrebbe sapere, di ciascuno di quegli 81, che età avevano, se andavano a lavorare, in quale zona della città abitavano, se avevano famiglia, se prendevano la metropolitana, se andavano al supermercato e quale. È evidente che il dato quantitativo ormai non aiuta, non serve, se non diventa qualitativo, se non colloca ogni persona contagiata o deceduta al centro di una rete di informazioni che abbia senso per tutti.

LE DOMANDE CHE LA REGIONE NON SI PONE
Un medico di base che opera nella zona nord di Milano mi dice che sta seguendo circa 50 pazienti con sintomi Covid. Seguirli significa monitorarli ogni giorno a distanza e somministrare terapie di farmaci (per lo più antinfiammatori ed eparina). Se moltiplichiamo questi 50 per i circa 1.000 medici di base della città, siamo intorno a 50 mila contagiati. Fossero anche 40 mila, è pur sempre una cifra enorme. Esiste una mappa di questi casi? Perché ancora non si tracciano le relazioni e i contatti almeno di coloro che sicuramente sono o sono stati contagiati dal coronavirus? E soprattutto, qualcuno si pone queste domande?

NESSUNO CI DICE CHI È POSITIVO E CHI PUÒ DEFINIRSI GUARITO
Dopo la débâcle delle mascherine, ora il ritardo riguarda i test sierologici (che fornirebbero un quadro epidemiologico sensato) e il tracciamento dei contagi. Tutte cose che «arriveranno a breve», ma non arrivano mai (quanto al vaccino, è probabile che quando sarà pronto, il virus sarà già mutato). Ci aspettavamo che, col passare delle settimane, i super-esperti del blasonato Comitato tecnico scientifico avrebbero affinato i loro strumenti e le loro ricerche, passando dai crudi numeri ad analisi più articolate. Invece, il macabro rituale dello snocciolamento dei dati si ripete uguale ogni giorno, senza che sia mai stato chiarito chi siano i positivi (solo quelli con tampone positivo?) e cosa si intenda esattamente per “guariti”. L’unico dato certo è il numero dei morti. Che erano persone, però, non scarafaggi.