Non è un rudere. È solo un orrore. Imperdonabile e ingiustificato danno estetico ad una delle piazze più storiche e tipiche di Vicenza. Parliamo della facciata posteriore del Palazzo degli Uffici del Comune, che incombe con la sua banale architettura moderno-funzionale su Piazza delle Erbe, sulla Corte dei Bissari, sulla Torre del Tormento, sulla Domus Comestabilis e, questo è davvero il colmo, sulla fronte posteriore della Basilica Palladiana.
Non solo. I progettisti, evidentemente non appagati dalla bruttura da loro stessi incastonata in uno degli scorci più belli della città, hanno esteso la medesima esteriorità anche al corto voltafaccia dell’edificio che dà su contrà della Catena. Lo sfregio è stato completo.
È francamente impossibile capire come sia venuto in mente ai progettisti e ai loro committenti (l’amministrazione comunale) di costruire in quel prospetto una facciata alta cinque piani e larga trenta metri, priva di qualsivoglia ornamento e nemmeno ispirata a una qualità architettonica di pregio contemporaneo. Hanno costruito una anonima sequenza di finestre e lesene in cemento, brutta già di suo e resa orrida dall’impari confronto con le bellezze medievali e neoclassiche del fondale della piazza.
I vicentini e, purtroppo, i turisti sono costretti a sorbirsi questo obbrobrio da sessant’anni. Da quando cioè fu completata la ricostruzione del Palazzo del Podestà, devastato dal bombardamento del 18 marzo del 1945 (quello in cui andò distrutta la cupola della Basilica Palladiana e furono danneggiate le sue logge), abbattuto nel dopoguerra e ricostruito fra il 1955 e il 1961.
Il Palazzo del Podestà si affacciava su tre lati: a nord su piazza dei Signori, dove confinava con la Torre Bissara; a est la facciata principale chiudeva piazza delle Biade; a sud dava su Corte dei Bissari.
È costruito nel 1611 su progetto di Giacomo Montecchio rivisto da Natale Baragia. Non proprio delle star dell’architettura dell’epoca. Un progetto precedente era stato commissionato a Vincenzo Scamozzi, erede del Palladio, ma era stato bocciato. Troppo costoso. E quindi via libera al più economico edificio del meno illustre collega monsignor Giovanni Giacomo Monticulo (o Montecchio), progettista anche della chiesa di san Giacomo adiacente alla odierna Biblioteca Bertoliana.
Il Palazzo del Podestà non è una eccellenza della architettura vicentina. È un edificio imponente nella sua mole ma anche una struttura seicentesca e post palladiana tipica dell’edilizia pubblica dell’epoca in città. L’interno è arricchito da una serie di tele inserite nei lunettoni della sala del Consiglio. Gli autori sono Jacopo Bassano, Giulio Carpioni e Francesco Maffei, pittori attivi nel Seicento vicentino.
Le tre facciate del Palazzo sono lineari e semplici, non vi è più traccia delle riprese neoclassiche del secolo precedente. Niente colonne, niente serliane o frontoni. L’unico abbellimento sono le grandi finestre al terzo piano coronate da frontoncini triangolari.
L’austero aspetto della residenza del podestà, reggitore per la Serenissima Repubblica della città che le aveva fatto dedizione nel 1404, non regge il confronto con le architetture di una delle piazze più belle del mondo ma ha una sua dignità e, soprattutto, non stona con il contesto.
La ricostruzione postbellica del Palazzo rispetta l’originale nella facciata principale e ad essa è uniformato il fianco su piazza dei Signori, che è arretrato rispetto alla torre-campanile.
Il papocchio lo fanno sui lati sud e ovest, come abbiamo spiegato. Un inserimento senza gusto, senza pudore e senza sentimento di elementi architettonici assolutamente dissonanti e irrispettosi. Non bisogna essere dei cultori o degli specialisti per avvertire disgusto alla vista di quella facciata degna di un edificio pubblico di periferia. La cui estetica è vieppiù peggiorata da una sequenza di unità esterne di condizionatori, tristemente appollaiati sotto le finestre.
La bruttezza della soluzione e la sua irrispettosità sono ben presto ravvisate in città. Nel 1986 il Comune (sindaco Corazzin) affida all’archistar Renzo Piano l’incarico di restaurare la Basilica Palladiana e di trasformare il Palazzo degli Uffici in un centro culturale, improntato al suo Beaubourg. Seguono le inevitabili polemiche e le critiche classiche di una città per sua natura conservatrice, e soprattutto la bocciatura della Sovrintendenza.
Intanto il professor Renato Cevese, il grande storico dell’arte fondatore del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, ne fa un cavallo di battaglia della sua pluriennale campagna per la tutela del decoro e della immagine della città. Cevese propone un intervento “bonificante” che rivesta le famigerate facciate uniformandole all’aspetto degli altri lati dell’edificio.
Il Comune progetta a un certo punto di spostare altrove gli uffici e di vendere il palazzo ai privati facendone un albergo (gira e rigira, le idee a Vicenza sono sempre le stesse, il riciclaggio è una costante). Ovviamente il tutto si ferma ai propositi. Come sempre.
Sembra che qualcosa si muova in vista del restauro della Basilica, nel 2006. Ma si fa ben poco. Il comunicato del Comune del 28 settembre 2012 annuncia che “sono state ripulite le lesene in pietra, per l’intonaco delle pareti è stato utilizzato un colore che richiama gli inserti in pietra, anche i condizionatori esterni sono stati ridipinti, mentre i serramenti sono stati ripuliti e messi in sicurezza, sono state rimosse le malandate veneziane esterne e i vetri sono stati schermati attraverso l’applicazione di apposite pellicole”. Capirai…
Sono passati altri otto anni e di rimediare a quel grossolano errore degli anni Cinquanta non se n’è più parlato. Gli uffici comunali sono sempre lì e anche i condizionatori. Della orrida facciata in vetro cemento evidentemente non si ricorda più nessuno.
Qui gli articoli della nuova rubrica “La Vicenza degli orrori”
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