Nell’agosto del 1975 Rossella Corazzin, diciassettenne friulana, di San Vito al Tagliamento, studentessa del liceo classico di Pordenone, era in vacanza, insieme ai genitori, a Tai di Cadore, una frazione di Pieve, nel Bellunese, ospiti degli zii; giuntavi la vigilia del ferragosto, avrebbe dovuto ripartire dopo dieci giorni.
Le giornate trascorrevano monotone, scandite da passeggiatine abitudinarie della ragazza con il padre, nei dintorni del paesetto o nei boschi vicini; a parte gli zii, Rossella Corazzin non conosceva nessuno ed era solita girare con un libro e con una macchina fotografica a tracolla, spesso sedendosi a lungo su una panchina vicina a casa, per leggere.
Aveva una corrispondenza epistolare con l’amica del cuore, sua compagna di liceo, che , in quel periodo, era in vacanza al mare, forse facendo una vita più divertente. In una lettera scrittale in quei giorni, Rossella aveva raccontato di aver incontrato un tale “Gianni”, con il quale, qualche volta, avrebbe passeggiato, insieme alla sorella di lui (tale Giuliana, definita, nello scritto come una “stronza”). Gianni, secondo quanto aveva riferito Rossella, era uno studente di giurisprudenza all’università di Padova, iscritto al secondo anno.
Nel primo pomeriggio del 21 agosto (un giovedì), tre giorni prima del suo previsto ritorno a casa, Rossella disse, in famiglia, che sarebbe andata a fare un giro per scattare qualche fotografia, precisando che, al suo rientro, avrebbe voluto andare, con il padre, a fare una passeggiata. Pare che, quel giorno, avesse anche cercato di convincerlo, ma invano, a rinunciare al consueto sonnellino pomeridiano, raccomandandogli, comunque, di non muoversi da casa e di aspettare il suo ritorno.
Ma Rossella non è più rientrata: verso le 17 sono stati allertati i carabinieri, che ne hanno subito iniziato le ricerche, coadiuvati, già in serata, dal Soccorso Alpino e, poi, anche da unità cinofile.
Nonostante le più accurate e tempestive ricerche, della ragazza non si ebbero più sue notizie. Ci furono alcune confuse testimonianze: di chi l’avrebbe vista a bordo di una macchina rossa, apparentemente addormentata o non cosciente; di chi l’avrebbe incontrata lungo un sentiero, ma alle pendici del monte Antelao, ben lontano da Tai e dal monte Zucco, dove era solita andare e che era vicino alla casa degli zii; e di chi (un’insegnante, che all’epoca si trovava a Pieve) l’avrebbe vista percorrere, da sola e con una macchina fotografica a tracolla (che, effettivamente, Rossella aveva) una stradina sul fianco del monte Zucco che portava ad un posto del quale la ragazza aveva parlato, in una sua lettera, all’amica del cuore: le aveva raccontato che vi era accampato un gruppo di ragazzi strani, capelloni e hippy, che l’aveva incuriosita, tanto da volerci tornare con il padre.
Questa, forse, era la pista giusta: ma la testimonianza dell’insegnante (che avrebbe visto, proprio nel primo pomeriggio del 21 agosto, una ragazza somigliante a Rossella e con un abbigliamento molto simile al suo) è stata assunta solo il 16 ottobre 1976. Forse troppo tardi; infatti, quando è stata disposta la perquisizione della zona ove era insediato, poco lontano, un allevamento di volpi (c.d. “casa delle volpi” o “volpera”), in prossimità del quale erano anche accampati gli “hippy”, tutto era stato abbandonato da tempo e non esisteva più traccia di niente. Eppure Rossella li aveva, di sicuro, incontrati e con alcuni di loro aveva anche conversato; l’aveva detto al padre, che le aveva risposto che era meglio stare alla larga da quella gente…
Insomma, le indicazioni fornite dalle persone che potrebbero aver notato la ragazza, pur se tutte riscontrate, si sono, al momento, riscontrate inconsistenti.
Nulla è stato trascurato: neppure il tentativo di identificare quel “Gianni”, di cui Rossella aveva parlato alla sua amica di Pordenone; venne fatta una capillare ricerca fra tutti gli iscritti alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Padova negli anni accademici 1973/74 e 1974/75, che avessero nomi semplici o composti riconducibili, in qualche modo, a quello (ad esempio Giovanni, Giancarlo, Giampietro …) e che avessero una sorella di nome Giuliana. Ma anche questa ricerca non portò ad alcun risultato.
Di Rossella Corazzin non si seppe più nulla e, il 31 ottobre 1977 fu disposta l’archiviazione del caso, per mancanza di indizi di reità; eppure, erano insistenti le voci (peraltro, mai formalmente confermate) di messe nere e di riti satanici, dei quali Rossella sarebbe stata vittima, consumati da appartenenti a qualche setta insediatasi nelle adiacenze della “volpera”.
Ma nel marzo 1990 giunse alla redazione di Belluno de “Il Gazzettino”, nonché alla Questura del capoluogo cadorino e alla Stazione dei Carabinieri di Pieve di Cadore, una lettera nella quale un ignoto informatore riferì che, ad uccidere la ragazza, erano state “delle persone che facevano messe di satana in una casa sopra Tai, a Forte Fumo” e si indicavano anche i nomi di alcune persone che avrebbero potuto “dire tutto perché (erano) state loro”.
L’ignoto autore della lettera concluse dicendo che non ce la faceva più, dopo tanti anni, a tenere il segreto, concludendo, testualmente: “mi sento liberato !!!”
I nuovi accertamenti svolti, però, non portarono a nulla e gli atti furono nuovamente archiviati, con decreto del GIP in data 11 ottobre 1991.
Della vicenda di Rossella Corazzin, in seguito, si interessò ancora qualche giornale e, nel 1992, se ne occupò anche la trasmissione della RAI “Chi l’ha visto?”, ma senza risultato.
Nel 2003, a seguito di ulteriori notizie di stampa apparentemente utili a far luce sulla scomparsa di Rossella Corazzin, le indagini furono riaperte. Ma le novità preannunciate dalla stampa si risolsero presto in rielaborazioni di elementi già noti. Tuttavia, esse proseguirono nella speranza di trovare altri indizi.
In questo nuovo contesto, fu risentita la madre di Rossella, la quale ribadì l’inverosimiglianza della presenza a Tai del fantomatico “Gianni”, anche perché la giovane usciva sempre con il padre e si assentava da casa, per saltuarie commissioni, solo per pochi minuti; spiegò che, probabilmente, il “Gianni”era il frutto di un’invenzione della figlia che, scrivendo all’amica (che in quel periodo, era in vacanza al mare e che, forse, le aveva raccontato di qualche sua “avventura” estiva), voleva solo farle credere che anche lei stava passando una vacanza piacevole.
Venne risentita anche l’insegnante di Pieve (colei che, percorrendo, in auto, la stradina del monte Zucco per accompagnare il proprio marito, intenzionato ad andare in un certo posto, per cercar funghi, avrebbe incontrato Rossella Corazzin lungo il percorso e nelle adiacenze della “volpera”) e vennero disposti diversi sopralluoghi nel Forte Vaccher (quello dove, all’epoca della scomparsa della giovane, vivevano gli “artisti-hippy” dei quali la ragazza aveva parlato con la sua amica), che è stato trovato in uno stato di completo abbandono, da molti anni.
Non vennero reperite tracce utili alle indagini e le uniche cose di un qualche interesse erano “un paio di riviste ove si parlava di esoterismo”, individuate nei cumuli di rifiuti abbandonati all’interno del Forte.
Ma il vecchio edificio, nel corso degli anni, era stato oggetto di frequentazione da parte di persone di ogni genere, per gli scopi più svariati. Vennero percorse anche tutte le gallerie sotterranee della zona (in origine concepite come vie di fuga in eventuali situazioni belliche) e vennero battuti, con l’ausilio del Soccorso Alpino, vari dirupi e aree impervie nonché ispezionati tutti gli edifici militari dismessi, esistenti sull’intero versante del monte Zucco; ma senza alcun risultato.
Alla fine nel 2006, gli atti vennero ancora archiviati, nulla essendo emerso a carico di qualcuno. Gli inquirenti avevano anche acquisito i diari e gli scritti di Rossella per cercare di capire se, da essi, fosse possibile trarre una qualche ragionevole ipotesi della sua scomparsa. Ma il PM che ha diligentemente diretto la complessa indagine ha constatato che si trattava di diari tipici di una normale diciassettenne, dai quali trasparivano solo gioie, malinconie e sogni tipici dell’età: null’altro.
Lo aveva anche colpito il fatto che, pur dopo molti anni, la madre aveva gelosamente conservato le cose della figlia, lasciando la sua camera così com’era nell’agosto 1975, senza toccare nulla, come se il tempo si fosse fermato allora: e come se la ragazza potesse tornare da un momento all’altro.
Nel 2010 il tribunale di Pordenone dichiarò la morte presunta di Rossella Corazzin.
L’oscura vicenda ebbe un ultimo tragico seguito: nel 2016 Angelo Izzo – noto come il “mostro del Circeo”, in quanto corresponsabile di un grave fatto di sangue ai danni di due ragazze (Donatella Colasanti e Rosaria Lopez) – chiese di essere sentito dal Procuratore della Repubblica di Belluno e gli raccontò che il “Gianni” di cui aveva parlato Rossella era Gianni Guido, il quale aveva una casa a Cortina (a circa 20 chilometri da Tai) ed aveva conosciuto e avvicinato la ragazza, convincendola a seguirlo; lui stesso e i suoi amici l’avrebbero, poi, narcotizzata e portata via, uccidendola.
Ma le dichiarazioni di Izzo, in carcere per due ergastoli, vennero ritenute (dal Tribunale di Perugia) totalmente inattendibili e, per evitare ulteriori tragiche speculazioni su questa vicenda, si è posto fine ad ogni ulteriore tentativo di capire di più sul destino della povera ragazza.
È probabile che questo fosse, in qualche modo legato, a quella passeggiata che Rossella fece, nel pomeriggio del 21 agosto 1975, verso forte Vaccher, dove era insediata una comunità di strani personaggi.
Ma certo è che questa tragica storia venne inquinata (magari anche involontariamente) da testimoni inattendibili e sensazionalisti, nonché da visionari e sedicenti sensitivi, che hanno finito per depistare irreversibilmente gli stessi inquirenti… da possibili soluzioni di quello che rimane un cold case.