La Russia ha preso una decisione che, come molte altre, avrà un impatto forte, questa volta sui mercati: tagliare la produzione di petrolio di circa 500.000 barili al giorno il mese prossimo, pari a circa il 5%, facendo salire i prezzi del greggio.
L’obiettivo è rispondere alle sanzioni occidentali, come già avvenuto con la riduzione e poi il blocco da parte di Mosca della maggior parte delle esportazioni di gas naturale verso l’Europa.
Alcuni analisti, tuttavia, hanno affermato che la mossa riflette le difficoltà della Russia a vendere il proprio petrolio nel contesto delle sanzioni occidentali. Negli ultimi mesi, l’Unione Europea e il G7 hanno imposto al Paese una serie di misure volte a ridurre le entrate petrolifere, una fonte di denaro fondamentale per il suo bilancio.
Queste misure includono un divieto dell’UE sulla maggior parte delle importazioni di greggio e un tetto massimo di prezzo globale di 60 dollari al barile per quello russo.
Domenica scorsa è entrato in vigore un ulteriore divieto europeo sui prodotti raffinati russi e un massimale di prezzo del G7 sugli stessi.
Il Cremlino ha già fatto sapere che non rispetterà nessuna di queste disposizioni. Finora, però, la Russia ha mantenuto stabile la produzione di petrolio. Da anni, inoltre, Mosca coordina attentamente la sua politica di produzione petrolifera con l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, il gruppo di grandi produttori, per lo più mediorientali, che da tempo limitano la produzione per sostenere i prezzi globali.
Venerdì il Cremlino ha dichiarato di essersi consultato con alcuni membri dell’alleanza OPEC+, mentre il vice primo ministro russo Alexander Novak ha spiegato che Mosca non si è confrontata con nessuno, definendo il taglio “volontario”.
Fonte: The Vision