È, probabilmente, l’ultimo progetto di Andrea Palladio: il Teatro Olimpico di Vicenza, una delle meraviglie regalate alla città dal genio che ne ha cambiato l’aspetto e la storia (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). L’Accademia Olimpica gli commissiona l’opera nel febbraio del 1580, quando ha appena compiuto settantadue anni e giusto sei mesi prima della sua improvvisa morte, che avviene in un giorno non ancora precisato del successivo agosto. Si può quindi definire appropriatamente il teatro come opera postuma.
L’Olimpico nasce privato, per iniziativa e con i soldi dell’Accademia Olimpica. Questa è la principale associazione culturale della città, fondata venticinque anni prima, nel 1555, da ventuno vicentini con l’obbiettivo statutario di coltivare tutte le arti. In particolare, le matematiche ma anche la musica e perfino quelle marziali. Nelle adunanze accademiche le lezioni sono tenute da musicisti, filosofi, matematici, medici, cosmografi e, ovviamente, architetti. Palladio, non per niente, è uno dei soci fondatori.
Questo tipo di associazioni culturali sono molto diffuse in tutta Italia nel sedicesimo secolo e, a Vicenza, ci sono altre due Accademie. C’è, intanto la “Academia Ocriculana” patrocinata da Giangiorgio Trissino, suo fondatore e ospite nella villa di Cricoli, in cui sono istruiti giovani vicentini e veneziani nelle materie classiche, e c’è, poi, l’Accademia dei Costanti, nata l’anno dopo l’Olimpica, per opera del canonico Gerolamo Gualdo. Ha sede nel Palazzo dei Gualdo (ramo Pusterla) a San Marco, arricchito dalle collezioni di opere d’arte classica della famiglia. Olimpica e Costanti sono antagoniste, sembra perché la prima ha escluso, all’atto della fondazione, alcuni nobili che si vendicano facendole concorrenza.
L’Accademia Olimpica si distingue dalle altre due soprattutto perché non è riservata ai patrizi, bensì è aperta a intellettuali e artisti che contribuiscono alla sua vitalità. Infatti, fra i fondatori, ci sono, oltre ai promotori Valerio Chiericati e Girolamo da Schio, sia altri nobil homeni come Giacomo Pagello e il conte Da Monte sia personaggi privi di sangue blu come Silvio Belli (matematico e ingegnere), il letterato Bernardino Trinagio e il nostro Andrea Palladio, fiolo di un munaro. Nel 1556 l’accademico Elio Belli disegna il logo: un circo romano per le corse dei cavalli abbinato al motto “hoc opus, hic labor est”, tratto dall’Eneide. All’inizio l’Accademia non ha una sede fissa e le tornate sono ospitate nelle magioni dei soci.
Fra le attività dell’Olimpica ha molto spazio il teatro e, per le rappresentazioni, è allestita ogni volta una sala all’aperto nel cortile di un palazzo. Sì, perché a Vicenza (ma anche in Italia e in Europa) il teatro – inteso come struttura stabile – non esiste. Sarà un altro merito del Rinascimento, di pari passo con la riscoperta delle opere antiche e con una nuova produzione drammaturgica, costruire teatri coperti in cui far lavorare le compagnie che, prima, erano costrette a girovagare di corte in corte e di piazza in piazza.
Ed è proprio nell’ambito dell’Accademia Olimpica che nasce, per la prima volta, l’idea di creare un edificio dedicato esclusivamente alla attività teatrale. È un progetto assolutamente innovativo e originale all’epoca e segna una svolta nella cultura continentale.
Quando si passa dall’idea al progetto architettonico, è inevitabile – e Andrea Palladio deve avere un ruolo centrale nella scelta – rifarsi al modello del teatro romano sia perché altro riferimento contemporaneo non c’è sia perché la moda del tempo è la riproposizione di tutto ciò che, poi, sarà definito “classico”. Gli accademici decidono, quindi, di ricostruire la struttura di un teatro dell’epoca imperiale (che era all’aperto) all’interno di un edificio creato apposta.
Per concretizzare il progetto bisogna prima risolvere gli aspetti pratici. Prima di tutto: dove costruire il teatro? L’amministrazione pubblica viene incontro alla richiesta degli accademici concedendo un’area dismessa nel lato ovest della città, lungo la riva destra del Bacchiglione, dove prima c’era Castel San Pietro. Era, questo, una fortificazione costruita a metà del Duecento a difesa del ponte degli Angeli e di Porta San Pietro, in parte demolita dopo un secolo e riutilizzata come magazzino e arsenale. Nella seconda metà del Quattrocento, per venticinque anni la Serenissima vi colloca le prigioni e proprio l’area già occupata da esse è quella messa a disposizione dalla città per l’erigendo teatro.
L’altra incombenza pratica è trovare i fondi per la costruzione del Teatro Olimpico e, in questo caso, gli accademici sono costretti a ricorrere al fai-da-te, nel senso che i soldi saltano fuori dall’autofinanziamento. I soci versano sette scudi a testa e, in cambio, ottengono il privilegio di avere una statua che li raffigura in abbigliamento antico da guerriero o da senatore, allocata in una delle nicchie del frontespizio. Più cospicua è la donazione, più bassa è la nicchia e quindi più visibile la statua.
Al disegno del Teatro Olimpico ci pensa Andrea Palladio, che ben conosce i teatri antichi per averli studiati, a cominciare dal vicentino Berga e, poi, nei suoi viaggi a Roma. La riproduzione che fa del modello classico è filologica: cavea semiellittica, maestoso frontale della scena, orchestra. La forma di quest’ultima è una delle differenze dall’originale, perché è un rettangolo anziché un semicerchio e rappresenta una piazza urbana. Diverso, necessariamente, anche il retro della scena perché l’ampio cortile del modello classico è sostituito da un fondale in ripida prospettiva che riproduce le vie di Tebe. Il soffitto della scena è a cassettoni mentre quello della cavea è affrescato come un cielo diurno (ma si tratta di innovazioni successive). Anche per economicità Palladio usa materiali poveri e poco costosi e cioè legno e gesso.
Il risultato è mozzafiato: la genialità dell’architetto riesce a trasferire in uno spazio chiuso e ristretto la maestosità e la funzionalità di un teatro romano di ben maggiori dimensioni. Andrea non riesce a vedere il suo teatro Olimpico che è completato dal figlio Silla e dall’allievo Vincenzo Scamozzi (a cui si devono le prospettive del retroscena) cinque anni dopo la sua morte. Il 3 marzo 1585 l’inaugurazione ufficiale con la rappresentazione della tragedia “Edipo re” di Sofocle.