L’occupazione di Vicenza e dei centri della Pianura Padana da parte dei Longobardi è velocissima in rapporto alla mobilità dell’epoca e allo spostamento di un’intera popolazione e non solo di un esercito. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). In soli sei mesi gli invasori, militari e civili, arrivano a Verona dopo aver conquistato il Friuli e gran parte del Veneto.
Non trovano resistenza perché l’Impero ha preferito (o dovuto) attestarsi nella fascia costiera dell’alto Adriatico, lasciando che i Longobardi si avvantaggino della viabilità consolare romana nella loro marcia verso ovest. Le città che si trovano lungo il percorso non hanno i mezzi per opporsi alla occupazione, le guarnigioni imperiali sono inconsistenti o, forse, si sono rifugiate nei territori in mano agli imperiali. Treviso, addirittura, manda il vescovo Felice ad incontrare sul Piave re Alboino per negoziare la resa della città, che infatti è presa pacificamente. E Vicenza?
L’occupazione di Vicenza è senza battaglie
Sulla occupazione di Vicenza non ci sono fonti né testuali né archeologiche. L’unica narrazione scritta dell’invasione longobarda è la Historia Langobardorum, scritta due secoli dopo i fatti (e, quindi, poco dopo la conquista di Carlo Magno) dal monaco cividalese Paolo Diacono. Pur con qualche riserva sulla attendibilità scientifica dell’opera, bisogna riconoscere che – senza di essa – ci sarebbe una lacuna di due secoli nella storiografia dell’Alto Medioevo.
Sta di fatto che, comunque, nella Historia non si parla della occupazione di Vicenza. Nemmeno sono rimaste tracce archeologiche di una battaglia in difesa della città, essenzialmente desumibili dalla presenza di sepolture. Nei pressi dell’accesso orientale, da cui entrano i barbari, non ci sono, infatti, necropoli. Ne è stata, invece, trovata una a Sovizzo, a ovest di Vicenza, con resti di inumazioni di guerrieri avvenute all’epoca della invasione. E questa è prova certa di uno scontro bellico che, però, dovrebbe essere estraneo e successivo alla conquista della città.
La città diventa ducato longobardo
Dopo l’occupazione di Vicenza, la città diventa, quasi subito, sede di un ducato longobardo. Provincia di confine fra la Venetia bizantina e la Baviera dei Franchi, è strategica per la difesa del territorio conquistato. L’area sotto il controllo del duca vicentino è estesa oltre i tradizionali confini d’epoca romana e il ducato di Vicenza si espande fino alle porte di Padova (ancora occupata dagli imperiali e in gravissima decadenza) e ingloba terre e centri abitati, come San Bonifacio e Cologna Veneta, di storica pertinenza veronese.
Vicenza acquista un’importanza che non ha mai avuto durante l’Impero Romano. Resta un oppidulum ma diventa un fulcro amministrativo e militare nel centro dell’Austria, il nuovo nome assegnato alla parte orientale del Regno dei Longobardi.
Dopo l’occupazione di Vicenza la curtis major è la sede ducale
Il duca vicentino risiede nel centro della città, nella curtis major, che occupa un’area attigua ma più a ovest rispetto al forum romano e che confina con la basilica paleocristiana sottostante al Duomo quattrocentesco. Per far posto alla sua corte, il duca longobardo fa abbattere alcune prestigiose domus romane che sorgevano nel grande quartiere residenziale costruito a cavallo delle due Ere.
Cos’è una curtis? È una tipologia di centro amministrativo e residenziale innovativa rispetto a quella tipica romana, diffusa in tutti i ducati del Regno longobardo. Nulla a che fare con i Fori, perché mentre questi sono strutture pubbliche aperte alla cittadinanza, le Corti sembrano piuttosto aree riservate all’esercizio del potere degli occupanti. Che, teniamolo ben presente, restano rigorosamente separati dalla popolazione locale.
Al centro della curtis c’è un palazzo in pietra a due piani. Il pianterreno è occupato dalle sale in cui si amministra il potere militare, giudiziario e amministrativo, al livello superiore ci sono stanze destinate a residenza e uffici. Attorno all’edificio principale sorgono edifici di servizio in legno: scuderie, cucina, forno per il pane, stalla, alloggi per i domestici. Tutt’attorno, infine, terreni di pertinenza probabilmente arativi.
I nuovi edifici longobardi cancellano gran parte della Vicenza Romana
La curtis major è dunque una area molto vasta e articolata e, a Vicenza, occupa una zona compresa fra piazza del Duomo, via Vescovado e via Mure Pallamaio, in sostanza quasi tutto il quadrante sud ovest del centro cittadino. Sotto il palazzo vescovile sono stati trovati nel dopoguerra i resti delle fondazioni di una possente torrione, i cui lati misurano metri 10×8, che facevano parte della curtis major.
Oltre alla corte ducale c’era a Vicenza quella del gastaldo, funzionario locale che rappresentava il re in città e nel ducato. La struttura della curtis regia doveva riprodurre, probabilmente in dimensioni ridotte, quella della major e collocarsi più a ridosso del forum romano. L’unico riscontro archeologico della corte del gastaldo è nella denominazione, risultante da documenti medievali, di “curtis major” data alla stradella che collega contrà Cavour con via Do rode e che gli studiosi attribuiscono, invece, alla residenza del gastaldo vicentino.
L’intervento urbanistico dei Longobardi sulla antica Vicetia romana è, però, ben più vasto e coinvolge una sorta di riuso urbano della edilizia preesistente, almeno di quella del centro città. Non conosciamo l’entità delle demolizioni e delle modifiche apportate agli edifici ma è sicuramente avvenuta sulla spinta di una nuova mentalità che, proprio all’epoca, comincia ad affermarsi.
Il rinnovamento dei fabbricati è attestato dal rinvenimento di fondazioni murarie risalenti al VII-VIII secolo e dalla esistenza di una chiesa, ora scomparsa, intitolata al Salvatore (dedica tipicamente longobarda dopo la conversione) che sorgeva fra Mure Pallamaio e san Francesco Vecchio. La contiguità di questo edificio religioso con la sede episcopale testimonierebbe la pacifica convivenza fra i barbari e il vescovo, riconosciuto come guida spirituale della popolazione locale.