Quattro fontane e tutte senz’acqua. Ecco un altro bel biglietto da visita che Vicenza presenta ai visitatori. Ai cittadini, assuefatti a ben altre bruttezze, non importa nulla. Ci passano davanti e manco se ne accorgono. Le fontane del centro sono in questo stato da anni, salvo brevi e occasionali resurrezioni che ben poco durano.
Quattro in tutto sono le fontane vicentine. Nessuna di esse è monumentale. E un paio sono decisamente orrende e fuori contesto.
Per prima cosa bisogna chiedersi perché Vicenza non abbia una fontana sontuosa, né antica né moderna. Non manca certo l’acqua alla città, la cui periferia nord è piena di risorgive. Gli esempi più famosi sono la roggia Seriola, creata nel Medioevo per dirottare a difesa delle mura l’acqua di una sorgente, e l’acquedotto romano che la portava a Vicetia dalla località di Lobia. Se ci riuscivano duemila anni fa, a portare l’acqua in città, non doveva essere un problema nemmeno nei secoli successivi.
Nella cerchia delle mura, per di più, c’erano parecchie fonti. Ne è rimasta traccia nella toponomastica attuale e passata: contrà del Pozzetto (nei pressi del romano Teatro Berga), contrà del Pozzo Rosso (antico nome del tratto di corso Fogazzaro fra quello Palladio e contrà Riale), contrà Fontana coperta (oggi via XX settembre), contrà della Pozza (poi dedicata al musicista Giuseppe Apolloni).
Il perché dell’assenza di fontane va forse cercato nel clima? Troppo freddo d’inverno, troppo secco d’estate? Non credo, l’acqua proviene dalle falde e risente solo marginalmente della stagionalità.
Fatto sta che, nemmeno nel secolo d’oro di Vicenza, il Cinquecento, nemmeno l’archistar Palladio, che pure nelle sue frequentazioni delle rovine dell’Urbe aveva ben visto terme e acquedotti, ha pensato di decorare i suoi scenari architettonici vicentini con una fontana monumentale.
I quattro esemplari che oggi ornano (si fa per dire) la città, non sono quindi retaggio del passato. Quello meno recente è la Fontana dei cavalli alati, che campeggia al centro del Giardino Valmarana-Salvi. Risale, infatti, all’inizio del Novecento. Le altre (la Fontana dei bambini in piazza delle Poste/Garibaldi, quella in testa alla aiuola spartitraffico di piazzale Roma/De Gasperi e, dulcis in fundo, quella di piazza san Lorenzo) sono creazioni delle amministrazioni comunali degli ultimi decenni.
Anche la Fontana dei cavalli alati è un parto del Comune, che la costruisce quando, nel 1908, riapre ai cittadini il parco acquistato trent’anni prima e lasciato in abbandono. Autori ne sono gli scultori Beordo e Casarotto, a cui è commissionata in occasione della Mostra campionaria di materie prime e ausiliarie dell’arte decorativa di quell’anno. Per carità, non è proprio all’altezza della Fontana dei fiumi del Bernini, ma è l’unica delle quattro che ha un po’ di dignità estetica. Prende il nome dai tre cavalli che stanno al centro della vasca, sul cui bordo esterno stanno accucciate dieci rane. Dalla bocca di tutti gli animali escono gli zampilli d’acqua. Anzi: dovrebbero uscire. Perché la fontana è secca. Vecchia storia e, come vedremo, una condanna anche per tutte le consorelle.
Nel 2013 il monumento è recuperato e riqualificato grazie al contributo della Recoaro. Non ostante la revisione dell’impianto idrico della fontana, ben presto l’acqua sparisce. Torna nel 2015 e ancora nel 2019. Segue siccità.
Poco lontano, oltre un secolo dopo (23 dicembre 2011) è inaugurata la fontana di piazzale Roma. A parte la incomprensibile collocazione in mezzo alla strada e a una striminzita semi-rotatoria, non si può tacere che è di rara bruttezza e pacchianeria: una vasca circolare dal cui centro dovrebbe sgorgare una pioggia d’acqua microfiltrata a forma di semicupola, che riflette luci colorate proiettate da sotto. Inutile soffermarsi sul buon gusto vuoi della struttura vuoi della trovata cromatica. E, comunque, anche qui niente acqua e quindi niente effetti speciali.
La Fontana dei bambini, di fianco alle Poste, è senz’altro carina, ma nulla di più. È stata realizzata nel 1984 su progetto dell’architetto Vittorio Veller grazie al finanziamento di alcuni cittadini e donato al Comune in cambio dell’autorizzazione ad aprire delle finestre sulla fronte dell’edificio retrostante. Restaurata e riattivata nel luglio del 2020 è già all’asciutto.
La bronzea scultura di Quagliato ingentilisce la fontana, ma il basso sistema di vasche comunicanti che la sottende è privo di qualsiasi monumentalità. Nello stesso posto avrebbe avuto ben più adatta collocazione un manufatto a sviluppo verticale e con getto d’acqua a parete. Distoglierebbe, quanto meno, lo sguardo dall’incombente mole biancorossa del palazzo delle Regie Poste e Telegrafi.
Quella in piazza san Lorenzo è, in realtà, una non-fontana. Consiste infatti in una piastra pavimentale, perimetrata da metallici palloni-paracarro e forata da una dozzina di bocche da cui sono sparati verso l’alto potenti getti d’acqua a mo’ di autopompa. Alle spalle, la statua dell’abate Giacomo Zanella assiste rassegnata. La povertà della struttura e la sua incongruenza con la ricca e variegata monumentalità della piazza non hanno giustificazioni. La assenza di una comprensibile funzione di questa fontana si riflette nell’avere, come principali utenti, bambini e studenti a caccia di bagni fuori stagione. Quand’è secca, poi, e cioè quasi sempre, vi hanno inciampato spesso passanti distratti. Certo, quei buchi in mezzo alla piazza fan proprio pena.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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