Grande come una reggia. Palazzo Marcantonio Thiene, se fosse stato completato, sarebbe stato degno di un re o, quanto meno, di un grande principe rinascimentale. Ed invece il moncone che ne attesta la potenziale grandiosità è il simbolo più vistoso ed emblematico della sorte che ebbero buona parte delle fabriche urbane di Andrea Palladio: restare incompiute.(qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Colpa della committenza, senza dubbio. I nobili-imprenditori della Vicenza del Cinquecento, ricchissimi e imbevuti dalla moda del “classicismo”, ammaliati dal genio dell’architetto che loro stessi hanno scoperto ed elevato al rango di progettista e costruttore delle loro magioni urbane ed extraurbane, spinti dalle rivalità fra i loro casati e dall’antagonismo con il patriziato veneziano che li aveva esclusi dal Libro d’oro della nobiltà della Serenissima. Sono loro i committenti che, prima approvano i grandiosi progetti di Palladio (che, capìta l’antifona, per risparmiare qualche ducato usa materiali edilizi low cost) e poi, quando arrivano i conti, bloccano i cantieri.
Chi sono i Thiene? Sono conti palatini dal 1469, anno in cui l’imperatore Federico IIII concede loro il titolo. Sono anche degli usurai, o almeno lo sono stati un paio di secoli prima, quando cominciano ad arricchirsi. Il capostipite è originario di Arsiero, ma presta denaro a Thiene e dintorni. Nel Trecento i discendenti si spostano a Vicenza e proseguono l’attività tradizionale collaborando con gli Scaligeri e con i Visconti. Il patrimonio cresce ed è investito in proprietà terriere. Uno dei da Thiene, Clemente, è fra i protagonisti della dedizione a Venezia del 1404. Diventano fedelissimi della Serenissima. I loro possedimenti si estendono in varie aree del vicentino.
A metà del XVI secolo i Thiene fanno parte della élite vicentina, sono in rapporti con le grandi casate italiane, in particolare con i Gonzaga di Mantova. La famiglia è molto ramificata, sono ben sei i palazzi in centro storico che portano il loro nome. Alla fine del Quattrocento Lodovico Thiene fa costruire la sua magione (il progetto è di Lorenzo da Bologna), in stile gotico, nella contrada di Santo Stefano. La fronte principale è sull’attuale contrà Porti. Cinquant’anni dopo, nell’ottobre del 1542, Marcantonio e Adriano, figli di Lodovico, avviano la ristrutturazione del palazzo di famiglia che, nel progetto, è radicalmente trasformato: dovrebbe diventare un edificio grandioso che occupa un intero isolato di 54 x 62 metri. La facciata è spostata sul corso principale, la pianta è rettangolare e, all’interno, campeggia un vasto cortile. Una reggia, appunto, per una famiglia che vuole – virtualmente – assurgere al rango di quel principe che Vicenza non ha mai avuto.
Di chi è il progetto? Sulla paternità di Palazzo Thiene si dibatte da secoli. Perché non esiste alcuna fonte documentale che la assegni indiscutibilmente e le analisi degli storici dell’arte non sono arrivate ad una conclusione condivisa. Le tre tesi principali sono: è opera di Palladio; il disegno è di Giulio Romano e Palladio ha apportato modifiche e integrazioni; Palladio lo ha solo realizzato.
C’è un punto fermo nel dibattito: Palladio si attribuisce l’opera perché ne pubblica i disegni ne “I quattro libri dell’architettura”, il suo trattato-autobiografia: “è questa casa – scrive – situata nel mezo della Città, vicino alla piazza”. Del collega non ne parla proprio. Nel 1614, però, l’architetto inglese Inigo Jones, dopo un soggiorno-studio a Vicenza, postillando il trattato palladiano, annota che Vincenzo Scamozzi e Palma il Giovane gli hanno rivelato personalmente che “questi progetti furono di Giulio Romano e eseguiti da Palladio”. La testimonianza ha il suo valore e il dubbio è avvalorato da varie circostanze. Intanto, nel 1542, Palladio è appena agli inizi della sua carriera di architetto, è nella fase di passaggio da lapicida a costruttore, e sembra strano che i Thiene commissionino un progetto di questa portata a un novellino. C’è, poi, anche il rilievo che lo stile non è propriamente palladiano e, piuttosto, richiama altre opere di Giulio Romano. Basta osservare il forte uso del “bugnato”, rivestimento rugoso delle pareti, mentre Andrea predilige superfici lisce e luminose. C’è anche una coincidenza temporale: proprio nel 1542 l’architetto discepolo di Raffaello è in città per una consulenza sulle logge del Palazzo della Ragione e, nell’occasione, potrebbe aver consegnato i disegni ai Thiene. Il cantiere parte subito ma non risultano sue presenze successive a Vicenza. Entra in scena a questo punto Palladio come semplice esecutore? Nel 1546 Giulio Romano muore e lascia le mani libere all’architetto padovano che ci mette molto del suo nella elaborazione dei disegni originali, come è riconosciuto da tutti gli esperti.
I lavori vanno per le lunghe. Nel frattempo, morto Adriano Thiene, il figlio di Marcantonio, Ottavio, diventa marchese di Scandiano. Gli interessi famigliari si spostano quindi nel ferrarese, il cantiere è fermato, il progetto abbandonato. In tre lustri si è tirato su neanche un quarto del palazzo e cioè parti delle fronti ovest e nord. Su contrà Porti resta intatto il vecchio palazzo di fine Quattrocento. È davvero una sciagura perché si priva Vicenza di un monumento architettonico che avrebbe dato un’impronta maestosa a quel tratto del corso e del centro città.
Palazzo Thiene è acquistato nell’Ottocento dalla Banca Popolare di Vicenza. La sede operativa occupa l’ala in contrà Porti, nell’edificio palladiano si stabiliscono presidenza, direzione generale e dirigenza. L’edificio torna al centro della vita cittadina per dare immagine ad uno dei nuovi poli finanziari vicentini.
Ma la sfortuna perseguita il palazzo: dopo un secolo e mezzo la banca fallisce, l’edificio è uno dei beni a disposizione dei liquidatori. Il 10 giugno 2021 il Comune di Vicenza lo acquista per quasi quattro miloni e mezzo. Palazzo Thiene è, per la prima volta, un bene pubblico.