C’è una parte del percorso professionale di Andrea Palladio, meno conosciuta di quella della maturità e del successo, che è stupefacente (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). È l’inizio della sua carriera o, meglio, la transizione che lo trasforma da praticante scalpellino a architetto, artista e intellettuale. Un passaggio che si realizza in pochi anni e in un contesto senz’altro favorevole ma, nel contempo, tutt’altro che ordinario. E tutto ha come scenario Vicenza.
C’è una premessa da fare. Nel Rinascimento la figura professionale dell’architetto si modifica e si evolve rispetto al passato. Nel Medioevo il costruttore fa un po’ tutto: progetta e costruisce, è nel contempo architetto, ingegnere e direttore dei lavori. Si forma in cantiere, da apprendista. Le nozioni tecniche sono trasmesse per via orale, l’allievo le riceve dal maestro perché solo gli addetti ai lavori le conoscono. Non ci sono testi, trattati di architettura.
Il Rinascimento cambia il profilo dell’architetto, che non è più artigiano ma artista, perché il suo mestiere entra fra le “arti”. Non c’è più solo la pratica nella formazione perché il nuovo architetto deve conoscere prima di tutto il canone a cui s’ispira la progettualità rinascimentale e cioè l’architettura classica, in particolare quella romana. Sono rispolverati i trattati, in primis quello di Vitruvio. E non basta, perché serve anche la conoscenza scientifica. L’architetto rinascimentale diventa un intellettuale con una provvista di conoscenze non solo tecniche ma anche umanistiche e scientifiche. E per darsi questa preparazione non ci sono scuole, non si va all’università. Bisogna studiare e trovare chi ti permette di farlo, in termini moderni degli sponsor culturali che investono su di te.
Contestualizziamo Andrea Palladio in questo scenario. È di famiglia certo non ricca, il padre Pietro fa il munaro (il mugnaio, in dialetto veneto) ma non ha un suo mulino e ne affitta uno di volta in volta. Approfittando della rete di canali che attraversa Padova, consegna la farina personalmente con una barchetta. Sembra che questo gli valga il soprannome “della gondola”, che fa funzione di un cognome che non ha, come del resto non ce l’ha la maggior parte dei suoi contemporanei e quindi nemmeno il suo unico figlio Andrea. Chiamato con questo nome perché è quello del santo del giorno della sua nascita, il 30 novembre del 1508. Approfittando dell’amicizia di un prelato, Pietro manda il figlio nella scuola della diocesi dove impara a leggere e a scrivere. A tredici anni Andrea comincia a lavorare. In città l’edilizia va alla grande per la ricostruzione dopo i danni arrecati dalla guerra fra la Serenissima e la Lega di Cambrai e Pietro pensa bene di inserire il figlio nel settore. Sottoscrive un contratto di apprendistato da scalpellino con un vicentino della provincia con bottega a Padova, Bartolomeo Cavazza. Andrea non si trova bene, il maestro lo maltratta. Il passaggio successivo non è ben chiaro: dopo diciotto mesi (1523) la famiglia lascia Padova e si trasferisce a Vicenza. Andrea trova posto nella bottega in San Biasio del costruttore Giovanni di Giacomo da Porlezza e dello scultore Girolamo Pittoni, i suoi primi veri maestri. Non sono certo due grandi dell’epoca, non hanno lasciato opere memorabili. L’anno dopo Andrea (ancora senza cognome) è ammesso alla fraglia dei muratori, appartenenza indispensabile per lavorare in proprio. Nella bottega dei maestri rimane una dozzina di anni e comincia a mettersi in luce pur operando in un ruolo secondario. Il lavoro non manca, il salario è buono e va anche a viverci quando muore il padre.
E c’è qualche opera firmata in proprio, come il portale della chiesa dei Servi e una cappella e un monumento funerario in quella di San Michele. Nel 1534 si è sposato con Allegradonna, una vicentina orfana di un falegname che fa la cameriera della nobildonna Angela Poiana. A ventisette anni, che per l’epoca non è certo un’età da giovane, il punto è questo: Andrea Palladio è un bravo lapicida, conosce i materiali e gli strumenti per lavorarli, ha imparato quanto meno i rudimenti della tecnica costruttiva, sta cominciando a farsi conoscere al di fuori della bottega di Giovanni e Girolamo. Ma non è ancora un architetto, men che meno un architetto rinascimentale.
Gli serve un salto di qualità. E a questo punto c’è la provvidenziale calata nella sua vita di un deus ex machina, di uno sponsor che è, nel contempo, anche un mentore: Giovan Giorgio Trissino dal Vello d’oro. Appartiene a una nobile famiglia proveniente da Trissino, piccolo centro nel nord ovest vicentino, che è egemone nella valle dell’Agno e si è inurbata – come quasi tutte le casate della provincia – emancipandosi dall’originario latifondismo verso le innovative produzioni tessili.
I Trissino sono conti per investitura sia imperiale che ecclesiastica, sono tradizionalmente filoimperiali e sono ricchi. Giangiorgio è un uomo eccezionale, poliedrico e umanista in senso pieno. Ha un curriculum vitae lunghissimo, perché è erudito, letterato, politico, ambasciatore, amico o quanto meno buon conoscente di grandi uomini vissuti a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento. C’è però una macchia nella sua vita perché la Serenissima lo ha esiliato per qualche anno per aver parteggiato per l’imperatore. Ne approfitta per girare le corti europee, per stringere legami personali e per conoscere idee e culture diverse.
Torna a Vicenza e si dedica alla ristrutturazione di una sua villa extraurbana in una località chiamata Cricoli, a meno di un miglio di distanza dalla porta di San Bartolomio. Fra le sue tante passioni c’è anche l’architettura e quindi, nel rispetto del mainstream rinascimentale, elabora una trasformazione dell’edificio nelle forme classiche.
Fra le maestranze che lavorano in villa c’è Andrea Palladio. Non sappiamo il giorno né il mese né, tanto meno, l’anno e nemmeno le circostanze ma siamo certi che l’incontro fra Andrea, figlio di Pietro munaro, e il conte Giovan Giorgio Trissino dal Vello d’oro avviene qui, nel cantiere della villa di campagna a Cricoli. E qui si fa la fortuna dell’ex scalpellino padovano e, grazie a lui, di Vicenza.