Due potenti terremoti hanno fatto oltre 11.000 morti tra Turchia e Siria. La prima ha dichiarato lo stato di emergenza per le prossime settimane nelle regioni meridionali colpite, mentre la Siria settentrionale, già segnata dalle ostilità del governo centrale contro i ribelli e provata dal conflitto, dall’esodo di massa della popolazione a causa della guerra civile, dal colera, dal freddo gelido e dalla crisi economica, resta l’area più difficile di cui occuparsi.
Il nord del Paese ospita milioni di sfollati, tra cui quasi due milioni di persone che vivono in campi improvvisati, più della metà dei quali sono bambini.
Le operazioni di risposta ai disastri sono complicate dalla divisione del Paese in aree controllate dal Presidente siriano Bashar al-Assad e aree sotto il controllo dell’opposizione.
Questa frammentazione ha rallentato gli aiuti internazionali e la strada per l’unico valico di frontiera aperto per i convogli di aiuti delle Nazioni Unite è rimasto danneggiato dal sisma.
Due giorni dopo il terremoto, il governo siriano ha avviato una richiesta formale di assistenza umanitaria attraverso il Meccanismo di Protezione Civile dell’Unione Europea a seguito del disastro sismico, anche se rimane non chiaro come gli Stati membri dell’Ue risponderanno alla richiesta del Paese che rimane sotto sanzioni internazionali e l’area che necessita di questi aiuti nelle mani dei ribelli e non del governo centrale.
Intanto, il presidente turco è salito al potere due decenni fa proprio dopo che il governo di allora sbagliò la risposta a un terremoto che si era abbattuto sul Paese nel 1999.
Il devastante terremoto in Turchia rappresenta un’importante prova di governo per il presidente, che sta lottando per il suo futuro politico a pochi mesi dalle elezioni di maggio che potrebbero ridisegnare il Paese.
Fonte: The Vision