Periferia nord di Vicenza. Un chilometro e mezzo in linea d’aria dalla Basilica Palladiana e dagli altri quindici palazzi di Andrea Palladio inseriti nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Se si guarda il panorama della città dal piazzale della Vittoria, a Monte Berico, la prospettiva lo pone poco sopra la carena che copre la Basilica e ne distoglie lo sguardo, calamitandolo su quel serpentone giallognolo lungo mezzo chilometro che ospita la caserma Del Din.
Del Din chi? Meglio chiamarla con il nome che tutti i vicentini continuano a usare: Dal Molin.
L’estendersi del brutto nella città più bella del Veneto (dopo Venezia, certo) colpisce anche le periferie. E il Dal Molin ne è l’espressione più vistosa con la sua mole e con la sua pregnanza nell’ambiente circostante. Solo a Vicenza può succedere che si costruisca una enorme caserma al limite della città.
In tutto il mondo queste strutture militari sono a distanza di molti chilometri dal centro più vicino: quella di Ramstein, ad esempio, è a 16 chilometri da Kaiserslautern e quella di Aviano a 15 da Pordenone.
Vicenza, per di più, di basi militari in città ne ha addirittura due. L’altra è Camp Ederle, un’ex caserma dell’Esercito italiano ceduta alle forze USA nel 1955. Si estende su una superficie di 615.123 mq (86 campi da calcio) fra viale della Pace (la strada che, fuori città, diventa la statale Vicenza-Padova) a sud e, a nord, via Aldo Moro (una porzione della incompiuta circonvallazione esterna). La Ederle, almeno, è ben nascosta se non agli occhi dei residenti delle case che stanno attorno al suo perimetro.
Il Dal Molin, invece, campeggia con pesante bruttezza e invadente imponenza perché sta in mezzo al nulla. Attorno, infatti, non ci sono altri edifici ma solo la grande area che una volta era occupata dall’aeroporto intitolato a Tomaso Dal Molin, ufficiale pilota dell’Aeronautica Militare nato nel 1902 a Molino di Altissimo e morto in un incidente aereo sul Lago di Garda il 18 gennaio 1930.
Il Dal Molin non si può non vederlo, insomma. Un pugno nell’occhio per chi ama l’ambiente circostante: la dolce collina di Monte Crocetta, i prati attraversati dal Bacchiglione, il discreto quartiere di Laghetto, il Bosco di Dueville e le risorgive. E, a settentrione, le montagne vicentine. Sulla opposta fronte, vicinissimi purtroppo, la città e Monte Berico.
Il Dal Molin, sul lato est, confina con il Parco della Pace, o, meglio, con quello che prima o poi lo sarà. Una oasi naturalistica di 630 mila metri quadrati, uno dei parchi più grandi in Italia in un capoluogo di provincia. È una delle “compensazioni” che il Comune riceve dallo Stato a fronte della rinuncia all’aeroporto e del sì allo stanziamento dei 4.500 paracadutisti della 173a brigata aviotrasportata, gli «Sky soldiers» resi famosi dal film «Apocalypse now».
L’area è demaniale (come quella di pertinenza della base militare) ma è in concessione per 50 anni al Comune di Vicenza. I lavori di costruzione del Parco sono iniziati nel 2017 e dovevano concludersi entro un anno e mezzo. A oggi, però, la data dell’inaugurazione non è ancora stata fissata.
La caserma Del Din, invece, è inaugurata il 2 luglio 2013. Alla cerimonia sono presenti i più altri gradi dell’esercito USA in Europa, il commissario governativo Paolo Costa, il commissario della provincia Attilio Schneck e il presidente del Veneto Luca Zaia. Il Comune è rappresentato dal vicesindaco Jacopo Bulgarini d’Elci che però non indossa la fascia tricolore. Il sindaco Variati è assente (ufficialmente in vacanza). Assente è anche il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol.
La base è composta da 28 edifici su 58 ettari di terreno. Non è, in realtà, un insediamento militare vero e proprio nel senso che non ci sono armi. Si tratta piuttosto di una sorta di villaggio turistico dove sono alloggiati i paracadutisti fra una missione e l’altra.
Perché proprio a Vicenza? Non c’è più l’aeroporto e le truppe devono essere trasportate fino ad Aviano (a 150 chilometri) per imbarcarsi sugli Hercules C130 che le trasferiranno nei campi di battaglia. Non ha senso. L’unica spiegazione di collocare la base a Vicenza è la sua vicinanza con i poli di attrazione turistica della regione: Venezia in primis, Verona, il Garda, le spiagge e le montagne. E poi Vicenza è una bella città, tranquilla, tollerante e molto poco anti americana.
A nulla serve l’opposizione decennale dei No Dal Molin, a cui aderisce la maggioranza dei vicentini. La base si fa. Per fortuna è modificato il primo progetto che vede le strutture del casermaggio rivestite di forme palladiane. Un affronto all’arte e al genio della nostra archistar. Vengono tirate su quindi palazzine in puro stile funzionale e quindi anonimo.
La peggio ce l’ha il sottosuolo: per le fondamenta della nuova base sono conficcati nel terreno 3.798 pali, a 2 metri uno dall’altro, lunghi 18 metri. Gli americani, poi, demoliscono i sistemi di drenaggio del vecchio aeroporto e l’acqua piovana ristagna e crea allagamenti.
E così, da otto anni, Vicenza deve sorbirsi anche questa grande bruttezza. Che, fra l’altro, nel frattempo è anche diventata obsoleta: i fronti di pronto intervento dell’US Army non sono più quelli di vent’anni fa e una base nel Sud Europa non ha più un valore strategico. Non per niente la base Del Din è da anni mezza vuota.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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