(Articolo da VicenzaPiù Viva n.6, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr). Da qualche anno assistiamo in tutta Italia ad una martellante retorica di guerra che parte delle scuole, dall’infanzia fino alle superiori, e si diffonde inesorabilmente in tutta la società civile.
Indubbiamente, tale narrazione è funzionale a sostenere l’impegno concreto del nostro Paese in conflitti armati, come quello in Ucraina e quello in Israele, il cui appoggio istituzionale si è palesato in tutta la sua goffaggine in diretta a Sanremo con l’appello della malcapitata Mara Venier, prestatasi a leggere la velina da Minculpop dell’Amministratore Delegato RAI Roberto Sergio sulla vicinanza allo Stato d’Israele davanti al
richiamo della parola «genocidio» da parte di un «alieno» (sic!).
Tuttavia, è il caso di mettere in chiaro che la militarizzazione delle scuole in Italia è cominciata ben prima dello scoppio di questi due conflitti a noi così vicini. Già da diversi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha cominciato a registrare e denunciare una indebita invasione di campo all’interno delle scuole da parte di
rappresentanti delle forze armate addirittura in qualità di «docenti», impegnati nel tenere lezioni su vari argomenti (dall’inglese affidato a personale NATO a tematiche inerenti alla legalità e alla Costituzione).
Tale ingerenza da parte dei militari è possibile, in realtà, perché a partire dal 2015 il Ministero dell’Istruzione (diventato poi Ministero dell’Istruzione e del Merito) ha sottoscritto dei protocolli con il Ministero della Difesa per svolgere i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) direttamente nelle basi militari o nelle caserme.
E la Regione Veneto non si è sottratta a queste iniziative, infatti, anche la città di Vicenza è stata coinvolta in almeno due episodi di militarizzazione, uno riguardante esplicitamente la scuola, l’altro, piuttosto ridicolo, l’intera società civile vicentina.
Nel primo caso ad essere coinvolta è stata la comunità scolastica dell’ITIS «Rossi», molto sensibile, in realtà, alle tematiche sociali e dei diritti civili.
Solo qualche tempo fa, infatti, la scuola si era opposta alle ingerenze dell’Assessora Donazzan relativamente alla proiezione di un docufilm su Gaza e aveva ugualmente reso pubblico il video.
Oggetto della segnalazione nel febbraio dello scorso anno è stato il Progetto Vicenza High School, apparentemente innocuo, dal momento che si trattava di uno scambio tra studenti/studentesse italiani/e e americani/e. In realtà, però, tale iniziativa era assolutamente funzionale alla logica riconducibile ad una pervicace militarizzazione del nostro Paese. Non si comprende, infatti, perché si debbano condurre studenti e studentesse all’interno di una caserma militare, peraltro americana, la cui permanenza sul territorio italiano andrebbe ancora insistentemente discussa, non accettata supinamente.
La segnalazione da parte della società civile vicentina testimonia il fatto che vi è un crescente sgomento su attività che sottendono la familiarizzazione con situazioni di guerra funzionali ad una narrazione ideologica, fomentata ad arte dalla maggior parte degli organi di stampa. È un drammatico copione che si ripete, proprio come accadeva poco più di un secolo fa, quando in tutta Europa si assisteva ad una folle rincorsa agli armamenti, sostenuta da governi nazionalisti.
E a Vicenza il timore di una escalation della militarizzazione è un timore concreto, non solo per la presenza di basi militari americane e NATO, ma anche per la preoccupazione che ha investito la cittadinanza quando la stazione della città è diventata teatro nell’aprile del 2023 di uno scenario tristissimo con il passaggio di un convoglio pieno zeppo di carri armati, destinati ad alimentare la scia di morte che sta devastando il confine russo-ucraino.
Tuttavia, l’altro episodio, davvero imbarazzante, è legato all’accorato appello pubblicato il 3 dicembre 2023 sul Giornale di Vicenza dall’Ufficio Army Community Service per «adottare un soldato statunitense per natale» al fine di «offrire un po’ di calore domestico tipicamente italiano ad un militare americano». Probabilmente, al di là del buonismo natalizio, questa proposta rivolta ai Vicentini arrivava per indorare la pillola circa una ingombrante presenza militare statunitense.
Giova ricordare che nel 2004, in seguito alla richiesta da parte degli USA di ampliare la base militare di Vicenza, notizia diffusa solo nel 2006 alla popolazione, nacque a Vicenza una forte opposizione alla presenza militare americana con il movimento No Dal Molin, ampiamente arenatosi.
Ad ogni modo, la mobilitazione della società civile vicentina si dimostra un ottimo segnale,
perché si comincia a prendere coscienza che la narrazione militarista, foriera di morte, si può invertire. Le politiche securitarie e la «cultura della difesa», che sempre più stanno pervadendo non solo le scuole, ma anche le università e i luoghi in cui si riproducono processi di formazione, sono l’anticamera della guerra: ogni volta che nel corso della storia gli Stati hanno sentito l’esigenza di difendersi, con una conseguente militarizzazione dei luoghi pubblici, tali iniziative hanno insospettito gli Stati viciniori, che a loro volta si sono armati, e condotto a guerre.
Esempi virtuosi di presa in carico da parte della società civile dei processi di costruzione di
narrazioni differenti da quelle interessate agli affari capitalistici e militari ne abbiamo diversi. Si potrebbe far riferimento ai portuali di Genova, che bloccano a causa di una sentita obiezione di coscienza l’esportazione di armi per le guerre in corso. Oppure, ancora, si potrebbe citare il caso dell’amministrazione di Gangi, in Sicilia, che revoca le servitù militari al Ministero della Difesa per la costituzione di un hub logistico-addestrativi per l’Esercito italiano.
Basta prendere coraggio e avviare una riflessione condivisa sul progetto di pace che intendiamo costruire nella società civile, ma a partire, innanzitutto, dalla scuola, anche a Vicenza.