La Vicenza degli orrori: la tetra muraglia dell’ex carcere di San Biagio e il rudere del convento dei Francescani

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degrado San Biagio
degrado San Biagio

Una muraglia degna di Alcatraz a due passi da corso Palladio, da contrà Porti e da corso Fogazzaro. È una tetra parete lunga 50 metri e alta 7 che chiude la facciata dell’ex carcere di san Biagio lungo l’omonimo Pedemuro, storica via cittadina che correva all’interno delle mura duecentesche fra ponte Pusterla e porta san Lorenzo (detta anche porta Nova). Siamo in pieno centro di Vicenza e questa squallida muraglia, per di più munita di una garitta e di un portone arrugginito, nasconde un altro gioiello della città: il convento di san Biasio. O meglio il suo rudere, visto che – come al solito – s’incappa in una storia di abbandono e di degrado che va avanti da mezzo secolo.

ex carcere san biagio degrado mura
ex carcere san biagio degrado mura

È il 1528 (ci ritroviamo sempre nel Cinquecento, l’epoca d’oro della città) quando i frati dell’ordine dei Francescani Minori Osservanti costruiscono una chiesa, San Biasio Novo, in una vasta area – prà dell’Asenelo – appena fuori la cinta muraria e in un’ansa del Bacchiglione. Cinque anni dopo è completato l’annesso monastero, che si articola in due chiostri e può ospitare cinquanta religiosi. Negli anni i frati lo arricchiscono con affreschi, quadri ed arredi e la chiesa assurge ad una delle più importanti della città con i suoi quattordici altari, giuspatrocinati dalle più importanti famiglie nobili. Nel progetto di questo complesso conventuale Andrea Palladio, una volta tanto, non mette il becco. Strano, perché – guarda caso – ha lavorato dal 1524 come scalpellino proprio lì di fronte, nella bottega del costruttore Giovanni di Giacomo da Porlezza e dello scultore Girolamo Pittoni.

san biagio mura
san biagio mura

Chiesa e convento mantengono la propria destinazione d’uso per 270 anni, fino al 1797. La data chiarisce subito che è il solito Napoleone Bonaparte a cambiare la loro sorte: caccia i frati, secolarizza San Biagio Novo e la trasforma prima in magazzino e poi in maneggio coperto. Altari e opere d’arte (fra cui tele del Guercino, di Palma il Giovane, dei Montagna) non si sa dove finiscono, forse in Francia. Il convento diventa caserma. Il nuovo assetto permane per 70 anni, perché è confermato dagli Austriaci fino al 1866, quando il Veneto è annesso al Regno d’Italia. La nuova amministrazione divide l’area fra due proprietà: il 60% che comprende la chiesa e il convento (4.066 mq) va al Comune, il resto (giardino e orto, 5.000 mq) al Demanio. Da questo momento si separano i destini delle due tranche di san Biagio: il Demanio tramuta il convento (che è del Comune) in un carcere (da celle di monaci a celle di detenuti, avranno pensato…) e edifica un nuovo braccio nell’orto; il Comune si disinteressa della sua quota fino al 1928, quando vende la ex chiesa al Reale Automobile Club che – bontà sua – la fa diventare un garage a due piani. La devastazione di san Biasio Novo così è definitiva: il fronte della chiesa è rivestito con un anonimo tamponamento, l’abside è abbattuta e i mattoni del campanile sono venduti a un impresa che ne lascia in piedi un moncone. Non si sa, davvero, chi sia stato il più bravo fra Demanio, Comune e ACI!
Nel 1986 il penitenziario si trasferisce nel nuovo edificio di san Pio X e san Biagio resta nell’abbandono e nel degrado.

Dieci anni dopo il Demanio assegna il complesso carcerario all’Archivio di Stato, che si limita a presentare nel 2001 un progetto di massima per la ristrutturazione, spendendo ben 450.000 euro di fondi statali per opere pre-liminari, in occasione delle quali si scopre un ciclo di affreschi del ‘500. Le amministrazioni comunali che si succedono non si fanno in quattro per agevolare – per la propria parte – il recupero. Quanto alla quota statale, l’Archivio esce di scena e gli subentra l’Agenzia delle Entrate. Nel 2013 infatti è sottoscritto un protocollo per la valorizzazione di san Biagio fra Comune, Agenzia del Demanio, quella delle Entrate e Mibact: i primi due enti cedono le rispettive proprietà all’INAIL e concorrono a finanziare un Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica. Sono passati sette anni e non se ne è saputo più nulla. Intanto tutto sta andando in rovina, come ci si era accorti già quindici anni fa.

Vicenza è costretta a subire da mezzo secolo anche quest’altro mostro all’interno del suo Centro Storico: la squallida “mura” del carcere, incastonata fra due altrettanto orrendi palazzi. A ovest quello della AIM, che spicca, per mole e forma, del tutto estraneo al contesto e a est, in piazza san Biagio, la triste e anonima palazzina ove aveva sede l’ACI ed ora alcuni uffici comunali. Svoltando dalla piazza, lungo la riva del Bacchiglione si può “ammirare” lo sconfortante stato in cui versa la chiesa, ai cui piedi oggi, per di più, sono affiancati chioschi tipo sagra di quella che il Comune ha pomposamente battezzato “La spiaggia di Vicenza” e che altro non è che un baretto estivo per gli habitué dello spritz.

L’oltraggio alla città è doppio, perché il mostro (la muraglia dell’ex carcere in Pedemuro) preclude ai cittadini perfino la vista del grande convento, per altro già esteriormente violentato dagli edifici costruiti dopo l’annessione e dalle modifiche apportate per l’adattamento a penitenziario. Anche ammesso che fosse possibile accedervi (ma la vegetazione selvaggia, spuntata ovunque, preclude il passaggio), in ogni caso sarebbe pericoloso aggirarsi negli antichi edifici religiosi perché sono a rischio di crollo.
Ci si chiede: è mai possibile che a Vicenza si tollerino certe brutture, che si sia indifferenti alle dissonanze architettoniche in un centro in gran parte ancora omogeneo, che non si riesca mai a realizzare i progetti? È inutile organizzare mega mostre per attirare turisti e poi lasciar loro sotto il naso ruderi e monconi. In altre città un complesso come quello di san Biasio sarebbe stato recuperato da decenni, rimodulato a biblioteca o museo, aperto alla cittadinanza e ai visitatori da fuori. Ci sarebbe, fra l’altro, una bellissima vista sul fiume dal lato settentrionale, un sito suggestivo per un ristorante. Altro che Spiaggia di Vicenza…

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Gianni Poggi
Gianni Poggi risiede e lavora come avvocato a Vicenza. È iscritto all’Ordine dei giornalisti come pubblicista. Le sue principali esperienze giornalistiche sono nel settore radiotelevisivo. È stato il primo redattore della emittente televisiva vicentina TVA Vicenza, con cui ha lavorato per news e speciali ideando e producendo programmi sportivi come le telecronache delle partite nei campionati del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, i dopo partita ed il talk show «Assist». Come produttore di programmi e giornalista sportivo ha collaborato con televisioni locali (Tva Vicenza, TeleAltoVeneto), radio nazionali (Radio Capital) e locali (Radio Star, Radio Vicenza International, Rca). Ha scritto di sport e di politica per media nazionali e locali ed ha gestito l’ufficio stampa di manifestazioni ed eventi anche internazionali. È stato autore, produttore e conduttore di «Uno contro uno» talk show con i grandi vicentini della cultura, dell’industria, dello spettacolo, delle professioni e dello sport trasmesso da TVA Vicenza. Ha collaborato con la testata on line Vvox per cui curava la rubrica settimanale di sport «Zero tituli». Nel 2014 ha pubblicato «Dante e Renzo» (Cierre Editore), dvd contenente le video interviste esclusive a Dante Caneva e Renzo Ghiotto, due “piccoli maestri” del libro omonimo di Luigi Meneghello. Nel 2017 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza il documentario «Vicenza una favola Real» che racconta la storia del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi e G.B. Fabbri, distribuito in 30.000 copie con il quotidiano. Nel 2018 ha pubblicato il libro «Da Nobile Provinciale a Nobile Decaduta» (Ronzani Editore) sul fallimento del Vicenza Calcio e «No Dal Molin – La sfida americana» (Ronzani Editore), libro e documentario sulla storia del Movimento No Dal Molin. Nel 2019 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza e Videomedia il documentario «Magico Vicenza, Re di Coppe» sul Vicenza di Pieraldo Dalle Carbonare e Francesco Guidolin che ha vinto nel 1997 la Coppa Italia. Dal 9 settembre è la "firma" della rubrica BiancoRosso per il network ViPiù, di cui cura anche rubriche di cultura e storia.