L’ingresso est di Vicenza è, oltre che uno dei più brutti accessi alla città, anche quello più maltrattato. Sono due le situazioni contigue che mortificano una periferia nata male e peggiorata negli anni: l’abbandono e il degrado della storica villa Trissino Muttoni, più nota come “Cà Impenta”, e lo stagno (ma sarebbe meglio chiamarlo palude) spontaneamente nato nell’area “ex Barcaro-Zaccaria”, già area produttiva perimetrata del cavalcavia di via Aldo Moro e da viale Camisano. I due degradi sono distanti solo poche decine di metri ma sono accomunati dalla ormai cronica e tipicamente vicentina mancanza di soluzioni. Passano gli anni e l’accoglienza di “Vicenza città bellissima” ai viaggiatori che arrivano da Padova è desolante.
1950. È ancora in gran parte campagna la porzione del territorio comunale che si estende dopo Borgo Padova, ai lati della tratta urbana della strada statale 11 e alle spalle delle cortine di case che sorgono ai suoi due lati. La via è interrotta da due passaggi a livello in coincidenza con l’attraversamento dei binari delle linee per Treviso e per Padova. Si costruiscono perciò altrettanti ponti che cambiano radicalmente la morfologia della zona. La urbanizzazione si concretizza soprattutto sul lato nord con la nascita del quartiere san Pio X e della base militare Ederle che, dal 1955, è trasferita dall’Esercito italiano all’US Army. Il lungo rettilineo che porta fuori città entra nel 1927 nella toponomastica comunale come Viale della Pace in omaggio alla chiesa della Madonna della Pace, consacrata nel 1922 a scioglimento del voto fatto dai vicentini durante la Grande Guerra. Se avessero immaginato che proprio in Viale della Pace si sarebbe stanziata una brigata aviotrasportata di paracadutisti USA, forse avrebbero scelto un altro nome.
Arriviamo così all’area bistrattata. Si comincia con il cavalca ferrovia che devia l’ultimo tratto di Viale della Pace dallo storico attraversamento del rione della Stanga e si peggiora con il viadotto (sì, proprio quello costruito inopinatamente a pochi metri da una preesistente palazzina) che collega via Aldo Moro con il suddetto ponte. E vedremo come lo scempio peggiorerà in futuro con la TAV.
Quella che un tempo era chiamata contrada Ca’ Impenta è sconvolta dal nuovo assetto della viabilità e deturpata irrimediabilmente. Ne fa le spese villa Trissino Muttoni, un edificio storico che risale alla metà del Quattrocento e rappresenta una tipologia di magione extra urbana del tutto diversa da quella prevalente. Nata infatti in stile gotico e più volte rimaneggiata dalle famiglie della nobiltà vicentina succedutesi nella proprietà, la Ca’ Impenta (cioè Casa dipinta, così detta perché affrescata all’esterno) è una delle pochissime ville non improntata al neoclassicismo palla-diano. Piuttosto austera e squadrata, con il parco e l’annessa cappella gentilizia campeggiava lungo l’antica via che portava alle colture extraurbane e verso la città del Santo, finchè la stessa fu devitalizzata dalla variante verso il sovrappasso.
Ca’ Impenta è dimenticata e le sue bellezze (gli affreschi del Fogolino, le statue del Marinali) finiscono nell’oblio. Nel 1848 ci fa tappa la Storia: il 10 giugno, proprio al suo interno, si firma la resa dei difensori della città, in rivolta alle truppe di Radetzky. Tutto questo passato non basta per salvare la villa, che è di proprietà privata, dall’abbandono e dal degrado tanto che, qualche anno fa, è perfino teatro di riti satanici. Avrebbe potuto essere una perfetta introduzione alla elegante città del Palladio (e del gotico, non dimentichiamolo) e invece è solo un rudere dimenticato.
A poche decine di metri da Ca’ Impenta, da essa fisicamente e visivamente separato dal cavalcavia, il viaggiatore proveniente da est trova un altro impensabile degrado: l’area industriale dismessa Barcaro-Zaccaria, oggi diventata – del tutto involontariamente e senz’altro solo pro tempore – un’oasi naturalistica composta da uno stagno e da verde spontaneo. Ma non c’è da rallegrarsene perché è proprietà privata, completamente recintata e al centro da decenni di ottenere una nuova e ben diversa destinazione d’uso. Delimitato dai due cavalcavia, quello spicchio di acque e di verde campeggia incongruo fra tanto asfalto.
I precedenti insediamenti industriali erano due: a nord la manifattura tessile Zaccaria, a sud la fabbrica di serramenti Barcaro. Un’area molto vasta, che all’inizio del nuovo secolo rientra in un Piano Urbanistico Attuativo conosciuto come progetto Novello, con l’obbiettivo di una nuova destinazione d’uso. La vicenda si complica con il fallimento di Quadrante Est, la società proprietaria, che nel 2009 però ha versato circa 330.000 euro per ottenere i titoli urbanistici. Passano gli anni, tutto resta fermo, lo scavo effettuato nel recinto ex industriale si allaga, la natura si riprende il suo posto apportando flora e fauna.
I progetti impazzano: abitazioni prima, poi albergo e ristorante e, nel 2018, supermercato. Una società, la Domus Brenta, si dice legata alla catena Aldi, propone di costruirvi un ennesimo supermarket provocando una forte reazione dei comitati locali, che contestano la proliferazione di questa tipologia di realtà commerciali lungo Viale della Pace e propongono di far diventare pubblica l’area destinandola a zona verde.
Nuova tappa nel 2020. Il Comune riceve un decreto ingiuntivo emesso su richiesta del curatore del fallimento Quadrante Est, che impone la restituzione della cifra versata per i titoli edificatori. L’alternativa è trasferire gli stessi a Domus Brenta per farci il famoso supermercato. E qui si riferma tutto.
Intanto la porta est di Vicenza, nella morsa della viabilità su strada e ferroviaria, resta un orrore.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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