(Articolo da Vicenza Più Viva n. 5, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
E la memoria va al filo siculo-vicentino, dall’arresto nel ’92 del boss mafioso stragista
Madonia a Costozza di Longare agli affari di Matteo Messina Denaro nell’oreficeria berica.
Prima che scattasse la tagliola sulle notizie contenute nelle ordinanze di custodia cautelare, abbiamo fatto in tempo a leggere – e quindi a riferirne anche testualmente qualche passo, come si conviene al buon giornalismo – quella emessa dal Gip di Trapani ed eseguita il 24 gennaio scorso, con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta e rivelazione di notizie riservate nei confronti di un politico locale, l’ex assessore ai lavori pubblici del Comune Dario Safina, attualmente componente, eletto nelle liste Pd, del consiglio regionale, arrestato nell’ambito di un’inchiesta della Procura che vede indagate altre persone tra le quali un manager siciliano dell’impresa vicentina City Green Light, in passato del gruppo Gemmo e fornitrice anche di illuminazioni stradali a Vicenza.
È Christian Valerio, messinese, che nel suo profilo linkedin si definisce ‘Business Unit Director & Energy Manager at City Green Light’. Che agisse in nome e per conto della società veneta, se anche per solo proprio ‘tornaconto’, non vi sono dubbi a leggere l’ordinanza di custodia cautelare nella quale sono racchiusi gli elementi raccolti nel corso delle indagini, di cui, in perfetta solitudine, ha riferito a Vicenza solo ViPiu.it (nostra testata web, ndr).
Ad una prima lettura fa impressione la distanza fra il livello degli intrighi in cui – era il 2021 – si cimentavano l’assessore e il manager e quello degli affari della società che il primo favoriva, per la felicità del secondo, in cambio dello ‘scrocco’ (così, compiacendosi, lo definiva il politico) di alcune decine di migliaia di euro. Safina – rimesso in libertà sei giorni dopo, con obbligo di soggiorno a Trapani ed Erice – non è accusato di avere intascato per sé il danaro, che, nella ricostruzione degli inquirenti, era destinato a fargli acquisire grandi benefìci elettorali ed era, comunque, servito a inficiare con atti di corruzione il procedimento di affidamento di servizi per decine di milioni di euro da parte del Comune di Trapani alla società vicentina con sede in via Zampieri. Insomma, la tangente ‘riscossa’ da Safina era un regalo indebito che egli, per suo ‘merito’, poteva offrire alla città alla quale però contemporaneamente e correlativamente infliggeva il costo di un’aggiudicazione plurimilionaria viziata.
Alla notizia dell’arresto, e delle indagini, il pensiero corre a quel fiume carsico che da tempo sembra – idealmente – scorrere dalla Sicilia al Veneto (che dal Carso non è distante), dissolvendo nell’invisibilità sotterranea i confini tra affari leciti ed illeciti, modellando interessi borderline e creando spazi d’azione per trame mafiose spesso in sinergia con alcuni dei fenomeni alla base dei più inquietanti misteri italiani, al pezzi deviati delle istituzioni, massoneria coperta, criminalità organizzata di varia estrazione.
L’elenco dei fatti è smisurato. Di recente s’è appreso che il boss latitante Matteo Messina Denaro faceva affari nel distretto orafo vicentino, mentre un anno prima che cominciasse quella latitanza, nel ’92, un mafioso condannato per le più gravi stragi di mafia come Giuseppe Madonia veniva arrestato nei Colli Berici, a Costozza di Longare dove viveva tranquillamente con un’altra identità. E per Trapani e Castelvetrano passa uno dei filoni d’affari più redditizio, ovvero gli investimenti del super boss ormai defunto nel settore dell’eolico e dell’energia, con connessioni, propaggini e cointeressenze che ancora una volta ci portano in Veneto.
Nel caso dell’inchiesta venuta alla luce a gennaio scorso, le ipotesi d’accusa circoscrivono
l’ambito degli affari illeciti a specifici episodi di corruzione e di turbativa d’asta imputabili all’ex assessore del Comune di Trapani e al manager siciliano dell’impresa vicentina. Tralasciando qui il filone delle indagini (sulla ‘Trapani servizi’, partecipata dal Comune) che non riguardano la società vicentina, Safina è accusato di “essersi accordato preventivamente con Valerio turbando la procedura ad evidenza pubblica di project financing per la manutenzione dell’illuminazione pubblica, informandolo preventivamente sulle tempistiche di pubblicazione, sui contenuti e l’importo di base del bando, consentendo quindi alla citata società di ottenere l’aggiudicazione della procedura con la presentazione di una offerta congrua rispetto a quelle degli altri concorrenti; nonché di avere promesso l’affidamento alla citata società, al di fuori di ogni procedura concorsuale ad evidenza pubblica, dei lavori di rifacimento dei sistemi di illuminazione degli impianti sportivi denominati Campo Aula e Campo Coni”.
Dicevamo della sensazione di sorpresa prodotta dalla distanza tra gli intrallazzi dei quali sono accusati i due indagati da una parte e il tipo di business della City Green Light dall’altra. È utile allora soffermarsi su quest’ultima. A giudicare dai capitali finanziari di cui dispone, è un pezzo importate di potere italiano, ubicato a Vicenza un po’ per i tratti distintivi di una certa vocazione industriale, un po’ per la sua genesi che rimonta alla Gemmo spa, il colosso nel campo delle infrastrutture fondato da Livio Gemmo, il ragazzo di Thiene che tornato dalla grande guerra rifiutò un posto sicuro per fare l’apprendista nella locale cooperativa elettrica, imparare i fondamentali e aprire, nel 1919 a 21 anni, il suo primo laboratorio di elettricista. Livio fu anche ottimo calciatore, del Thiene, del Vicenza e del Verona con la cui maglia gli archivi documentano una storica doppietta al Milan.
Quasi un secolo dopo Gemmo spa, ormai alla quarta generazione di famiglia, conferisce il ramo d’azienda ‘pubblica illuminazione’ alla City Green Light nella quale investe 33 milioni di euro Fiee (Fondo italiano per l’efficienza energetica), primo fondo chiuso dedicato esclusivamente a progetti di investimento in equity nel settore dell’efficienza energetica, gestito dall’omonima Sgr. Era il 2018 e l’operazione si legava all’annuncio che questo fosse solo il primo passo nell’ambito di una più ampia operazione con l’ingresso, nel capitale
della società, di investitori finanziari di elevato profilo per altri cento milioni.
Partnerships che già sei anni fa rendevano l’azienda, insediata a Vicenza in via Zampieri, il primo operatore privato nel settore in Italia con più di 350 mila punti luce, un programma di investimenti per il 2018 di oltre 45 milioni di euro, un portafoglio commesse superiore al mezzo miliardo di euro e un fatturato pari a 55 milioni.
Oggi l’impresa, sempre attiva nel settore dell’illuminazione pubblica, dell’efficienza energetica e dei servizi per la smart city, è partecipata, oltre che dal Fiee, anche dal fondo infrastrutturale paneuropeo Marguerite e dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). I dati dell’ultimo bilancio approvato rivelano i frutti del finanziamento da 197 milioni di euro ottenuto a fine settembre 2022 per sostenere il suo piano di crescita anche attraverso operazioni di M&A (Mergers & Acquisitions, acquisizioni e/o fusioni) come quello del ramo d’azienda illuminazione pubblica di Ceie Power spa.
Per la cronaca City Green Light, amministrata dal manager padovano Alessandro Visentin proveniente da Gemmo spa (alla quale, come visto, deve, proprio per ‘gemmazione’, la nascita), è nata nel 2017, opera in oltre 250 comuni in Italia, serve oltre cinque milioni di cittadini, con quasi un milione di punti luce, cento gallerie stradali e mille e seicento telecamere di sicurezza.
Il fondo Fiee è stato il primo ad entrare nel capitale a febbraio 2018, con un investimento iniziale di 33 milioni, poi ampliato ad oltre 58. Subito dopo è stata la volta del fondo Marguerite II, con un investimento iniziale di circa euro 40 milioni.
Oggi il capitale della società è suddiviso tra Marguerite Infrastructure Italy II (40,72%), Fiee (33,77%) mentre la restante quota del 25,51% fa capo alla Banca Europea per gli Investimenti, mediante Ipin 2E.
Il gruppo ha chiuso il 2022 con ricavi per 136,3 milioni di euro, un ebitda di 54,5 milioni e un debito finanziario netto di 7,5 milioni.
Sul fronte del debito gli istituti che hanno concesso il prestito da 197 milioni, con scadenza a 7 anni, sono Intesa Sanpaolo, Cassa Depositi e Prestiti, UniCredit, Bnl Bnp Paribas e Sparkasse – Cassa di Risparmio di Bolzano.
Insomma, potere, credito bancario generoso e sostegno dei migliori salotti finanziari del Paese non mancano a questa ‘srl’ vicentina, una vera e propria ESCo (Energy Service Company) nata pochi anni fa e che oggi ha un capitale versato di 50 milioni, 145 dipendenti, in aumento rispetto ai 132 dipendenti dell’anno precedente (7 dirigenti, 14 quadri, 108 impiegati e 14 operai) e una certa propensione a radicarsi nei territori, come per esempio in Sicilia.
Qui, con gara Consip, la City è risultata due volte aggiudicatrice di contratti di nove anni. Perciò, almeno a guardare le cose in superficie, risulta strano il modus operandi raccontato dall’inchiesta in corso a Trapani. È tutto frutto dell’iniziativa, per reciproco illecito vantaggio individuale, dei due indagati o c’è una rete di interessi che si muove, spesso sotto traccia, come nei tanti incroci d’affari, di potere e, qualche volta, di delitti tra la Sicilia e il Veneto, fra il Trapanese e il Palermitano da una parte e il Vicentino dall’altra?
Il politico siciliano coinvolto, Dario Safina, è un avvocato eletto a sorpresa all’Ars (Assemblea regionale siciliana i cui membri, nella regione a statuto speciale, hanno il titolo di deputato) il 25 settembre 2022, sulle ali dell’esperienza di assessore comunale nella giunta guidata da Giacomo Tranchida, Pd, che ne è stato il principale sponsor: gli affidamenti alla City vicentina oggetto d’inchiesta risalgono al 2020 e 2021.
Sul sindaco ‘democratico’ le cronache documentano lo strano sostegno ottenuto nelle elezioni di fine maggio ’23 da parte della Lega e, in particolare, del suo esponente locale di primo piano Girolamo Turano, assessore regionale e deputato all’Ars alla sesta legislatura. Tranchida è stato rieletto al primo turno (con il 42%, in Sicilia sufficiente per schivare il ballottaggio) riuscendo così nella sua sesta elezione a sindaco (due mandati a Valderice, due a Erice e due a Trapani). Riuscire ad avere, contemporaneamente, il sostegno del Pd e della Lega (con strappo di Turano, benedetto da Salvini), non è certo cosa da poco. Probabilmente si tratta di dinamiche fisiologiche aventi tutt’altre, cgreeonvincenti, motivazioni.
Qualcuno, però, potrebbe vedervi l’ombra di certi intrecci come il giro di tangenti e d’affari intorno a Vito Nicastri, il re dell’eolico colpito da una confisca da 1,3 miliardi di euro e ritenuto uomo di Matteo Messina Denaro. In uno di questi giri è rimasto impigliato Paolo Arata, genovese dal lungo cursus honorum all’ombra del potere di Andreotti e Carlo Vizzini,
incarichi nella Pontificia Università Antonianum, poi parlamentare di FI, quindi consigliere, per l’energia, di Matteo Salvini allora vice premier nel governo Conte I. Arata, capace di far passare un emendamento attraverso il sottosegretario leghista Armando Siri (genovese anch’egli, ex giornalista Mediaset, un patteggiamento per bancarotta fraudolenta e diversi scandali nel proprio curriculum) aveva un chiodo fisso: l’eolico in Sicilia.
Ovvio che nell’isola il vento sia una risorsa e possa anche essere un affare.
Ma la folata che seguiva Arata portava sempre allo stesso punto: verso Francesco Isca – imprenditore che solo dopo si scopre essere toccato da sospetti di collusione con la mafia – e verso Nicastri, uomo di Eolo e del superlatitante di Castelvetrano noto come ‘U Siccu’ o ‘Diabolik’, allora attivissimo ma introvabile.
Il vento, che spingeva certi affari in odor di mafia, in quegli anni non voleva proprio saperne di soffiare alle spalle degli investigatori. E cambiava direzione. Si poteva arrestare il vento?