Ecco l’incipit orwelliano, ma non troppo, con il quale comincia il libro “La repubblica d’Europa: e se in poco più di un decennio l’Europa scivolasse in una deriva xenofoba, sovranista, violenta, negando i diritti e le conquiste sociali che ha rappresentato per 70 anni?
In un futuro non troppo lontano si immagina un incubo totalitario per il nostro continente, in cui il pensiero perverso di Anders Breivik (l’autore della strage di Utoya nel 2011, che viene puntualmente ricostruita nelle pagine successive) è diventato il credo dominante e capace di orientare le scelte politiche, i diritti conquistati negli ultimi decenni perduti, le paure esasperate e i conflitti acuiti, spostando il nostro continente, e di riflesso il mondo, a un passo dal baratro di una nuova guerra mondiale.
Fatta questa premessa, il libro, firmato dal collettivo Isagor (acronimo di gramsciana memoria che sta per “istruitevi, agitatevi, organizzatevi”) lancia un possibile antidoto per il quale mobilitarsi: la realizzazione della Repubblica d’Europa. La sola capace di ricucire e non dividere, costruire ponti e non alzare nuovi muri, scommettere sulla convivenza e non soffiare sulla paura.
“Una Repubblica unita e indivisibile, democratica, fondata sulla libertà e sulla responsabilità. Niente di meno. Una Repubblica capace di cooperare al governo del mondo, capace di ordinare l’economia, ridimensionando i giganti dell’azzardo finanziario, spazzando via i paradisi fiscali, cancellando il dumping sociale all’interno dei propri confini. Una Repubblica capace di superare definitivamente lo Stato basato su una nazione, capace di fondarsi sull’adesione alla Costituzione che sarà scritta dai cittadini europei. La Costituzione della Repubblica d’Europa sarà elaborata nelle scuole d’Europa, perché è dalla scuola che nascerà la Repubblica.”
Quindi, si sostiene nel libro, che solo il continente europeo potrebbe essere quello spazio pubblico, per forza economica, politica e demografica, capace di affrontare le sfide dell’oggi, siano esse relative ai flussi migratori, alle questioni ambientali e del clima, alla giustizia sociale e al mercato economico globale.
Non è un caso che nella seconda parte del libro, si declinino alcune delle questioni attuali, ritenute cruciali e al tempo stesso a rischio di involuzione antidemocratica: il mondo del lavoro e la sua dimensione di precarietà, oltre che gli aspetti ancora presenti di sfruttamento della mano d’opera; il tema dell’informazione libera e della sua rischiosa difesa (non a caso si citano Jan Kuciak e Daphne Carruana Galizia, entrambi uccisi, nell’ultimo anno e mezzo, il primo in Slovacchia, la seconda a Malta, quindi dentro i confini europei; assassinati per le loro inchieste sugli intrecci tra potere criminale, politico ed economico); la questione della legalità e delle mafie, ormai sempre più transnazionali; il tema del pluralismo religioso e delle sue varie sfaccettature nella quotidianità. La Repubblica d’Europa rappresenta l’orizzonte per governare questo tempo e le sue complessità, avendo il coraggio di stare insieme e fidarci, rifuggendo dalle tentazioni nazionaliste, violente, individualiste. E’ una sfida generazionale: quella che ci pone l’opportunità di superare la concezione degli stati-nazione, mentre un fetta consistente dell’opinione pubblica, al contrario, pare rinculare su posizioni sovraniste.
“Alla sfida che la globalizzazione ha lanciato allo Stato così come lo conosciamo e lo viviamo oggi si può rispondere in difesa oppure si può reagire contrattaccando, proponendo un’alternativa che, assecondando la trasformazione in atto, eviti la deriva dei fondamenti democratici in cui il costituzionalismo del Novecento è cresciuto. In questo senso l’alternativa è una sola, e passa per l’inevitabile costruzione di uno spazio pubblico le cui dimensioni e prerogative siano adeguate ai tempi. Uno spazio pubblico capace di andare al di là dei confini geografici e istituzionali dell’idea dello Stato nazione, senza però fondersi nell’immaterialità delle frontiere del globale. È per questo che lo spazio pubblico di cui parliamo non può che essere lo spazio pubblico europeo, l’unico contesto in cui si può contrastare la violenza escludente dei nazionalisti e allo stesso tempo dare una concretezza alla dimensione globale trasformandola da contesto virtuale a luogo politico.”
La firma del libro, Isagor, racchiude un collettivo di autori: i giornalisti Luca Mariani e Leonardo Palmisano, la giurista Anna Mastromarino, il presidente della Fondazione Benvenuti in Italia Davide Mattiello, Francesca Rispoli dell’ufficio di presidenza di Libera, il sociologo Marco Omizzolo, Mariachiara Giorda e Sara Hejazi che si occupano a livello universitario di storia delle religioni e antropologia.
di Andrea Zummo