La strumentalizzazione del rapporto tra criminalità e migranti

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 Alcuni media e politici associano semplicisticamente criminalità e immigrazione, anche se la realtà è molto più complessa. Abbiamo fatto alcune domande su questo fenomeno a Marcello Maneri, professore di sociologia dei processi comunicativi a Milano-Bicocca.

Spesso nell’arena pubblica viene delineata un’associazione diretta tra immigrazione e criminalità. Come riportato nel dossier Idos del 2020, anche a parità di reati, quelli commessi dagli stranieri generano solitamente più paura, diffidenza e risentimento. Da una parte c’è l’inferiorizzazione dello straniero, dall’altra la sua demonizzazione. Una narrativa che viene poi strumentalmente manipolata dai media e dai politici, per raccogliere consensi.

A una prima lettura, effettivamente la quota di stranieri sul totale dei detenuti nelle carceri italiane ed europee eccede la quota di stranieri sulla popolazione totale. Questo dato va però letto in maniera critica, tramite una serie di correttivi. In primis, bisogna considerare che le condizioni socio-economiche in cui versano i cittadini stranieri sono mediamente inferiori rispetto a quelle degli autoctoni. E il disagio socio-economico è strettamente legato alla criminalità.
In secondo luogo, c’è la questione dell’irregolarità, una condizione che costringe le persone all’illegalità e quindi inevitabilmente al crimine – e che infatti caratterizza la maggior parte degli stranieri che commettono reati. Infine, un elemento rilevante è la tipologia di reato commesso, che ha caratteristiche differenti tra gli stranieri rispetto agli autoctoni – di solito parliamo di crimini minori, puniti tramite pene di durata inferiore.

Più stranieri, società meno sicure?
Una prima questione da notare è che, nonostante la tendenza a criminalizzare i migranti, analizzando i dati vediamo che in Europa le società non sono diventate meno sicure a fronte a fronte dell’aumento della componente straniera della popolazione, e in particolar modo di una parte di questa (i richiedenti asilo), strutturalmente più esposta a una potenziale condizione di irregolarità.
In tutti i grandi paesi Ue, è aumentato il numero di richiedenti asilo

Il numero di richiedenti asilo in Italia, Germania, Francia e Spagna (2012-2021)
DA SAPERE
I dati sono riferiti esclusivamente alle prime domande di asilo e non alle successive, incluse le persone che, secondo il trattato di Dublino, faranno poi domanda di protezione in un altro stato dell’Unione.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 26 Maggio 2022)

Nei grandi paesi europei (Germania, Francia, Italia e Spagna), nel 2021 il numero di richiedenti asilo è stato decisamente più elevato di quello registrato nel 2012. Nel caso di Francia e Germania, parliamo di un dato doppio, nel caso dell’Italia triplo. Per quanto riguarda la Spagna addirittura la cifra è oltre 20 volte quella del 2012.
Si tratta di un incremento che ha avuto un andamento irregolare negli anni. In tutti questi paesi ma soprattutto in Germania, negli anni tra il 2014 e il 2017, in corrispondenza della cosiddetta “crisi dei rifugiati”, c’è stato un picco negli arrivi. In Germania sono arrivati a 745mila nel 2016, in Italia a circa 129mila nel 2017, e in seguito la cifra è calata, per poi registrare un lieve aumento tra il 2020 e il 2021.
Fatta eccezione per questa irregolarità, l’andamento generale è stato verso un progressivo aumento del numero dei richiedenti asilo. Parallelamente tuttavia non si è registrato nessun aumento della criminalità nei paesi analizzati, con l’eccezione della Spagna.

La criminalità è in calo nei paesi Ue più grandi
Le persone condannate in Italia, Germania, Francia e Spagna (2010-2019)
DA SAPERE
È indicato il numero di persone condannate in Italia, Spagna, Germania e Francia, di tutte le nazionalità. Non sono disponibili i dati del 2019 per Francia e Italia.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 26 Maggio 2022)

Solo in Spagna tra il 2010 e il 2018 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati di tutti i paesi) si è registrato un aumento nel numero di condannati (+20,9%), passato da circa 25mila a 30mila. In Germania, Francia e Italia si è invece assistito a una contrazione, particolarmente significativa in Francia (-32,4%).

-15,1% il numero di persone condannate in Italia tra 2010 e 2018.

Questi dati ci mostrano che, a fronte di un aumento della componente straniera della popolazione, le società europee non sono diventate meno sicure. Anzi, complessivamente la criminalità ha registrato una lieve riduzione.
Le condizioni socio-economiche e la criminalità
Mediamente, il tasso di delittuosità risulta più elevato tra gli stranieri piuttosto che tra i cittadini autoctoni, ma questa affermazione necessita di una serie di specificazioni.
In primo luogo, come accennato, un aspetto fondamentale della criminalità è che spesso essa è determinata dal disagio socio-economico. Si tratta di una dimensione che bisogna considerare quando si parla di criminalità straniera, perché ad oggi in Europa i cittadini stranieri sono significativamente più esposti alla povertà rispetto agli autoctoni.

In Spagna e Grecia più della metà dei residenti stranieri sono a rischio povertà
La quota di cittadini, autoctoni e stranieri, a rischio povertà ed esclusione sociale nei paesi Ue (2020)

DA SAPERE
Con “a rischio povertà o esclusione sociale” Eurostat indica le persone con un reddito inferiore al 60% del reddito mediano (a rischio povertà), in condizioni di grave deprivazione materiale o sociale (un indicatore articolato che misura la capacità di una persona di permettersi alcune cose non essenziali alla sopravvivenza ma necessarie per condurre una vita minimamente dignitosa) e che vivono in nuclei familiari in cui l’intensità lavorativa è molto bassa. I dati sono riferiti esclusivamente alla popolazione maggiorenne e, nel caso degli stranieri, tengono conto soltanto della popolazione regolarmente residente (escludendo quindi le persone sprovviste di permesso di soggiorno). Non sono disponibili i dati della Romania.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Maggio 2022)

Fatta eccezione per 3 stati, caratterizzati peraltro da una bassa percentuale di residenti stranieri (Bulgaria, Ungheria e Repubblica Ceca), in tutta l’Unione europea gli stranieri risultano più esposti alla povertà e all’esclusione sociale.
Le quote più elevate le registrano i paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Grecia e Italia), mentre quelle più basse si riscontrano in alcuni paesi dell’Europa orientale.

54% degli stranieri residenti in Spagna sono a rischio povertà ed esclusione sociale (2020).

Ma la forbice più ampia rispetto ai residenti autoctoni, oltre alla Spagna, si riscontra anche in Svezia e in Francia. In Svezia, in particolare, quasi il 44% degli stranieri è a rischio, una cifra che scende al 14% nel caso dei cittadini svedesi. Una situazione analoga è quella francese, dove questo stesso dato si attesta rispettivamente al 44% e al 15%.

Gli stranieri e la criminalità
Come accennato, sappiamo anche che nella maggior parte dei casi a commettere crimini sono stranieri irregolari, ovvero persone presenti in Italia ma sprovviste di permesso di soggiorno.
Come riporta Idos, il ministero dell’interno nel 2017 ha stimato che il 67,5% dei casi coinvolgono persone presenti irregolarmente sul territorio italiano – più di due su tre. In merito a questo dato è importante sottolineare che le persone irregolari sono molto più esposte alla criminalità, perché vivendo nell’illegalità sono impossibilitate a trovare un impiego regolare o ad accedere a misure di assistenza – una serie di fattori che fanno sì che la delittuosità sia più diffusa.
Secondo uno studio del 2016, se consideriamo soltanto gli stranieri regolari il tasso di delittuosità sarebbe invece analogo a quello degli italiani. Generalmente comunque vale la pena notare che gli stranieri, regolari e non, commettono crimini differenti rispetto a quelli che commettono gli italiani. Parliamo perlopiù di crimini considerati meno gravi, e questo è rispecchiato nella durata della pena.

Maggiore la quota di stranieri che scontano pene brevi
Il numero di detenuti italiani e stranieri per durata della pena (2020)

DA SAPERE
I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2020 e sono riferiti ai detenuti presenti per pena residua, in numeri assoluti. Tra gli stranieri sono considerati solo quelli regolarmente residenti in Italia, quindi sono esclusi gli irregolari.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Antigone e Dap
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Maggio 2022)

Come mostrano i dati Antigone, la forbice tra detenuti stranieri e italiani aumenta all’aumentare della pena. I primi costituiscono quasi la metà di tutti i detenuti che scontano pene inferiori a 1 anno, ma appena il 12% di quelle superiori ai 20 anni. Una cifra che scende ulteriormente nel caso della pena più grave, l’ergastolo.

6% dei condannati all’ergastolo in Italia sono di nazionalità straniera, secondo Antigone (2020).

A questo si aggiunge, come sottolinea il dossier Idos, che gli stranieri compiono più spesso reati “all’aperto”, per strada, dove sono più facilmente individuabili.
Inoltre, sul numero di detenuti pesa anche il fatto che, da un punto di vista giuridico, gli stranieri risultano svantaggiati rispetto agli italiani. Solitamente, come sottolinea lo studio sopracitato, hanno più difficoltà ad accedere alle misure alternative al carcere, come la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova e il regime di semilibertà.
Oltre al fatto che statisticamente la popolazione straniera risulta più esposta al crimine perché solitamente caratterizzata da una prevalenza di giovani maschi, spesso senza famiglia: caratteristiche che in tutte le nazionalità risultano correlate con una maggiore delittuosità.

Ci sono quindi una serie di ragioni che ci fanno capire che relazione tra immigrazione e criminalità è molto complessa. Eppure i media e i politici spesso la dipingono con toni semplicistici. Per capire perché questo avviene e attraverso quali espedienti, abbiamo posto alcune domande a Marcello Maneri, professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’università di Milano-Bicocca.

Negli anni sono aumentati gli arrivi di migranti, eppure non è aumentata la criminalità generale. Perché invece viene spesso fatto un collegamento tra i due fenomeni?

Il collegamento non ha mai a che vedere con i numeri reali: né con la quantità di migranti né con la quantità di reati e così via, perché i problemi sociali fanno carriera secondo logiche che non hanno a che vedere con l’oggettività del problema stesso, ma perché ci sono persone che li portano avanti. Nel caso specifico dell’Italia, non c’è una relazione (ma non c’è mai, in generale) tra il numero di reati e la reazione sociale. L’apparizione di un nuovo problema nell’arena pubblica, paradossalmente, può avvenire in assenza totale del fenomeno stesso, o più spesso attirando l’attenzione su certi comportamenti a scapito di altri altrettanto problematici.
In Italia la criminalizzazione dei migranti è avvenuta giocando sulla paura, mettendo in risalto il tema dell’insicurezza, inteso esclusivamente nei termini della possibilità di essere vittimizzati da persone di origine straniera (dove insicurezza e immigrazione vengono usati come sinonimi). Alcune persone hanno tratto profitto e seguito elettorale dal fatto di essere riuscite ad accreditare questo come un problema sociale saliente, a volte addirittura il più importante, come è successo nelle campagne elettorali del 2008 e del 2018, quando le elezioni sono state vinte esattamente su quel tema. Questi sono i fattori che portano a certe definizioni di problemi sociali e alla loro salienza nell’arena pubblica.
Se poi dall’altra parte ci sono delle controparti politiche che non sono abbastanza vigorose nel contrapporre un discorso alternativo (il che è successo in tutta Europa), allora la definizione del problema sociale diventa facilmente quella egemonica, data per scontata da tutti.

Perché, anche nei momenti in cui gli sbarchi sono meno discussi da media e politica e in cui non c’è nessuna emergenza, un episodio di criminalità causa comunque più scalpore quando è commesso da un migrante?

Ci sono dei cicli di criminalizzazione che sono avvenuti, normalmente quando il centrosinistra era al governo o appena il centrodestra aveva vinto le elezioni. Il centrodestra accusa il centrosinistra di essere buonista, di essere tollerante se non complice, addirittura ispiratore dei crimini degli immigrati, e quando è al governo deve far vedere di usare il pugno di ferro e di fornire soluzioni. Con i governi tecnici non si è potuto fare questo gioco e il tema è stato meno al centro dell’attenzione. Ma anche quando non è al centro dell’attenzione non è che lo straniero non sia facilmente criminalizzato. Questo ha a che fare con tante altre dinamiche, un po’ il fatto che è un tema che fa gioco alla destra e rispetto al quale il centrosinistra si sente perdente.
Poi si può fare una distinzione tra categorie marcate e non marcate. Prima che ci fosse un’immigrazione straniera in Italia e che ci fosse una consapevolezza del fenomeno, negli anni ‘80, nei giornali italiani si trovavano molti articoli come “delitto d’onore: meridionale spara a moglie e figli”, oppure su furti e truffe, si citava spesso la provenienza meridionale, anche se la maggior parte dei reati li commettevano i settentrionali. Ma questo non si diceva, non veniva reso saliente. Lo stesso vale adesso per gli stranieri. Non si dice “italiano uccide, italiano spara, italiano ruba”, non viene evidenziato, reso saliente e memorizzato, perché la categoria “italiano” (e prima “settentrionale”) non è marcata.

Secondo lei è lo straniero ad essere criminalizzato o c’è una specificità nella figura del migrante?

Questa domanda può essere interpretata in vari modi. Con “stranieri” si può intendere funzionari di compagnie finanziarie, i cosiddetti  expats, insomma gli immigrati ricchi, o anche i turisti. Ma forse la risposta è la stessa in tutti questi casi. Nel razzismo nei confronti degli immigrati c’è una fortissima componente che non ha tanto a che vedere con la loro diversità oggettiva, cioè il fatto di non essere italiani, anche se questa ovviamente rientra nella rappresentazione, nei discorsi sull’identità, sulla minaccia culturale ecc.
Quello che è un elemento molto importante anche se spesso trascurato è la paura dei poveri o lo stigma verso i poveri. Molte rappresentazioni dei migranti in Italia sono simili a quelle della prima metà dell’ottocento di fronte al fenomeno dell’inurbamento per esempio a Parigi: i miserabili di Hugo venivano descritti con modalità molto simili. C’è in un certo senso la tendenza, in società fortemente inegualitarie, ad aver paura di chi è stato più deprivato e potrebbe avere dei comportamenti reattivi che potrebbero indurlo a contestare questa sua posizione subordinata.
In secondo luogo c’è la tendenza a naturalizzare questo stato di subordinazione, quindi a descriverlo non come esito di rapporti sociali di sfruttamento e discriminazione, di mancanza di diritti, ma come la natura stessa di queste persone. I meridionali venivano descritti come pigri, oziosi, e spesso sono rappresentati così anche gli stranieri. In generale c’è un’attenzione molto forte verso i crimini commessi dalle persone più umili e una certa sbadataggine verso quelli, anche sistemici, compiuti da ricchi. Certo se hanno uno status di celebrità se ne parla, fanno notizia. In generale, però, lo sguardo dei mezzi di informazione e del mondo politico è quello di certi ceti sociali. Giornalisti e politici non vengono da ceti umili. Quindi guardano ai più umili con paura, diffidenza e difficoltà di comprensione. 

Quello della criminalizzazione dei migranti è un problema sentito in tutta Europa, ma la questione viene affrontata in maniera omogenea nei vari paesi o esistono modelli differenti?
Innanzitutto con il concetto di criminalizzazione parliamo di un fenomeno ancora più ampio, che vuol dire costruire legislativamente e normativamente con delle pratiche istituzionali alcuni soggetti come potenzialmente criminali. Nel momento in cui si illegalizzano le migrazioni, si stanno già producendo dei criminali – perché le persone continueranno a scappare dalle violenze. Questo già fa parte del processo di criminalizzazione.
Ma se per criminalizzazione intendiamo semplicemente la rappresentazione di questi soggetti come criminali, il discorso che lega criminalità e immigrazione, allora va detto che in primo luogo non ci sono ricerche strettamente comparative o almeno io non ne ho trovate che ci permettano di dire esattamente quali sono le differenze sulla base di dati rigorosi. Ma c’è un’abbondante letteratura, anche se non comparativa, che ci spinge a credere che i vari paesi abbiano attraversato varie fasi in momenti diversi.
L’Italia è stato un paese che negli anni 90, nella seconda metà degli anni 2000 e alla fine del decennio successivo ha attraversato delle virulente e violente campagne di criminalizzazione dei migranti, più di altri paesi. In altri momenti non c’è invece stata tutta questa differenza, ad esempio nel caso dei famosi stupri di Colonia (un milionesimo degli stupri che avvengono in Europa), di cui tutti sanno qualcosa. Era un momento in cui in Germania si rappresentavano i flussi migratori come “crisi dei rifugiati”, espressione che non si è usata nel caso dell’Ucraina, dove in due settimane sono arrivate più persone che in un anno di crisi di rifugiati. C’era un contesto di forte tensione politica e sociale, molto costruita.
Sono dinamiche presenti in tutti i paesi ma con periodizzazioni diverse e a volte anche con configurazioni diverse. Nel Regno Unito ad esempio il discorso criminalizzante è ancora più acceso e violento quando è fatto dai tabloid, ma non è fatto dai broadsheet, mentre in Italia è fatto in modo meno violento ed esplicito, ma è generalizzato, anche dall’informazione mainstream. Ci sono quindi differenze nelle periodizzazioni, nella distribuzione del discorso tra le varie testate giornalistiche e componenti politiche (ricordiamo che in Spagna fino a un anno fa non esisteva un partito xenofobo, unico caso in Europa insieme al Portogallo), quindi sì, ci sono delle differenze.
Conta anche il fatto che in altri paesi magari prevalgono temi che non sono tanto sentiti in Italia, i quali  tolgono quindi spazio a questo discorso. Il tema dell’identità è fortissimo in Francia per esempio. Fatte salve queste differenze però le logiche sono le medesime.

Quanto pesa secondo lei il modo in cui migranti e stranieri vengono rappresentati a livello mediatico e quali sono gli strumenti grafici e narrativi che vengono utilizzati per criminalizzarli?
Ci sono tantissimi modi. Il primo è semplicemente l’attenzione. Quando vennero violentate una ragazza al parco della Caffarella a Roma e una a Guidonia da dei ragazzi stranieri, la Repubblica (un giornale non di destra né xenofobo) gli dedicò centinaia di articoli, quindi l’attenzione è la prima cosa. Le violenze da parte di italiani non hanno mai ricevuto una copertura simile.
La seconda cosa sono le strategie referenziali (in che modo vengono chiamate le persone). Si mette in primo piano la provenienza straniera, variabile a seconda dei cicli di cui parlavo prima, a volte nel titolo altre volte nel testo ma si fa in ogni caso, anche quando non è pertinente per la comprensione della notizia. Una cosa che è in contraddizione con moltissimi codici deontologici. Se sapere che vieni dalla Tunisia non mi serve a capire, perché dirlo? È come dire “persona con i ricci fa una rapina”. Fissa nella memoria in modo marcato questa categoria di provenienza come categoria che ci aiuta a capire perché è stata fatta questa cosa.
Oppure, quando vennero compiute delle violenze sessuali a Rimini nel ’97 i media di tutto il paese hanno iniziato a tematizzare la notizia, leggendola sotto l’angolatura “violenze sessuali & immigrazione”. I giornali predispongono a volte degli specchietti come “migranti e criminalità” citando tutti gli episodi simili, perché la notizia è stata tematizzata in questo modo, non come, invece, giovani violentatori o maschi violentatori, ma come stranieri violentatori. A questo punto cercano notizie simili e ci dicono che quella è la chiave interpretativa per capire quello che è successo. Implicitamente ci stanno dicendo questo. Tutti questi sono modi in cui giornali e telegiornali danno un senso all’evento. Non è interessante fare informazione dicendo “tizio ha fatto x a caio in quel posto”, invece dire “l’ondata dei serial killer” ci dà l’idea di un fenomeno nuovo e quindi diventa interessante giornalisticamente. Spesso purtroppo ci si basa sulla caratteristica della provenienza.
Poi c’è anche l’uso delle fotografie: il violentatore italiano non viene mai ritratto, la sua foto non viene pubblicata sul giornale, perché potrebbe querelare, invece con gli stranieri si fa. Infine nel linguaggio, l’uso delle generalizzazioni, il plurale generico (“un altro evento che si aggiunge alla lunga lista dei crimini commessi dagli immigrati)”, un modo per dire “questo non è un fatto singolo ma si lega a tanti altri fatti”.

(Openpolis.it del 03/06/2022)

 

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Fonte: La strumentalizzazione del rapporto tra criminalità e migranti

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