Ieri – scrive nella nota che pubblichiamo la Rsu di Miteni – a pagina 8 dell’edizione di Vicenza Il Corriere del Veneto (di sotto* l’articolo, ndr) ha pubblicato una notizia in cui si riportano alcune accuse, che il quotidiano attribuisce ai vertici della Miteni, circa una possibile responsabilità dolosa di dipendenti dell’azienda relativamente ai recenti casi di inquinamento da “GenX“. La Rsu di Miteni rende noto che ritiene offensivi, falsi e addirittura demenziali tali aberranti addebiti.
Al riguardo chiederemo all’Autorità Giudiziaria un incontro urgente, anche al fine di rappresentare alcuni aspetti che a nostro parere non sono stati finora adeguatamente affrontati. Ci riserviamo inoltre l’avvio di ulteriori iniziative ed azioni per ogni opportuna nostra tutela.
Rsu di Miteni
*Miteni, nuove indagini sulle sostanze trovate nel pozzo sequestrato
Un’ipotesi dolosa per l’inquinamento con l’acido GenX nella falda sotto la Miteni. Secondo l’industria di Trissino, che lo ha riferito durante l’ultima conferenza dei servizi, la contaminazione potrebbe anche derivare da un intervento di uno o più dipendenti disonesti in uno dei fori di carotaggio. La tesi è nota anche alla procura di Vicenza, che continua le indagini a tutto campo: dopo il sequestro di un pozzo alla Miteni, mercoledì, gli inquirenti intendono svolgere accurate analisi su quello che è stato trovato nel fondo.
«La discussione ha affrontato tutte le ipotesi – fa sapere Miteni – la distribuzione della presenza di GenX e di C604, dopo la conferma che gli impianti sono a posto, non è tecnicamente spiegabile con l’esercizio. Anche perché si trovano in profondità e non in superficie. Tutte le ipotesi sono quindi al vaglio e le analisi in corso». Fra le possibil cause avanzate ai tavoli c’è appunto quella che questo inquinamento (che riguarda prodotti chimici trattati da Miteni anche in anni recenti, a differenza dei Pfas a catena lunga lavorati fino al 2011) sia stato provocato con un atto doloso da parte di un soggetto diverso da Miteni. Quindi un dipendente o qualcun altro, che avrebbe fatto arrivare l’inquinante direttamente in profondità tramite un carotaggio. La possibile causa è una di quelle ipotizzate dall’azienda nella conferenza dei servizi di martedì, partecipata anche da Regione, Arpav, Comune di Trissino e Provincia. Nello stesso incontro in cui è stata consegnata relazione delle analisi sugli impianti svolte con Arpav per il GenX ad agosto, test che non hanno evidenziato perdite – è stato stabilito dalle istituzioni che l’industria debba, entro due mesi esatti, presentare un piano definitivo di bonifica. Un programma di azioni a carico di Miteni per risolvere una volta per tutte il problema sul sito, decisione salutata positivamente dall’azienda.
In parallelo, mercoledì mattina, Arpav su mandato della procura ha messo i sigilli e posto sotto sequestro il pozzo H, uno degli impianti di bonifica interno all’area Miteni. Al sequestro probatorio, effettuato nell’ambito dell’indagine su Pfas e Miteni condotta dai pubblici ministeri Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner, seguirà un’analisi approfondita di quanto trovato nel fondo. Apparentemente si tratta di pece nera, le prime analisi parlerebbero di un’elevatissima concentrazione di Pfas (200 mila nanogrammi per litro). Negli uffici della procura non si sbilanciano in attesa dei risultati delle analisi: l’indagine, che vede una serie di indagati fra ex e attuali manager di Miteni, potrebbe avere ulteriori e nuovi sviluppi dopo questo ritrovamento.
di Andrea Alba, da Il Corriere del Veneto