(Articolo su consumare o acquistare da VicenzaPiù Viva n.11, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
“Mi consegnano prodotti difettosi o provano a vendermi servizi al telefono o porta a porta con trucchi e trucchetti? Servirebbe una legge, ma nel frattempo mi tutelo da sola e magari senza… associazioni consumatori. Ecco come!”
Consumatore? Non che senta molto affine a me questa parola. È vero che in quanto essere umano vivente e senziente, ogni giorno consumo un sacco di cose: aria, acqua, riscaldamento, elettricità, cibo, vestiti, medicine… ed è anche vero che gran parte delle cose che consumo hanno un costo. Ma non credo che questo mi metta in una categoria di persone accomunate dal fatto di consumare.
Anche perché la parola “consumare” non mi piace, suona tra il colpevole e l’inesorabile. Preferisco il verbo acquistare. Somiglia di più a quello che faccio. E pure volentieri. Mi piace proprio comprare, far la spesa, fare shopping, possibilmente in negozi piccoli, dove c’è interazione con chi vende. Sono assolutamente refrattaria agli acquisti on line, che fanno perdere metà del divertimento.
Dal punto di vista di chi vende sono la cliente ideale. Non pretendo di aver sempre ragione e se entro in un negozio non è per passare il tempo. Se sono indecisa e dico che torno, poi torno davvero. E se mi faccio mostrare troppe cose, chiedo scusa a chi sta di là del banco.
Sarà che per un po’ l’ho fatta la commessa. Non è proprio il lavoro mio, sono impacciata, non ho spirito commerciale, sono un disastro a fare i pacchetti e i vestiti piegati da me sembrano passati attraverso una tempesta. Però ho imparato abbastanza per sapere che è uno dei lavori che richiede più pazienza e autocontrollo al mondo.
Ma torniamo al concetto di consumatore. Non mi vedo nella categoria nemmeno quando si tratta di far valere le mie ragioni. Cioè, se mi vendono un articolo difettoso, non mi viene in mente di chiamare l’associazione consumatori più vicina. Torno al negozio e chiedo la sostituzione, o che mi facciano un buono, o insomma che facciano qualcosa. Se ottengo un risultato, bene. In caso contrario, smetto di frequentare il negozio. È molto meno snervante che aprire un contenzioso.
Poi, sarò stata fortunata, ma a me di “fregature” non ne sono capitate molte. Anzi, ho in mente solo un caso in cui avrei voluto restituire o farmi cambiare una giacca acquistata in svendita, perché a casa mi sono accorta che all’interno del collo aveva un inequivocabile segno di sporco. E, invece, l’unica cosa che ha fatto il negoziante è stata farla pulire a sue spese. È tornata a posto, ma a me è rimasta la sensazione che mi avessero venduto come nuovo un capo che nuovo non era. In quel negozio non ho più messo piede. Però la mia vita è continuata serena e non ho perso la fiducia nel prossimo.
Il mio unico problema, nel rapporto col mondo degli acquisti, sono le situazioni in cui non sono io ad andare dal venditore ma è il venditore che viene da me… senza essere invitato. Ma in questo caso non vorrei un’associazione di consumatori che mi protegga, vorrei proprio che fosse vietato. Credo sia un mio diritto scegliere quando pensare agli acquisti.
E la sera dopo il lavoro o il sabato mattina non è il momento in cui ho voglia di sentire una garrula fanciulla che mi chiede come effettuo la mia “skinker” (cura della pelle del viso, ndr), se so che cos’è la bava di lumaca oppure che cosa penso dell’olio d’oliva del supermercato, per poi, a fine questionario, suggerirmi i prodotti centopercentonaturali
che costano come l’oro “però vuoi mettere la qualità”. Sono chiamate che mi infastidiscono profondamente.
So che per chi sta dall’altra parte del telefono è un lavoro; infatti, cerco di non alzare la voce. Però è davvero una pratica fastidiosa. Un paio di volte ho pure commesso l’errore di fare un acquisto. Dico errore – madornale – non per il prodotto, comunque sempre troppo caro, ma perché da quel momento sono diventata la migliore amica “Giulia, come stai? Ti ricordi di me? Sono la tua consulente di bellezza”… Ho subito decine di chiamate senza fare acquisti per convincere le venditrici a lasciarmi perdere.
Per non parlare delle offerte di compagnie telefoniche o dell’energia. Queste ultime spesso non lavorano al telefono, ma mandano i loro operatori a suonare i campanelli avvisando che “c’è una cosa da sistemare riguardo la bolletta”. In realtà, poi, propongono (truffaldinamente) di cambiare compagnia o gestore e non sempre chi riceve questo tipo di visite è abbastanza attento da capire che non si sta mettendo in regola col suo gestore, ma sta sottoscrivendo un nuovo contratto, finendo poi col trovarsi a pagare doppia bolletta o a subire l’interruzione del servizio…
Anche i telefonici sono spesso creativi. Uno dei sistemi preferiti è far arrivare prima una chiamata senza proposte: “Buongiorno, la avviso che tra dieci giorni scade il suo contratto
con xxx (nome della compagnia) e con il rinnovo i prezzi aumenteranno. Però ha diritto di cambiare gestore”. Fine della chiamata. Dopo un intervallo di tempo che va dalla mezz’ora alla mezza giornata, arriva un’altra chiamata: “Buongiorno, le propongo un contratto favorevole, occasione solo per lei…”. La cosa che mi stupisce è che quasi sempre mi fanno proposte con la stessa compagnia telefonica con cui ho il contratto, dicendomi che comunque quello che propongono loro è migliore… Certo, io sono ancora relativamente lucida e riesco più o meno ad evitare certe trappole.
Ma le persone anziane sono più indifese. Mia madre aveva imparato a dire “deve parlare con mia figlia” a chi proponeva contratti telefonici.
Però con l’elettricità abbiamo avuto delle seccature, e per fortuna eravamo nei tempi del diritto di recesso.
Se poi avesse preso lei certe telefonate, il rischio di trovarmi la casa inondata di bava di lumaca o aloe vera sarebbe stato altissimo. Ok, in questi casi le associazioni di consumatori possono servire.
Ma perché dovrei subire una vendita e poi fare ricorso? Non sarebbe più semplice – se non proprio impedire tale sistema di vendita, che ormai è anche anacronistico – almeno regolamentarlo in modo più rigido?