Ero piccola quando ancora giocavo a dare una forma alla città. Mi piaceva definire la mobilità, privilegiare lo spazio per un’attività spostandomi fino alla campagna, unire i pezzi per costruire la strada e i suoi marciapiedi, così da creare una sorta di legante invisibile tra le sequenze.
Mi sembrava tutto chiaro, un continuo urbano che potevo ricombinare a mio gusto.
La città, di nuovo lei, è il criterio guida per questo articolo che tra qualche giorno mostrerà evidenti segni di invecchiamento tanta e tale è la velocità con cui scadono le opinioni, e pure le profezie più avventate: tutte remixate in una specie di agonistica della filosofia del pensiero che prova ad attribuire una leggibilità alla futura nuova normalità. Senza, di fatto, raggiungere il proprio obiettivo perché tocca ragionare per scenari, opzioni, compromessi e probabilità anziché secondo piani e slogan come fossimo davanti a qualcosa di prevedibile.
Ci troviamo sulla soglia intermedia tra mondo A e mondo B.
Porte, finestre, rientranze, corridoi, costellazioni intime, giardini per i più fortunati, una soglia trasparente tra spazio pubblico e privato. L’incredibile distorsione di ciò che era normale, curvata al punto tale da farci paura. Molta paura.
Ho la sensazione di correre sul posto, forse perché la soglia non va subito oltrepassata, propedeutica com’è al mondo B, una palestra linguistica, quel focolaio di nuovo Umanesimo di cui abbiamo bisogno ora che le catene economiche globali si sono interrotte (#momentaneamente).
Internet che mai come in questo tempo è stato soccorso e compagnia, pure infodemia, e bulimia di proposte culturali, insomma qualcosa di simile a un’uscita mentre si stava isolati, si è rivelato lo specchio della soglia intermedia quando ha ricalcato le categoria del mondo A: ipermobilità, sovraccarico di offerta, alta concentrazione. La soglia è il punto di partenza di un complesso processo di passaggio da mondo A a mondo B. Solo che il processo è nuovo, non ne conosciamo i meccanismi e tanto meno le mete. Quindi la soglia si rivela una scomoda incubatrice, un darci del tempo mentre i giorni si impilano uno sull’altro e ripetono liturgie quotidiane di sanificazione, mascherine e webinar (seminario interattivo tenuto su Internet Ndr).
È una collisione di idee contrastanti che genera all’infinito una gran varietà di risposte, allenandoci a una resilienza continua. Mi occupo di cultura e non posso che guardare al mondo B per comprendere come fare meglio il mio mestiere. Serve riprendere confidenza con la creatività per sollecitare domande affascinanti (prima che offerte patinate); capire come passare dalla modalità freemium (gratis) a quella premium mettendo a valore economico i tanti servizi, anche culturali, nati nell’emergenza; praticare l’esplorazione di settori contingenti al proprio e alla categoria dei non-clienti secondo criteri di utilità reale; considerare nelle nostre attività ordinarie gli obiettivi espressi da Agenda 2030. In tanti settori, servirà smetterla con un certo ‘primadonnismo’ (cit. Broccardi) per fondare infrastrutture misurando la massa critica minima necessaria per attuare un equilibrato sistema di domanda/offerta. Ci sarà più tecnologia utile se il contesto cambierà altrimenti sarà un’innovazione fine a se stessa. Faremo uso di nuovi materiali per contrastare la resistenza dei virus nelle superfici e daremo fiato al turismo di prossimità, al piccolo. O forse è di questo che ho sete.
Un’utopia povera che postula e progetta la fine del disordine, malgrado la realtà.