Entrando in Piazza dei Signori a Vicenza l’attenzione è catalizzata dalla cangiante mole della Basilica Palladiana. Ma, giusto di fronte al più importante monumento architettonico della città, troneggia un’altra perla dell’ingegno di Andrea Palladio: il Palazzo del Capitaniato. È una fabbrica dall’aspetto completamente diverso rispetto a quello delle logge che rivestono l’antico Palazzo della Ragione e a quelle si contrappone nella sua estraneità formale. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Il nome del palazzo deriva dal suo utilizzo. È, infatti, un edificio pubblico destinato ad ospitare il capitanio ossia uno dei due reggitori inviati annualmente dalla Serenissima Repubblica ad amministrare la città a partire dalla dedizione del 1404. Il capitanio (o capitano da guerra) è il magistrato militare, comanda il contingente veneziano di stanza a Vicenza. L’altro reggitore è il podestà che è, invece, il governatore civile della città. Le residenze delle due massime cariche della Repubblica sono poste una di fronte all’altra nella piaza granda e, con la Basilica sede del Consiglio dei Quattrocento, compongono il centro logistico dei grandi poteri locali.
Il Palazzo del Capitanio è chiamato anche, in modo del tutto improprio, Loggia del Capitaniato o Loggia Bernarda. La loggia, in effetti, è solo una parte del Palazzo e, precisamente, il suo piano terra. L’appellativo Bernarda, poi, è legato a un capitanio, Giovan Battista Bernardo, di nobile famiglia veneziana, che comanda la guarnigione dal 1570 al 1572, gli anni in cui è costruita la nuova residenza, e al quale essa è dedicata con una iscrizione nella trabeazione: “Jo. Baptistae Bernardo Praefecto”.
L’architettura palladiana prende il posto di un edificio medievale preesistente, il palazzo della famiglia Verlato risalente al XII secolo, di cui resta parte di una torre dietro la loggia. Il Comune, nel 1312 lo espropria e lo restaura, e, con la dedizione, lo concede al capitanio. Sotto le volte del pianterreno si fanno affari, la grande sala al piano superiore serve per udienze e cancelleria. Nel Cinquecento la ristrutturazione del palazzo è affidata ad illustri architetti e, nel 1520, vi opera anche Giovanni da Pedemuro, futuro paron dell’apprendista Palladio nella bottega di San Biasio. La tappa successiva è il 1565, anno in cui la pubblica amministrazione della città commissiona a Andrea il progetto e la costruzione di un nuovo palazzo che prenderà il posto, sei anni dopo, di quello dei Verlato che è abbattuto.
Palladio si trova così nella non comune circostanza di dirigere contemporaneamente due cantieri l’uno di fronte all’altro: quello delle nuove Logge della Basilica, avviato vent’anni prima (e che si concluderà molti anni dopo la sua morte) e quello del Palazzo del Capitaniato. Il doppio impegno professionale arriva, per di più, in un periodo della sua carriera in cui è diventato il più importante architetto non solo della città ma anche di Venezia, dove si è trasferito per seguire le committenze lagunari.
È, nel frattempo, cambiato anche il suo stile e, proprio il palazzo del capitanio Bernardo lo dimostra. Il monocromatismo iniziale (il tutto bianco) non trova infatti riscontro nella nuova fabrica che è rossa perché la facciata non è rivestita né tinteggiata e sono in piena vista i mattoni di cui è composta.
Diverso è anche lo sviluppo dell’alzato: mentre le logge della Basilica sono improntate alla eleganza della loro simmetria e della loro uniformità (perfino illusoria grazie al gioco che fa Palladio con le larghezze delle serliane), il Capitaniato invece si prospetta volutamente diseguale. Nella facciata sulla piazza si sovrappongono due piani di diversa altezza: quello inferiore ospita una grande loggia ed è scandito da quattro semicolonne giganti (che arrivano fino all’attico) e da tre grandi archi, sovrastati – al più basso piano nobile, al cui interno c’è la nota Sala Bernarda – da altrettanti balconi. Una difformità ricercata dall’architetto che ottiene comunque grandiosità ed equilibrio per l’aspetto frontale del suo progetto. La maledizione dei palazzi vicentini di Palladio colpisce anche quello del Capitaniato: il prospetto avrebbe dovuto svilupparsi su cinque (qualcuno sostiene su sette) campate assumendo ben altra imponenza ma, tanto per cambiare, ne sono realizzate solo tre. Il minimo indispensabile.
La singolarità del progetto si esplicita nella facciata laterale, che dà sull’attuale contrà del Monte, il cardo maximus della Vicenza romana. Su questo prospetto Palladio interrompe la continuità con la facciata principale e crea una parete che replica la fronte di un arco trionfale romano. Celebra la vittoria della flotta ispano-veneziana contro i turchi nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), alla quale partecipano anche molti vicentini. Le statue che adornano la facciata sono allegorie del successo del mondo occidentale e della pace successiva, che si riflettono sui domini di Venezia, lo stato da mar e lo stato da tera.
C’è un risvolto moderno da ricordare sulla sorte del Palazzo del Capitaniato. Durante il Fascismo sono abbattute le case che gli si addossano sul lato occidentale e ne risulta una vasta area da riutilizzare. Si propone l’ampliamento e il completamento dell’edificio secondo il progetto originale ma l’idea è bocciata. Si opta per la costruzione di una terza facciata, del tutto dissonante dal resto del palazzo e sulla quale è ridicolmente inserito un balcone in stile Palazzo Venezia. Un altro degli orrori inferti alla grande bellezza di Vicenza.