Può diventare ancora più bella una città che lo è già perché ha ereditato architetture considerate patrimonio dell’Umanità? Sì, certo. Basta che aggiunga al suo nucleo storico, scrigno delle bellezze create dai suoi antichi abitanti, nuovi rioni che, seppur costruiti con linguaggio architettonico moderno e aggiornato alle tecniche edilizie contemporanee, proseguano un discorso estetico complementare a quello del patrimonio esistente.
Così, purtroppo, non è stato a Vicenza. Città che ha conservato affascinanti architetture gotiche e quelle neoclassiche di assoluto valore mondiale ma, extra moenia, non ha sentito la necessità di improntare a canoni di bellezza le aree di espansione urbana.
Le nuove periferie, sorte in gran parte nel dopoguerra, trasmettono sciatteria, banalità, incuranza del contesto. Nessun raccordo, nemmeno ideale, è stato cercato né con la peculiarità architettonica del centro né con la cultura popolare e con le tradizioni degli abitanti. Tanto meno con il panorama, prossimo e lontano, che a Vicenza si gode almeno su due fronti.
Questi quartieri periferici sono nati tenendo conto piuttosto di spinte economiche, produttive, di sfruttamento del territorio. Senza rispetto di quanto si andava ad abbattere e si sostituiva con anonimi palazzi o villette progettate a copia-incolla. I progetti badavano piuttosto alla funzionalità e ai costi, la bellezza non era un valore e bastava il vetro-cemento per dare un tocco di modernità.
Strade, piazze, arredo urbano? I piani particolareggiati sono arrivati troppo tardi, la nuova città era già sorta e, dopo, l’espansione è finita perché la popolazione non è più aumentata o si è spostata nella cintura urbana.
Due nuovi rioni, a cinquant’anni l’uno dall’altro, avrebbero potuto fare più bella Vicenza se solo non fossero nati nel posto e nel modo sbagliati. Viale Milano e quello che è impropriamente chiamato Borgo Berga sono due occasioni perse per la città perché, se fossero sorti in altre zone urbane, avrebbero potuto essere un abbellimento e un’innovazione piacevole e armoniosa.
Viale Milano è inaugurato, nella versione attuale, nel 1955. Ha un’antenata che si chiamava Strada del Tram e aveva un percorso quasi identico perché raccordava la stazione ferroviaria con il nord della provincia. Per due volte in mezzo secolo l’arteria (rinominata viale Milano nel 1911) è chiusa per lasciare spazio alle Ferrotranvie Vicentine che, al suo fianco, hanno stazione, pensiline, depositi, officine e binari. L’espansione della attività di trasporto su rotaia, gestita dalla società dei Marzotto, richiede ampliamenti sui terreni pubblici. Il Comune li concede permutandoli con altri limitrofi delle FTV. Di viale Milano sopravvive solo la porzione a sud, quella che confina con l’O di Campo Marzo.
Tutto cambia dopo il 1945. Le Ferrotanvie abbandonano l’enorme area, che diventa una straordinaria zona edificabile, a due passi dal centro, dalle mura, dal parco e da Monte Berico. Vincoli non ce ne sono o, se ci sono, nessuno li oppone. Non si sa a chi ma a qualcuno viene l’idea di costruire sui due lati del viale una doppia cortina di palazzi, di creare proprio lì la piccola Manhattan vicentina. Una visione di modesta portata culturale e intrisa di provincialismo ma suggestiva in quegli anni della Ricostruzione.
Sui terreni dei Marzotto si buttano imprese e progettisti. In Comune si assiste con compiacimento e si approvano progetti edilizi privi di omogeinità se non per l’altezza degli edifici. Il bello è avere le “torri” anche a Vicenza. Che importa se i palazzoni circondano Campo Marzo, abbrutiscono la prospettiva del Centro Storico, tolgono la vista del colle e delle Prealpi? Il colpo di grazia lo dà la Torre Everest, che svetta a cento metri dal complesso religioso di san Felice.
Per la nuova borghesia del boom economico i palazzi di viale Milano diventano uno status symbol. In quel mezzo chilometro si concentra gran parte della ricchezza vicentina. Nulla di male, ovvio, nell’idea di un quartiere residenziale di alto profilo. Ma proprio lì, no! Infatti, passato l’entusiasmo e raffinatisi i gusti, c’è l’esodo verso zone più eleganti e riservate.
In viale Milano la ricca borghesia è sostituita da una nuova popolazione che ne cambia i connotati. Il rione decade con la collaborazione della municipalità, che apre quell’impensabile aborto di piazzale Bologna, che lascia deteriorare la viabilità fra sensi unici e doppi sensi alternati a casaccio e che non ci pensa proprio all’arredo urbano.
In un’altra collocazione viale Milano e il rioncino che gli è sorto attorno avrebbe potuto costituire un’interessante prospettiva per la città. Bei palazzi, intervallati da piazze e giardini, collegati da una visione moderna e da uno sviluppo progettuale di qualità, avrebbero soddisfatto quel desiderio un po’ ingenuo di modernità del dopoguerra senza violentare la storia e la immagine di Vicenza “città bellissima”.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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