Per tutta la stagione della Seconda Repubblica, durata oltre un ventennio, centrodestra e centrosinistra non si sono mai voluti reciprocamente riconoscere. E c’è un motivo se nel giro di poche settimane Salvini e Di Maio hanno avvertito l’esigenza di legittimarsi a vicenda, fino ad elevare il patto ad accordo istituzionale: mirano a essere i soci fondatori della Terza Repubblica, basata su un altro modello di bipolarismo. Ecco come nascono le nuove larghe intese tra il leader del centrodestra e il capo di M5S, attesi ora alla prova più delicata.E non c’è dubbio che al momento di essere consultati al Colle, Mattarella porrà ad entrambi la stessa domanda: dopo aver votato insieme i presidenti delle Camere, siete disposti a formare insieme anche una maggioranza di governo? Dalla loro risposta dipenderà il percorso che intraprenderà il capo dello Stato, posto al momento davanti a una serie di scenari. Il primo prevede proprio la nascita di un gabinetto di larghe intese, a condizione però che M5s si acconci a una coabitazione con Forza Italia. Perché su questo punto ieri Salvini, evitata la rottura dell’alleanza e sancita la sua leadership, ha offerto garanzie a Berlusconi: «Non farò nulla su cui non ti troverai d’accordo».
Una simile maggioranza guidata da Salvini – avrebbe numeri tali da poter persino riformare la Costituzione senza dover passare per un referendum popolare. Ma il Movimento, per sua natura, non si concilia con la formazione di un governo politico insieme al Cavaliere. L’idea del «Grillusconi» già sta mettendo in tensione i vertici e la base di M5S, ed è solo un’ipotesi. L’altra opzione con Salvini premier prefigura un esecutivo che si regge sull’astensione del Pd. Il percorso però finirebbe subito in un vicolo cieco, vista l’opposizione di Renzo che per ora è la linea dell’intero partito: «Tocca a loro». E dunque il veto varrebbe anche per il M5S, se toccasse a loro l’incarico.
Perciò le possibilità che Salvini e Di Maio arrivino a Palazzo Chigi in questa legislatura sono poche. A meno che il segretario leghista rompesse l’alleanza di centrodestra e si disponesse a fare il junior partner del capo di M5S. Cosa ormai improbabile. Se questo fosse l’esito delle prime consultazioni, il Palazzo si troverebbe dentro lo stallo perfetto, con il rischio di tornare al voto. Solo allora Mattarella dopo una fase lunga e tormentata – potrebbe optare per un mandato esplorativo, così da verificare la possibilità di dar vita a un governo.
Come in una partita a scacchi, a quel punto si entrerebbe nel medio gioco, dove le mosse di scuola lasciano spazio all’abilità e all’interpretazione. Certo, a seguire la «volontà popolare», cioè il risultato elettorale, il compito potrebbe spettare alla neoeletta presidente del Senato. Ecco su cosa confida Berlusconi. Il Cavaliere – subito dopo l’elezione della Casellati a Palazzo Madama – in un colloquio riservato ha detto che «il passaggio vero sarà quello, perché non credo si farà un governo con M5S».
È vero che – al termine di un durissimo braccio di ferro nel centrodestra – il costo d’immagine per Berlusconi e per Forza Italia è stato elevatissimo, che un intero blocco di classe dirigente azzurra è stato di fatto rottamato ed è con un piede fuori dal partito, «ma intanto – ha proseguito il Cavaliere nella sua conversazione – abbiamo costretto i grillini a votare per la Casellati». E la Casellati, come prima dichiarazione da presidente del Senato, ha sottolineato che «il voto è un incoraggiamento per il domani, quasi una premessa. Mi auguro che questa convergenza fra forze diverse incoraggi anche la formazione del governo».
È impossibile analizzare oltre lo sviluppo del medio gioco. Ma a parte le difficoltà di gestione del Paese e le risposte da offrire ai partner europei, c’è un punto su cui Salvini e Di Maio devono aver già raggiunto un’intesa: la durata della legislatura. Garantita l’unione sui conti pubblici, affidato al Parlamento l’impegno di tagliare i costi della politica e soprattutto di varare una legge elettorale di stampo maggioritario, non è pensabile che i due proseguano insieme: l’anno prossimo ci sono le Europee e va in scadenza il 60% delle amministrazioni locali. Perciò devono tornare avversari. A meno che l’istinto di sopravvivenza del Palazzo non finisca per sopraffarli. A questo punteranno gli sconfitti del 4 marzo.
di Francesco Verderami, da Il Corriere della Sera