Nel 1402 muore Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano e di un vasto territorio che comprende, dal 1387, anche Vicenza. La città passa, in via ereditaria, al figlio Filippo Maria. La Signoria è, infatti, divisa fra lui e il fratello Giovanni Maria, sotto la reggenza (essendo entrambi minorenni) della madre Caterina. Comincia un veloce cambio di scenario nel contesto politico e territoriale del Veneto, che porterà alla costituzione, nel giro di pochi anni, dello Stato da Tera. Con la dedizione a Venezia del 1404 Vicenza sarà la prima città della regione a farne parte. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr).
Vicenza dai Visconti alla Serenissima
La scomparsa di Gian Galeazzo e la sua precaria successione determinano un indebolimento della signoria lombarda che scatena l’espansionismo della Repubblica di Firenze e, a est, dei Carraresi di Padova. A questi ultimi fanno gola i territori veneti dei Visconti, quelli cioè di Verona e di Vicenza con le rispettive città capoluogo. Francesco Novello da Carrara coglie la palla al balzo e, il 21 aprile 1404, si presenta sotto le mura di Vicenza con un’armata di quindicimila uomini per cingerla d’assedio.
Nel frattempo, però, Caterina Visconti s’è alleata con Venezia per fronteggiare i signori padovani, promettendo alla Serenissima come compenso vasti territori, fra cui Vicenza e il suo distretto.
La prospettiva di finire di nuovo sotto il dominio degli odiati patavini terrorizza i vicentini che, finalmente, si muovono. Ovviamente non con le armi, che non hanno perchè da un secolo Vicenza è una città demilitarizzata e insediata da forze di occupazione straniere. Si muovono, invece, con la diplomazia andando a proporre la propria soggezione, come sempre, alla potenza che dà le più concrete garanzie di concedere loro quella minima autonomia necessaria a dare continuità al business, a fare i schei. Dopo gli Scaligeri e i Visconti, tocca alla Serenissima Repubblica.
Da Vicenza partono i negoziatori e sono Jacopo Thiene e lo zio Giampietro Proti, gli stessi che avevano trattato con diciassette anni prima i Visconti. Ovviamente i Visconti sono d’accordo, con loro fa da trait d’union un altro vicentino, Taddeo Dal Verme, che è al servizio dei signori milanesi e, al momento, comanda la guarnigione della città.
La delegazione vicentina parte per Venezia il 15 aprile e propone la sua dedizione a Venezia: una formula di assoggettamento politico e militare, che mantiene la modesta autonomia amministrativa già assicurata e sperimentata dai precedenti dominatori.
La trattativa si conclude in una decina di giorni e, il 25 aprile, gli ambasciatori tornano a Vicenza, accompagnati da 250 balestrieri e da Giacomo Surian, il rappresentante del Doge Michele Steno. Venezia, in veste di nuova dominante, intima ai Carraresi di togliere l’assedio e di interrompere le devastazioni del distretto vicentino. I padovani, però, insistono ed è inevitabile la guerra. Che dura poco e si conclude con la sconfitta dei da Carrara. Vicenza diventa a tutti gli effetti territorio veneziano, lo sarà quasi ininterrottamente per quattro secoli.
I contenuti della dedizione a Venezia
La formula dell’accordo che lega Vicenza a Venezia è il prototipo di quello che, successivamente, sarà riprodotto nelle dedizioni delle altre città venete. Ognuna avrà proprie peculiarità ma lo schema di fondo resta lo stesso: un patto, frutto di trattative spontanee fra due soggetti politici, che fissa le condizioni di accesso di una comunità all’interno di uno stato. Le parti non sono omogenee nel senso che ce n’è una più forte (la Serenissima) che concede a quella più debole alcune autonomie, rispettando le istituzioni locali di origine comunale. La controparte cede, in cambio, la propria sovranità.
Venezia, in questo modo, crea uno stato nella terraferma (lo Stato da Tera) senza mai ricorrere all’uso delle armi per estendere il proprio dominio sui nuovi territori.
La Serenissima, dunque, si riserva le massiche cariche della città: i due rettori sono il Podestà, in pratica il governatore, e il Capitano, cioè il comandante della guarnigione. Hanno entrambi un incarico annuale e sono scelti nel patriziato veneziano. Le finanze pubbliche sono gestite dalla Camera fiscale, organismo analogo alla Fattoria Scaligera. Anche la scelta del vescovo spetta alla Dominante, che insedia a Vicenza un prelato veneziano.
La impostazione diarchica del potere locale, frutto della dedizione a Venezia, riproduce in modo pressochè identico quella delle precedenti dominazioni. Sussistono, infatti, le assemblee rappresentative di origine comunale, in primis il Consiglio Maggiore composto di cinquecento membri, la cui carica è ereditaria e alienabile. Venezia ripristina il Consiglio Minore, che ha duecento appartenenti, e ne introduce un terzo con ancora più ristretta composizione (quaranta consiglieri).
Sopravvivono sia gli otto deputati ad utilia, sorta di assessori a cui sono devolute le mansioni esecutive dell’amministrazione, sia i Consoli, che sovrintendono alla Giustizia. La giurisdizione è ripartita fra due competenze, quella del Podestà e della sua Corte, e quella – appunto – del Consolato: quattro giureconsulti che dirigono i tribunali civili, denominati del Bue, dell’Aquila, del Cavallo e del Pavone. Ai “presidenti” dei Tribunali si affiancano otto giudici “laici” scelti dal Consiglio Maggiore. Alla città, infine, è concessa la nomina dei vicari che dirigono gli undici distretti in cui è suddiviso il territorio vicentino.
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