Dotata Vicetia del suo perimetro con le mura, i Romani alla fine del I secolo avanti Cristo le danno anche il suo centro costruendo il Foro (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). È questo il fulcro di ogni città romana: una piazza attorno a cui stanno i principali edifici pubblici ed è sede del mercato e degli affari. Insomma, il polo politico-amministrativo e commerciale dell’urbs.
Quasi sempre il Foro è collocato all’incrocio delle due principali strade della città, il decumanus maximus (cioè la via di attraversamento principale in direzione est-ovest) e il cardo maximus (l’equivalente nord-sud). È così anche a Vicenza: occupa un’area rettangolare che la Via Postumia (il decumano) attraversa separandola in due ampi settori ben differenziati. Qui è anche il crocevia con il cardine, il cui percorso va da ponte Pusterla a ponte San Paolo, dal lago extra moenia al Retrone.
Il lato lungo del Foro vicentino è quello da nord ovest a sud est ed è quasi ortogonale al decumano. Lo sviluppo dell’area è in lieve discesa verso la riva del fiume, anche se il dislivello all’epoca è molto meno accentuato rispetto all’attuale.
È probabile che il nuovo Foro si sovrapponga a un’area precedente con caratteristiche e utilizzo simili, ma la sua morfologia, con la ristrutturazione romana, cambia radicalmente. La connotazione più vistosa è la sua netta distinzione in due zone definita dal decumanus maximus, che lo attraversa perpendicolarmente. Nel settore a settentrione della via c’è un’area sacra mentre quello opposto è dedicato alla vita civile della città.
Doveva essere imponente e suggestiva la zona sacra che era sopraelevata di circa due metri rispetto alla piazza meridionale. Al centro si ipotizza sorgesse un tempio, di cui non esistono resti ma la cui esistenza si può presumere in analogia con la identica soluzione urbanistica adottata a Verona per il Capitolium (il tempio dedicato alla Triade Capitolina Giove-Giunone-Minerva). La terrazza artificiale, che sosteneva il tempio, sovrastava un criptoportico (cioè un portico coperto e in parte sotterraneo) articolato in tre bracci con doppia navata e volte a botte, a cui si accedeva scendendo dal decumanus attraverso delle scalinate. L’edificio sacro era probabilmente dedicato a Giove, il dio più importante del pantheon, che simboleggiava la potenza dell’Urbe.
È interessante notare che il tempio romano sorgeva più o meno nello stesso posto in cui per cinque secoli era stato il santuario paleoveneto della dea Reitia, vero fulcro religioso e culturale della città. L’insediamento del nuovo edificio fa ipotizzare anche una successione nei culti, in cui il re e padre degli dei emargina la dea madre dei venetkens. Bisogna comunque riconoscere che, anche a Vicenza, non ci fu una transizione imposta dai nuovi dominatori che, anzi, nella propria strategia di conquista sempre mantenevano la linea della integrazione religiosa, mirando piuttosto a identificare le divinità dei popoli assoggettati con quelle del proprio pantheon.
Il settore civile del Foro vicentino era costituito da una grande piazza lastricata su cui prospicevano (anche in questo caso si tratta di una ipotesi fondata sul modello forense tipico) lunghi portici laterali ed alcuni edifici pubblici sede dell’amministrazione. Fra questi c’era sicuramente anche la basilica (espressione greca che significa “portico del re”), edificio di grandi dimensioni e coperto da una navata che era utilizzato prevalentemente come borsa merci e come tribunale. La basilica, quindi, non aveva alcuna funzione religiosa, come potrebbe invece far erroneamente pensare il successivo utilizzo cristiano dell’espressione. In particolare, quella vicentina sorgeva proprio nello stesso punto in cui successivamente trovarono posto il Palatium vetus e poi la Basilica Palladiana, così chiamata proprio per collegamento a quella romana preesistente.
Gli scavi fatti dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto nel 1989 hanno rinvenuto nell’interrato di Palazzo Trissino-Baston (sede istituzionale del Comune di Vicenza) una porzione della pavimentazione del Foro, consistente in lastre rettangolari di trachite dei colli Euganei larghe da metri 1,18 a metri 1,80 in lunghezza e da metri 0,70 a metri 0,78 in larghezza. Il Foro vicentino era perimetrato anche da un muro a sud, rinvenuto per una lunghezza di una ventina di metri nella parte sudoccidentale di Piazza dei Signori.
Sarebbe davvero interessante disporre di un quadro più preciso e completo del Foro ma l’unica via per acquisire nuove conoscenze sarebbe una campagna di scavi, evidentemente impraticabile perché l’area è stata in gran parte ricoperta da edifici già in età altomedievale. Nel Quattrocento, all’incirca nel sito dell’antica basilica, si costruì il Palazzo della Ragione (si chiamava così perché vi si amministrava la giustizia, si dava quindi “ragione”) abbattendo due edifici separati dalla via che una volta era tratto del cardo maior, che così sparì definitivamente dall’area forense. Sul lato opposto i resti del Foro furono sormontati da edifici civili. I conti Trissino (famiglia molto ramificata e presente in città con numerosi palazzi) costruirono ben due magioni sul bordo dell’ex-Postumia: prima quella del giureconsulto Achille, poi nel 1588 il nipote Galeazzo commissionò a Vincenzo Scamozzi un nuovo edificio che prese il posto dell’altro e che è quello occupato dal Comune dal 1901.