La solitudine di papa Francesco a 7 anni dall’elezione

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Dopo le dimissioni del cardinale Becciu, suo uomo fidato coinvolto nello scandalo del palazzo acquistato a Londra, un’analisi dei sette anni a Roma di Francesco. Passati cercando di riformare il governo vaticano e portare pulizia anche nelle finanze
DI PAOLO RODARI su Repubblica

Il mandato che il collegio cardinalizio diede a Francesco nel marzo del 2013 fu chiaro: riforma la curia romana, elimina la sporcizia, a cominciare dalle finanze. Tant’è che fu proprio dallo Ior che il Papa cominciò a ripulire, accorgendosi presto quanto l’operazione fosse difficile. «I Papi passano, la curia resta», è l’adagio delle sacre stanze. Per quanto chi siede al soglio di Pietro si arrabatti per cambiare lo status delle cose, lui, il vecchio carrozzone curiale, non solo sa resistergli ma è anche capace di sopravvivergli. E così oggi. Sono sette anni e mezzo che Jorge Mario Bergoglio, il Papa venuto «da un paese quasi alla fine del mondo», ha lasciato Buenos Aires e ha messo le mani su Roma e sul Vaticano. I processi di riforma sono avviati, ma i traguardi lontani, complici anche i passi falsi di chi gli è amico.

Angelo Becciu è stato uno dei suoi più fidati consiglieri. È anche grazie a lui se Francesco ha saputo leggere tra le righe del faldone segreto lasciatogli dai tre cardinali incaricati da Ratzinger di indagare sul primo Vatileaks, il trafugamento delle carte riservate dai cassetti dell’appartamento papale. Becciu ha preso per mano Francesco, lo ha aiutato a comprendere gli enigmi delle mura leonine fino a fargli superare lo shock di un secondo Vatileaks, ancora il tradimento di collaboratori portati in curia questa volta direttamente da lui. Su tutti monsignor Lucio Vallejo Balda, messo a capo di una commissione di riforma delle finanze e condannato all’eremitaggio in Spagna per aver passato documenti ai giornalisti. Le dimissioni di ieri, con Becciu esautorato dai diritti connessi al cardinalato che indice una conferenza stampa per difendersi, dicono che Francesco procederà di qui in avanti sempre più isolato: più che un monarca solo al comando sembra un pastore costretto a difendere da solo il gregge dai lupi.
«È una situazione inedita, pazzesca. Mi stupisce il silenzio del collegio cardinalizio. È una tragedia», dice il cardinale Walter Brandmüller, presidente emerito del Comitato scientifico di Scienze Storiche. Vive a pochi metri da Bergoglio. Il suo dispiacere è per i tanti porporati che per non esporsi si ritirano nel silenzio. Non esprimersi mai è «peccato».

Il tradimento più clamoroso Francesco lo ha subìto da monsignor Carlo Maria Viganò, ex nunzio a Washington, che ne chiese le dimissioni per presunte omissioni sulla doppia vita del cardinale Theodore Edgar McCarrick. Il clamore non fu soltanto perché Viganò è un alto prelato. Ma anche per il mondo che l’ex nunzio ha trascinato contro il Papa: l’establishment conservatore statunitense, l’orbe cattolico che ruota intorno a Donald Trump, le lobby che lo sostengono e che hanno mezzi e risorse per fare molto male. «Papa comunista», lo definirono all’inizio del pontificato, dando spago a quei finanziatori di Trump spaventati dalla dottrina ambientalista, anti petrolifera e pro Cina del papato.

Francesco ha sempre avuto in Benedetto un amico. Distanti per sensibilità, i due hanno proceduto all’unisono nonostante nella cintura ratzingeriana il dissenso al Papa sia cresciuto giorno dopo giorno. Accusato dalla vecchia leadership dell’Istituto Giovanni Paolo II di tradire il magistero di Wojtyla, Bergoglio ha subìto più affronti. L’ultimo in ordine di tempo un libro che il cardinale Robert Sarah ha voluto firmare con Ratzinger, ma a insaputa di quest’ultimo, contro l’abolizione del celibato sacerdotale che Francesco avrebbe dovuto valutare di lì a poco. Per quell’affronto ha pagato Georg Gänswein, segretario del Papa emerito. Accusato di non aver saputo vigilare, è rimasto a guidare la Casa Pontificia senza tuttavia più presenziare le udienze accanto al Papa. È stato messo da parte per le spinte anti bergogliane dei ratzingeriani più puri, coloro che non si fanno scrupolo a usare Benedetto contro Francesco, l’emerito contro il regnante.

Per molte delle riforme finanziarie, Francesco aveva fatto affidamento sul cardinale George Pell. Questi è naufragato più che nelle accuse di pedofilia mossegli dall’Australia, nella resistenza di una curia contro la quale ha usato il bastone senza la giusta misura. Ieri Pell si è scagliato contro Becciu dicendo che Francesco andrebbe ringraziato per quanto ha fatto con lui. Ancora un’uscita scomposta: «Se mi considera un corrotto non posso farci niente», ha replicato Becciu, mostrando come il Papa sia tradito anche dall’incapacità comunicativa dei suoi uomini. «La curia è un leone che si può addomesticare soltanto con passi felpati e ben distesi», disse un giorno il decano dei vaticanisti, oggi scomparso, Benny Lai. Non lo capì Pell. La mancata riforma della curia ne è la prima evidente conseguenza.