Il rapporto fra siciliani e mafia è da sempre freudianamente complicato, come non ricordarlo? L’identità si confonde con l’identificazione. Da qui una sorta di atavico senso di colpa. Diffuso, confuso. Non è facile dare parole e immagini a questa difficile convivenza fra sicilianità e mafia.
Per questo l’opera di Franco Maresco, presentata ieri, 6 settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia, “La mafia non è più quella di una volta“, è una scommessa vinta alla grande, un piccolo grande capolavoro, una sorta di montaggio impazzito di documenti recenti, di personaggi veri e viventi davanti alla macchina da presa, di parole e immagini che si rincorrono in una mistura antropologicamente lineare, quasi perfetta.
Una rivisitazione sociologica e morale, quella realizzata da Maresco, con l’utilizzo di due straordinari campioni, opposti e convergenti, la grande fotografa ottuagenaria e vitalissima che risponde al nome di Letizia Battaglia, e Ciccio Mira, personaggio clownesco, buffo e serissimo, dotato di un linguaggio unico, popolaresco, televisivo, da tribuno dialettale della plebe televisiva e di piazza.
L’occasione di questa rivisitazione? I 25 anni dalla doppia strage di Capaci e via Amelio, dove trovarono la morte i due miti dell’antimafia, Falcone e Borsellino, uccisi in due efferati e storici attentati dei corleonesi di Totò Riina.
A un quarto di secolo dagli attentati resta una memoria raccapricciante e disuguale. L’Italia, non solo la Sicilia, rivela attraverso suoi scelti protagonisti di strada, del cosiddetto popolo, sentimenti inspiegabili alla ragione. Indifferenza, rabbia, ostilità, esibito disinteresse alle ricorrenze. Il mitico Mira organizza allo Zen di Palermo, quartiere periferico noto alle cronache meno virtuose, una festa di strada, con palco e cantanti neomelodici. Lo affianca un inspiegabile finanziatore, certo Mannino, impegnato a evitare che si gridi abbasso la mafia. Mira è più abile nel suo afflato clownesco. Ma il risultato è deprimente: poca e chiassosa gente alla manifestazione, esaltazione dei due magistrati per meriti che nulla hanno a che vedere con la mafia, ricorso a ballerine e improbabili canzoni, sciatteria, intervento misterioso di personaggi dubbi che provocano, nelle settimane successive, conseguenze perfino drammatiche.
Non c’è solo questo, naturalmente. Lo sguardo è a 360 gradi. I giovani si radunano, numerosi, davanti all’albero maestoso dedicato ai due magistrati e Letizia Battaglia immortala con sagacia e perfino allegria i testimoni più credibili.
Il film è perfino divertente, canzonatorio, ma il substrato è drammatico. L’Italia che non ha eroi si conferma disunita e sprovveduta, disinformata e tragicamente di parte. La sentenza che condanna gli autori del famoso patto stato-mafia? Ignorata dalla stampa. I Ciccio Mira in apparenza sono i vincitori della scena. Anche se sarà lui, il clown, a dire la frase che darà il titolo al film. Forse qualcosa è cambiato, lo capisce anche lui. Ma sul piano antropologico – immagini, linguaggio, cultura – il cambio ancora non si vede. Bravo Maresco, è forse il miglior film italiano visto da qualche anno a questa parte perché dipinge un’ Italia, una Sicilia, limitate, ridicole e vere.