A Vicenza dopo il Mille cambia tutto. Nei due secoli immediatamente successivi alla fatidica (e temutissima) soglia della fine del primo millennio dalla nascita del Cristo, si concentrano variazioni urbanistiche, edilizie, viarie, territoriali e politiche quali non c’erano mai state nei secoli precedenti. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
La città era prima improntata alla Vicetia romana, evoluzione a sua volta di un vicus venetico, e aveva subìto per dieci secoli dominazioni esterne: i Romani, i Bizantini, i Goti, i Longobardi, i Carolingi e, per ultimi, gli imperatori e i duchi germanici e i loro rappresentanti locali, conti e vescovi. I vicentini sono sempre stati, insomma, dipendenti da poteri foresti, che hanno concesso loro solo e non sempre limitate autonomie e a cui hanno comunque dovuto pagare tributi.
A Vicenza nasce il comune e convive con conti e vescovi
L’organizzazione feudale trova progressivamente spazio nei territori dell’Impero e consente l’affermarsi di nuovi protagonisti anche nella vita vicentina, sia del territorio che della città. Sono le famiglie della nuova aristocrazia feudale, in parte arrivate al seguito delle armate imperiali e stanziatesi a presidio dell’area grazie anche a donazioni e privilegi provenienti dal sovrano germanico. Amministrano campagne e curtes che rivaleggiano con le proprietà fondiarie dei monasteri e del vescovo, ma la loro autonomia è circoscritta ai feudi che possiedono.
Queste famiglie, poi, si inurbano dividendosi nelle rispettive alleanze con i due poteri che coesistono in città, il vescovo e il conte. La carica di quest’ultimo è, intanto, diventata ereditaria ed è appannaggio dei veneziani Candiani, conti anche di Padova. Alla metà dell’XI secolo la famiglia comitale si divide in due rami: quello vicentino assume il nome di Maltraversi (o di Montebello).
Il miglioramento dell’economia locale si riflette anche in incremento demografico. Nuove classi compaiono nella popolazione, sono artigiani e mercanti che pretendono una rappresentanza amministrativa in forza del proprio ruolo sociale ed economico. La ottengono grazie alla istituzione di inedite magistrature: sono i “consoli”, la cui esistenza è documentata per la prima volta nel 1147, sono eletti dal popolo e hanno soprattutto funzioni giudiziarie.
Contestualmente nascono anche alcune assemblee. La più numerosa è la concio, partecipata da tutti i capifamiglia e dagli uomini adulti abili alle armi, già esistente in epoca precomunale e convocata per affrontare i problemi più gravi. Dal XII secolo la affiancano assemblee minori, a cui i cittadini accedono per elezione o di diritto e che si riuniscono con maggior frequenza: il Consiglio Maggiore (massimo centocinquanta membri) e quello di Credenza, una sorta di comitato ristretto di dodici componenti, fra cui ci sono il podestà, alcuni giudici e i principali milites. Queste assemblee sono controllate dalle famiglie della nuova aristocrazia e anche dal vescovo.
Si genera inevitabilmente una frammentazione del potere cittadino, in cui troppo soggetti interagiscono portando, ognuno, avanti i propri interessi. La confusione amministrativa è accresciuta dall’inclusività nelle nuove cariche pubbliche di esponenti dell’ancien régime, tant’è che alcuni conti diventano consoli del libero Comune. Per venirne a capo si escogita un’altra nuova magistratura, il Podestà, con mandato annuale e ampi poteri. Ma non basta e, per garantirne l’autonomia, si affida l’incarico a soggetti esterni alla città.
Una nuova città si sovrappone a quella romano-barbarica
Vicenza dopo il Mille s’ingrandisce, nascono insediamenti fuori le mura (come quello attorno al Teatro Berga) che sono inglobati nelle mura altomedievali cambiando in conseguenza la forma urbis, che assume un aspetto circolare e radiocentrico: le vie si dipartono verso l’esterno e fuoriescono dalla cinta muraria attraverso le numerose porte chi vi si aprono.
Gli edifici preesistenti sono sostituiti da quelli improntati a un nuovo modello, la “casa-torre”, di chiara impostazione difensiva. Questo fa immaginare quale doveva essere la pericolosità della vita vicentina. Ne sorgono molte pur in un centro piccolo e Vicenza è chiamata “città dalle cento torri”. Alcune sono ancora presenti: quella dei Loschi, quella dei Bissari (poi trasformata in torre di avvistamento e in campanile), quella del Tormento.
La Cattedrale è ricostruita e ampliata, la Basilica di San Felice (danneggiata dal terremoto del 1117) subisce l’ennesimo aggiornamento della sua lunga storia, sorgono cappelle e chiese che pretendono autonomia dal duomo sede episcopale. I monasteri (San Felice, San Pietro e San Silvestro) consolidano le proprie strutture.
Cambia la rete fluviale e lacustre. L’Astico, causa di frequenti alluvioni, è deviato a confluire nel Tesina. Il Lacus Pusterlae, che ne era alimentato, si prosciuga e ne approfitta il meno impetuoso Bacchiglione, la cui sorgente è a Dueville, per deviare il proprio corso e incanalarsi nel vecchio alveo dell’Astegus all’interno della città.
Vicenza dopo il Mille è, quindi, una città diversa, moderna nell’urbanistica e nelle difese, ben rappresentata socialmente e, per la prima volta, indipendente nel suo governo. Il libero Comune vicentino ha pari dignità di quelli confinanti (Verona, Padova e Treviso), con cui costituisce nel 1158 la Lega Veronese per ribellarsi alle imposizioni imperiali. Nel 1176 questa si fonde con la Lega Lombarda e, insieme, sconfiggono l’armata di Federico Barbarossa a Legnano.