Il Duecento a Vicenza è un secolo nefasto. Le lotte fra le casate, gli antagonismi fra Guelfi e Ghibellini, la tirannia di Ezzelino da Romano, il saccheggio e l’incendio messi in atto dalle truppe di Federico II, l’assoggettamento a Padova e la fine del libero Comune sono le tappe di un periodo storico che indirizza il futuro della città verso una irrecuperabile perdita della propria identità politica e amministrativa. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
La Vicenza del Duecento è una città piena di contraddizioni
All’inizio del XIII secolo Vicenza è una città piena di contraddizioni. L’istituzione comunale si è consolidata sulla spinta delle classi emergenti (mercanti e uomini di legge), ma le nuove magistrature e le nuove assemblee si trovano nella situazione di condividere il potere con le figure residuali del feudalesimo (il conte e il vescovo), con le famiglie dell’aristocrazia che si sono inurbate e con gli ordini monastici che si spartiscono le zone d’influenza nell’abitato.
Troppi centri di potere, dunque, che per di più si intrecciano e si confondono perché la famiglia comitale (i Maltraversi), che ha reso dinastico il titolo affrancandosi dalla nomina imperiale, e i casati di origine feudale accedono con propri componenti alle cariche amministrative e controllano, di fatto, gli organismi rappresentativi. E non basta che, a un certo punto, per venire a capo delle lotte si ricorra a un nuovo tipo di governatore cittadino, il podestà, foresto e con mandato annuale, perché la conflittualità non si placa. Protagonisti ne sono i due casati più importanti, i Maltraversi e i Da Vivaro.
La contraddizione più vistosa, però, è quella che letteralmente divide Vicenza fra Guelfi e Ghibellini, le fazioni che parteggiano per i due poteri che si spartiscono l’Italia, l’Impero e il Papato. Nel secolo precedente Vicenza, libero Comune, è antimperiale tant’è che partecipa alla Lega Lombarda e combatte con proprie forze la battaglia di Legnano in cui è sconfitto il Barbarossa. Ma, nel prosieguo, le cose cambiano e si arriva alla dicotomia fra pars comitis e pars ecclesiae.
Nel tumultuoso Duecento a Vicenza c’è anche spazio per l’affermazione dell’eresia catara. Sembra impossibile che, in una città che ha una forte impronta cattolica e una pesante presenza del vescovado e degli ordini mendicanti, riesca a farsi spazio un movimento ereticale socialmente eversivo e antipapale. Esso, invece, si afferma arrivando persino ad avere una propria sede in città e a far diventare Vicenza una delle cinque capitali catare in Italia.
Ezzelino da Romano il tiranno di Vicenza
Il giorno della vigilia di Ognissanti del 1236 l’imperatore Federico II di Svevia entra in Vicenza dalla Porta Feliciana e lascia che le sue truppe saccheggino e incendino la città. È uno dei momenti più drammatici nella storia vicentina, senza pari nemmeno al tempo delle invasioni barbariche.
La spedizione dell’imperatore in Italia è la risposta all’autonomismo preteso dai Comuni del Regno d’Italia e conquistato nel 1176 dalla Lega Lombarda. L’indipendenza vicentina dura appena cinquant’anni: Federico II dopo aver riportato sotto il controllo imperiale le città ribelli, ha la necessità di affidarne il controllo a coloro che lo hanno sostenuto. Per il Veneto la scelta cade inevitabilmente sulla casata degli Ezzelini, che già domina gran parte della regione. Il leader della famiglia è Ezzelino III, detto “il Terribile”, quarantadue anni, primogenito di Ezzelino II “il monaco” (cosiddetto perché, in tarda età, si chiude in convento).
Chi sono gli Ezzelini? Sono una famiglia di origine tedesca, arrivata in Italia due secoli prima e stanziata prima a Onara (oggi frazione di Tombolo, nel padovano) e poi a Romano, nel bassanese. In pochi anni sfoderano e concretizzano, ricorrendo ad ogni mezzo, le proprie mire espansionistiche e diventano i signori del Veneto.
La storia di Vicenza s’intreccia la prima volta con quella dei da Romano nel 1190, anno in cui Ezzelino II è nominato podestà della città (resta in carica tre anni). Aderisce alla parte sbagliata, quella filo vescovile, perché contemporaneamente prevale la pars comitis. Ezzelino II approfitta delle lacerazioni interne a Vicenza per sottrarle Bassano e, nel 1219, è il figlio che sconfigge a Bressanvido l’esercito vicentino, che tenta la riconquista della città, e detta le condizioni di pace che aprono la strada per il ritorno degli Ezzelini a Vicenza.
La mossa che fa la fortuna di Ezzelino III è l’improvviso e opportunistico cambio di schieramento che egli fa passando alla parte filoimperiale. Riesce così ad aggiungere Verona al dominio della famiglia. Nel novembre del 1236 i vicentini, alleati ai padovani e ai trevigiani, tentano di conquistare Verona, ma Ezzelino chiama in aiuto l’imperatore. Federico II respinge l’esercito delle tre città e occupa Vicenza insediandovi un capitano fedele a Ezzelino.
Nella parte centrale del Duecento a Vicenza domina la famiglia da Romano. Il dominio di Ezzelino III non è esercitato rivestendo cariche pubbliche ma attraverso uomini a lui fedeli. Il vero e sostanziale signore della città azzera drasticamente le lotte fra le fazioni, privilegia i ceti emergenti ottenendone l’appoggio e, con lo stesso obbiettivo, arriva a proteggere gli eretici catari.
I venticinque anni del suo dominio non sono un periodo negativo per Vicenza e la sua figura è stata rivalutata dalla critica storica, che ha ridimensionato e corretto la immagine tirannica e crudele che gli era stata appioppata dai contemporanei.
A Vicenza Ezzelino III costruisce due imponenti strutture difensive: il Torrione del Castello che fortifica la cinta muraria verso Verona e, sul lato opposto, tra s. Corona e Pusterla, un’altra grande struttura militare a protezione della strada verso Treviso e Bassano.
Il nuovo equilibrio di cui gode finalmente la città crolla però alla morte di Ezzelino III il 27 settembre 1259.